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Da Libro bianco.

Pastore dell'Essere

Corriere della Sera, 1 Novembre 1987


Claudio Magris


Non sono in grado di valutare l’attendibilità della tesi che attribuisce a Heidegger una milizia nel partito nazionalsocialista sino alla fine del medesimo, in opposizione a chi tende a considerare una parentesi momentanea la sua adesione al nazismo, limitandola quasi al famoso episodio del 1934 ossia al discorso col quale egli, allora rettore dell’università di Friburgo im Breisgau, nella sua amata Selva Nera, aveva posto la filosofia al servizio del nuovo Reich. Comunque stiano le cose con la sua tessera di partito, è impossibile isolare la sua vicinanza al regime hitleriano – anzi, non al regime, bensì alla sua ideologia o meglio alla sua mentalità, alla sua sensibilità, alla sua visione del mondo – come un incidente casuale o un breve abbaglio. La vita è contraddittoria e anche una tessera nazista rinnovata o accettata o subita tenacemente per molti ani non cancellerebbe l’importanza epocale del pensiero di Heidegger, un filosofo che è andato alle radici del pensare e ha colto a fondo alcuni fenomeni centrali del nostro tempo quali il dominio della tecnica e l’oblio o l’estinzione dell’Essere stesso. Nella visione del mondo di Heidegger c’era una corda che poteva indurlo a trovarsi in sintonia col Terzo Reich. Il pastore dell’Essere, che additava così genialmente lo sradicamento e l’inautenticità incombenti sulla civiltà contemporanea, non aveva l’umiltà di riconoscere come altrettanto schietti e legittimi altri pastori di altre greggi, ossia la pari dignità di tutti gli uomini, non era immune dalla cupa arroganza di chi si considera il solo vero pastore, e quindi il pastore capo, l’amministratore delegato dell’Essere. Quando ribadiva, con indubbia sincerità il suo profondo legame con i contadini della sua Selva Nera – fra i quali amava vivere, anche vegliardo, nella sua famosa capanna isolata e priva di ogni comfort – egli affermava un reale valore, la fedeltà alla propria terra e alla propria comunità. Ma c’èra qualcosa che lo induceva a considerare autentici solo quei contadini che conosceva per nome, quel bosco che aveva fisicamente davanti a lui e a cui si sentiva legato nell’intimo del suo sangue e della sua esperienza.

Il fascismo e il nazismo sono stati anche questo pervertimento che chiude l’individuo all’interno di una comunità che egli ama legittimamente perché è la sua, ma sensa essere capace di vedere che, al di fuori di essa, esistono altre comunità e altre persone le quali si sentono legate ad esse, ed essendo quindi pronti a distruggere le patrie altrui senza nemmeno accorgersi di distruggere delle patrie. Sono le democrazie accusate di arido e piatto razionalismo che ………………………….. ………………….. Vedi originale

uomini di cui non abbiamo esperienza diretta, di cui ci danno notizia solo fredde cifre statistiche, come ad esempio quelle attuali di chi muore di fame, ma che non sono meno vivi e veri di noi e dei nostri amici. L’unica legittima critica della massa e della massificazione è quella che non dimentica che la massa è fatta di singoli individui e che ognuno, ma proprio ognuno, di noi concorre a formarla. Heidegger, certo, ha saputo trascendere il radicamento viscerale e regressivo ed è anzi stato una voce magistrale della crisi moderna, dello spaesamento e dello sradicamento, dell’errare per sentieri che si smarriscono nel bosco ed ha anzi additato genialmente la necessità e l’autenticità di questo nomade errare. I suoi interpreti più sofisticati vedono in lui non lo smascheratore bensì il consenziente annunciatore del dominio planetario della tecnica della fine di ogni tradizione e della radicale trasformazione del mondo. Il nazismo, che tanto sfruttava la fedeltà alla tradizione popolare, è stato invece una manifestazione abnorme della potenza plasmatrice della tecnica che annienta ogni tradizione e trasforma il mondo con un progetto totalizzante. Se fosse proprio questo il fascino esercitato del Reich sul filosofo della Selva e delle sua radure luminose?



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