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Da Libro bianco.

La luce dentro il niente assoluto

Heidegger: «Io nazista? Tutte malignità»


Corriere della Sera, 1 novembre 1987


Emanuele Severino


Nel 1967 Heidegger raccolse in un volume alcuni dei suoi scritti più importanti successivi a Essere e tempo (1927): Titolo: Wegmarken. Ne appare ora la traduzione da Adelphi con il titolo «Segnavia» (pp 532, L. 60.000). In queste pagine compare una persona molto vicina ad Heidegger: Ernest Jünge, l’autore di grandi scritti come La mobilitazione totale, Sulle scogliere di marmo e soprattutto, Der Arbeiter (Il lavoratore, 1932), che alcune settimane fa, novantaduenne, è venuto a Roma a ricevere il premio Tevere. Per il sessantesimo compleanno di Jünger � che, sebbene in modo diverso da Heidegger e Carl Schmitt,, r il nazionalsocialismo – Heidegger scrive un lungo saggio (1955) in forma di lettera. Il tema è «l’essenza del nichilismo»; il titolo, La questione dell’essere. Gli dice: «Mentre scrivo queste cose, mi viene in mente il nostro dialogo verso la fine del decennio scorso. Camminavamo lungo un sentiero di un bosco, quando ci arrestammo in un punto dove si biforcava un sentiero che andava a perdersi. A quell’epoca la incoraggiavo a ripubblicare Il lavoratore lasciandolo immutato». Nell’inverno 1939-40 Heidegger aveva commentato Il lavoratore «in una piccola cerchia – scrive� di docenti universitari. Ci si stupiva che da anni ci fosse già un libro che vedeva così chiaro». Che cosa vedeva così chiaramente il libro di Jünger? L’inevitabilità del nichilismo, il suo diventare movimento planetario che tutto avvolge ed intacca. Ma il sentiero del bosco, sul quale Heidegger e Jünger camminavano insieme, ad un certo punto si biforca. Per Heidegger, Jünger guarda il nichilismo con gli occhi di Nietzsche, cioè con gli occhi della metafisica, che innanzitutto sono quelli di Platone. Il discorso di Heidegger si muove sul ciglio di questo «cioè» vertiginoso. Anche per Jünger, come per Nietzsche, il nichilismo è il processo in cui «i valori supremi si svalutano». Ma l’idea di «valore» è, per Heidegger, «l’ultimo e insieme il più debole derivato» di ciò che Platone chiama l’agathon – un termine che non traduciamo con la parola «bene». In quanto mira a una «trasvalutazione di tutti i valori», anche Nietzsche – scrive Heidegger nel saggio su Platone – è un platonico, ma siccome gli vien meno ogni sapere circa l’origine metafisica del «valore», egli è il platonico più sfrenato della storia della metafisica occidentale. Con Platone si produce una «svolta» nel modo di intendere la verità. Nel pensiero greco più antico la verità è il «disvelamento» che sta «al servizio» di ciò che va via via mostrandosi sulla terra. Jünger aveva scritto a sua volta per il sessantesimo compleanno di Heidegger un saggio intitolato Al di la della linea – della linea, o il meridiano zero, dove il nichilismo giunge al proprio culmine e «dove tutto spinge al niente», al «niente vuoto». Per Jünger una buona definizione del nichilismo sarebbe da comparare all’evidenza …………………………………………………….

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senz’altro la sua premessa». Tutti i saggi di Segnavia mostrano invece che il nichilismo non può essere trattato in questi termini. L’«essere» è infatti la verità stessa cioè il disvelamento, il movimento che conduce le cose al di fuori del loro essere nascoste e che proprio per questo fa dimenticare la luce in cui esse appaiono. Nichilismo è per Heidegger la dimenticanza di questa luce, � Ma allora l’oltrepassamento del nichilismo non è un non aver più a che fare col niente. Infatti la luce dell’essere non è un ente, e quindi è quel senso autentico del «niente», che va perduto quando si pensa al «niente, vuoto, nullo» al «nihil absolutum». A volte sembra che per lui l’inventore del «niente nulla» sia il cristianesimo. Penso che si tratti di uno degli errori maggiori che si possano compiere ricostruendo lo sviluppo della nostra civiltà. Si aggiunga che è al niente assoluto che si guarda, quando si considera la morte, la distruzione atomica della terra, l’annientamento dell’universo. Ma poi è il niente assoluto che interviene di prepotenza nella stessa pretesa di Heidegger di pensare il nichilismo in modo nuovo. Nel nichilismo, egli dichiara, è «come se dell’essere non ne fosse niente (nel senso nel senso del niente nullo)». Non si vorrà allora prestare una buona volta attenzione al «niente nullo» � anche per capire se, quando gli enti rimangono nascosti, prima di entrare nella luce dell’essere, essi siano o non un «niente nullo»? Se lo fossero, come può Heidegger affermare che essi rimangono «nascosti»? E se non lo fossero, non si dovrebbe dire allora � ma al di la di ogni intenzione esplicita o implicita di Heidegger – che essi sono eterni e che proprio per questo, il loro «divenire» non è altro che il loro illuminarsi e manifestarsi?



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