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Da Libro bianco.

Los Angeles sopra Berlino

Facci a faccia Farias contro Vattimo

Ultimo atto del nostro processo: il più combattivo pubblico ministero e il più prestigioso avvocato della difesa si affrontano nella casa che fu di Robert Musil. In gioco non sono solo le idee del filosofo di Messkirch ma anche la nostra vita di oggi


Espresso, 24 aprile 1988


Angelo Bolaffi


Regensburger Strasse 15, Berlino. La stanza, nella quale un tempo soggiornò Robert Musil, affaccia su un cortile interno, un "hinterhof". Oggi è lo studio di Otto Kallscheuer, filosofo berlinese, che, per un pomeriggio, ha accettato di trasformare la sua casa nell'aula di un immaginario processo. Quello intentato contro Martin Heidegger. Professione: filosofo, di fama mondiale. L'accusa, anche se non è nuova è di quelle pesanti: complicità col regime nazionalsocialista in qualità di "collaborazionista intellettuale". Insomma un cattivo maestro. L'accusa viene rappresentata da Victor Farias: filosofo cileno, allievo dello stesso Heidegger e autore di "Heidegger e il nazismo", un libro che ha fatto scalpore in Francia e in Europa e che adesso si mette a disposizione anche del lettore italiano. La difesa è stata assunta da un noto esperto dell' opera di Heidegger: Gianni Vattimo. Il profeta del "pensiero debole" che, con grande scandalo dei filosofi tradizionalisti, va ormai da tempo sostenendo una tesi tanto spregiudicata quanto provocatoria: sarebbe proprio Heidegger la fonte segreta da cui tali posizioni "moderne" hanno preso ispirazione. Ancora una volta, e certo non sarà l'ultima, su Heidegger gli animi tornano a dividersi. II filosofo di Messkirch è la grande metafora della cattiva coscienza dell'Europa del XX secolo. Mentre parliamo, fuori cade neve mista a pioggia. Berlino, la città espressionista per eccellenza, odiata da Heidegger che, sprezzante, proclamò le ragioni per le quali preferiva «restare in provincia.», non c'è più. Solo qualche brandello. L'unico modo per avere un'idea di quello che fu è fare come Wenders: salire nel cielo di Berlino. Là sotto, opaca e formicolante c'è la "società di massa". Il dominio dell'inautentico, l'armatura della tecnica planetaria che chiude il mondo in una gabbia d'acciaio. I grandi problemi pensati da Heidegger. Siamo qui per discuterli.

L'ESPRESSO: La parola all'accusa. Signor Farias, vuole sintetizzare le ragioni per le quali lei condanna il suo maestro, il professor Martin Heidegger? FARIAS: «Fino al 1930 la terminologia di Heidegger non si distacca molto da quella del nazionalismo conservatore tedesco. Storicità, decisione, lotta, tradizione, "comunità di popolo". Ma proprio in quegli anni si assiste ad una svolta: ad una "germanizzazione" del pensiero di Heidegger che rompe apertamente con la tradizione culturale latina. Smette di citare autori come Agostino e Tommaso oppure il Vangelo di Giovanni il cui concetto di "mundus" aveva invece fino al 1930 accettato. Una svolta qualitativa, che va nella stessa direzione del montante movimento nazionalsocialista. Il "discorso sul rettorato" del 1934 come pure altri di quel periodo testimoniano questa svolta linguistica verso il nazismo». L'ESPRESSO: Fin qui non sembra un'accusa gravissima ... FARIAS: «C'è dell'altro. Heidegger ha inteso il suo impegno politico come il tentativo di fornire al movimento nazionalsocialista un fondamento spirituale e filosofico. Per essere più preciso: egli ha cercato di legarsi organicamente all'ala "movimentista" del nazionalsocialismo, le S.A. di Roehm e di Gregor Strasser che vennero sconfitte e i capi assassinati per ordine di Ritler nel giugno del 1934 durante la "notte dei lunghi coltelli". Anche Heidegger perse la sua battaglia: ideologo ufficiale divenne Arthur Rosenberg, l'autore del "Mito del XX secolo". Egli allora si ritirò dalla ribalta politica avviando nella sua riflessione filosofica una critica del naziona1socialismo trasformatosi in regime ma, si badi bene, a partire dall'unica visione del mondo nazionalsocialista "autentica": quella del movimento». L'ESPRESSO: La prola alla difesa, Gianni Vattimo. VATTIMO: «La mia tesi è molto semplice. Il problema non è quello di stabilire, come invece cerca di fare Farias, fino a che punto Heidegger sia stato nazista, ma di dimostrare, cosa che invece finora nessuno ha potuto fare in modo convincente, la sua scelta politica come una conseguenza del suo pensiero. Anzi io mi spingo ancora più avanti. e voglio essere provocatorio: penso cioè che proprio essendo filosoficamente heideggeriani non si può essere nazisti». L'ESPRESSO: Ma è stato lo stesso Heidegger ad aver indicato nel suo discorso del '33 questa connessione tra la sua scelta politica e la sua filosofia ... VATTIMO: «Ma no! In quel discorso Heidegger ha solamente cercato di giustificare una scelta politica con una terminologia analoga a quella di "Essere e tempo": destino, vocazione, autenticità ecc. Ma basta questo per dire che Heidegger è diventato nazista perché ha portato alle estreme conseguenze la sua riflessione filosofica? Secondo me no. E poi vedo una grande contraddizione nella posizione di Farias: proprio “Essere e tempo” fu l'opera che più piacque ai suoi allievi di sinistra, a Marcuse, a Löwith, a Sartre, ad Hanna Arendt che, per poterlo poi criticare, dovettero parlare di una svolta nel suo pensiero: si sono tutti sbagliati?»

FARIAS: «Le cose stanno, caro Vattimo, in modo completamente diverso. Prendiamo ad esempio la progressiva rottura di Heidegger con la cultura latina alla quale accennavo prima. In quegli anni egli sempre più apertamente e brutalmente sostiene la tesi che solamente a partire dalla lingua tedesca quale unica erede di quella greca classica è possibile comprendere le categorie dell'Essere. Solo la Germania moderna poteva rendere fruttuosa l'eredità dell'antica Grecia. Heidegger è convinto che soltanto i tedeschi possano filosofare nel senso pieno del termine. Certo anche i francesi possono fare della filosofia, ma solo come "esprit", come Zivilisation. Lo stesso vale per gli inglesi la cui filosofia è linguaggio della tecnica. Queste convinzioni Heidegger non le ha più abbandonate». L'ESPRESSO: Può portare delle prove? FARIAS: «L'intervista pubblicata postuma dallo "Spiegel", che è una sorta di suo ultimo discorso alla nazione tedesca. Heidegger sostiene che quando i francesi provano a pensare debbono pensare in tedesco. Fino all'ultimo ha tenuto fermo quello che per lui era l'elemento decisivo del nazionalsocialismo e cioè la discriminazione ontologica tra gli uomini. Heidegger non è stato certamente né un ideologo nazista alla Göbbels o alla Rosenberg e neppure un filosofo ufficiale del regime, ma il suo tentativo di difendere una sorta di “fascismo nobile”, ontologico e filosofico contro la sua falsificazione da parte del regime è innegabile». VATTIMO: «Ma via, Farias, lei dà una versione caricaturale di Heidegger. Non dà prove, esibisce solo asserzioni di comodo. E non risponde al quesito decisivo: quali sono i contenuti della sua filosofia per i quali egli è conosciuto e discusso? Certo non quello dei discorsi politici. La filosofia di Heidegger è una critica radicale dell' oggettivismo della mentalità occidentale modellata sulla logica dell'esperimento scientifico. Obiettivo filosofico che negli anni '20 fu largamente condiviso: penso a Husserl, allo “Spirito dell'utopia” di Bloch e a tutti gli espressionisti. Era il grande rifiuto di una concezione dell' essere come mera oggettività manipolabile, organizzabile, razionalizzabile». ESPRESSO: E che vuol dire questo? VATTIMO: «Che su questa base Heidegger sviluppò un'analitica dell'esistenza valida ancora oggi. L'essere non è una struttura ma un accadimento legato a circostanze determinate; e il linguaggio è il medium di questa esperienza. Qui Heidegger si avvicina molto al Wittgenstein dei giochi linguistici. E non mi si venga a dire che Wittgenstein può essere sospettato di nazismo! Di tutto questo nel suo libro, Farias, non si parla. Si accenna solo a qualche frase retorica di Heidegger…». FARIAS: «Retorica? Ma se in una lezione su Nietzsche del 1944 Heidegger dice che sta “nascendo un nuovo tipo di uomo in Germania” e solo lui può portare la salvezza e la verità e questo, si badi, mentre il mondo è in fiamme, alla fine della seconda guerra mondiale. Quanto alla tecnica e alla sua dimensione planetaria bisogna operare un preciso distinguo tra la critica di Heidegger e quella anche degli autori di sinistra che lei ha ricordato: Heidegger la critica non in quanto tecnica, di cui fa quasi l'apologia, ma per il fatto che noi ne siamo solo dominati e non la comprendiamo. Basterà allora produrre una comprensione della tecnica cosa che, e torniamo alla discriminazione ontologica, è possibile solo ai tedeschi in quanto unici in grado di pensare filosoficamente ... ».

VATTIMO: «Neppure a me piace come parla Heidegger dei tedeschi ... » FARIAS: «Ma non si tratta di un errore politico. E' un errore filosofico. Lei può dire ciò che vuole della critica heideggeriana della metafisica e della tecnica, ma non riuscirà mai a cancellare questo elemento “volkisch” che è centrale in Heidegger ed è l'essenza del nazismo. Liberissimo di sostenere un heideggerismo senza Heidegger. Sarebbe però come voler fare una psicologia senz'anima o una teologia senza Dio». VATTlMO: «Resto della mia idea: finché non mi dimostra che l'eventualità dell'essere, l'analisi dell' esistenza, la critica della metafisica, sono organicamente connesse alla sua esaltazione del popolo tedesco, io di tutte queste cose me ne infischio. I suoi, Farias, sono solo degli aneddoti: come dire che Heidegger aveva una terribile moglie nazista e allora...». FARIAS: «E allora risponda alla mia domanda: come si pone di fronte all'affermazione di Heidegger che la comprensione dell'Essere è possibile solamente nel linguaggio e che la sola lingua in grado di compiere questa operazione è quella tedesca?». VATTIMO: «Ho l'impressione che lei abbia un problema, diciamo così, biografico su Heidegger, dal quale vuole trarre conseguenze filosofiche…» FARIAS: «Il mio non è un problema biografico, è filosofico...» VATTlMO: «Allora l'ha posto in modo sbagliato. Lei parla della terminologia di Heidegger: Ma allora perché non prendersela con Lutero che pure era antisemita? I monaci cappuccini di allora erano tutti antisemiti. C'è nel suo libro come una predisposizione negativa, una sorta di “fumus persecutionis” nei confronti di Heidegger. Comunque provo a risponderle anche se già l'ho fatto: Heidegger ci ha detto che l'Essere si dà nella sua comprensione mediante il linguaggio. Che poi lui pensasse che l'unica lingua filosoficamente valida fosse quella tedesca è ovviamente una follia privata come quella di chi ha l'abitudine di andare a letto con un cavallo. Affar suo!». FARIAS: «Lei non può costruirsi un suo Heidegger di comodo da contrapporre alle parole del maestro stesso e neppure smontare la sua opera in un gioco irresponsabile di letture interpretative» . VATTlMO: «Stia a sentire, il suo atteggiamento mi pare più quello di un giudice che quello di un ricercatore. E io non vorrei averla come giudice, altro che teorema del 7 aprile! Mio caro amico lei risale addirittura all'infanzia per stabilire le colpe di un filosofo...». FARIAS: «Ionon cerco nessuna colpa e tanto meno nell'infanzia. Né ho mai sostenuto che non si dovesse leggere Heidegger o bruciare i suoi libri». L'ESPRESSO: Prendiamo atto che le vostre posizioni sono inconciliabili. Resta però ancora un punto decisivo da esaminare.Il caso Hidegger è un ennesimo scandalo nel rapporto tra intellettuali e politica nell'Europa del Novecento. E' una drammatica testimonianza della rottura che si operò nel cuore della cultura tedesca: da una parte Cassirer, Kelsen, Canetti e Thomas Mann e dall'altra Heidegger, Schmitt, e Ernst Jünger. Cosa ha rappresentato davvero questa rottura? VATTIMO: «La rottura avvenne tra gli intellettuali di orientamento liberale che entrarono in contraddizione col mutamento d'epoca e altri che si illusero di entrare attivamente in un movimento storico. In questo senso Heidegger ha fatto lo stesso errore di Lukacs. Heidegger ha sbagliato certo, ma con questo che conclusione vogliamo trarne? Solo una: che alcuni intellettuali sbagliarono in quel momento a considerarsi “organici”?». L'ESPRESSO: Questo è fuori discussione… VATTlMO: «Già, ma nel pensiero di Heidegger ci sono elementi sufficienti per sviluppare una critica dell’intellettuale organico. Certamente molto di più che inLukacs. In ogni caso dobbiamo prendere atto che Heidegger è stato un critico radicale della società occidentale». FARIAS: «Non sono d’accordo. Si dice spesso che dopo la guerra Heidegger abbia sbagliato tacendo sui campi di concentramento e sull'olocausto. Ma questo non è vero. In un discorso a Brema del 1949, per esempio, egli asserì che la logica che aveva prodotto lo sterminio nelle camere a gas fosse sostanzialmente identica a quella che aveva regoulato il passaggio dall'agricoltura tradizionale all'industria alimentare. Liberissimo poi Vattimo di sostenere che questo filosofo s'è limitato a pensare le strutture dell'Essere riferendosi semplicemente alle categorie astratte della trasformazione della metafisica occidentale! Il pensiero di Heidegger ha sempre cercato agganci con la realtà storica che poi era quella del nazionalsocialismo».

VATTIMO: «Siamo alle solite. Io non voglio affatto difendere queste posizioni di Heidegger ma neppure cadere nella sua trappola, Farias. Lei elenca tutta una serie di colpe innominabili di Heidegger, magari anche vere ma poi cosa dovremmo fare: ripudiare Heidegger? Negare la tesi dell'eventualità dell'Essere, parlar male di Derrida o sostenere che il “decostruzionismo” è una cosa da fascisti. E perché mai? Certo ci sono molti aspetti problematici in Heidegger compreso quello della sua critica radicale nei confronti della civiltà moderna. Non so se Heidegger odiasse la scienza: ma ammettiamolo pure. lo non sarei certo d'accordo. Eppure non credo che ci si possa accontentare di restaurare semplicemente un atteggiamento politico meramente liberale dimenticando i problemi che le società liberali hanno portato con sé». L'ESPRESSO: Cioè un atteggiamento conservatore? VATTIMO: «Di più: dietro il furore parigino contro Heidegger io vedo un atteggiamento meramente restaurativo. Certo, anch'io credo si debba reinterpretare Heidegger da un punto di vista illuministico. E allora diamo pure un merito al libro di Farias: diciamo che ci costringe a riesaminare questo nodo decisivo del destino della modernità». FARIAS: «Guardi che se c'è stata una moda filosofica è stata proprio quella dei fans di Heidegger! E anzi rispetto a questo voglio essere chiaro fino in fondo: io, sono un latino-americano. E ho l'impressione che qui in Europa abbiate solo un problema e cioè quello dell'angoscia di una possibile fine del mondo. La differenza rispetto a noi è che laggiù il mondo non è ancora neppure iniziato. Noi latino-americani ci troviamo in una situazione in cui o cominciamo ad essere o non saremo mai...». VATTIMO: «Dovremmo forse sostituire lo spagnolo al tedesco e considerare l'America Latina come il solo luogo dove si possano vedere autenticamente i problemi?». FARIAS: «Per carità di dio! Noi siamo degli analfabeti. Non abbiamo filosofi degni di questo nome; solo dei buoni scrittori e poeti. Ma partendo dalla nostra realtà vediamo che c'è una connessione tra una certa filosofia e un avvenimento storico decisivo come il nazionalsocialismo che non può essere ridotta a scontro tra scuole filosofiche di Roma, Parigi o Berlino. Il problema Auschwitz è troppo serio. Vattimo, noi non possiamo permetterci il lusso di essere frivoli. Per questo per noi il problema dell'Essere o del non Essere è capitale». L'ESPRESSO: Esiste un'obiezione radicale nei confronti di Heidegger mossa da filosofi come Lévinas che prescinde dal livello della sua compromissione col regime nazista. La ragione dell'errore politico di Heidegger, essi sostengono, sarebbe immanente alla sua filosofia in quanto priva dell'idea di responsabilità e di colpa idividuale e quindi dell'idea di individuo… VATTIMO: «Questa sì che è un'obiezione seria. Il grande equivoco di Heidegger verso il nazismo è derivato dalla sottovalutazione del problema dell'individuo. Heidegger ha opportunamente sviluppato la sua tesi critica dell'umanesimo, dell'ideale liberale dell'individuo responsabile. Ammetto che in questo varco possa anche passare l'errore che porta alla adesione al nazismo ma non voglio buttare via il bambino con l'acqua sporca». L'ESPRESSO: Cioè?

VATTIMO: «Cioè non è vero che abbiano ragione quanti si limitano a sostenere esattamente il contrario di Heidegger. Io credo che si debbano prendere molto sul serio le critiche dell'umanesimo tradizionale conducendole però al di là di certi equivoci che mi paiono ancora metafisici o teologici. Per me il vero problema Heidegger, letto da sinistra, è quello dell'attualità del '68 e dell'allargamento della critica della società capitalistica cui Nietzsche e Heidegger hanno fornito elementi decisivi. Marcuse e Adorno non ci bastano. E neanche la tradizione liberale con tutta la simpatia. Io ho paura che la polemica contro Heidegger serva solo come pretesto per mettere da parte la radicalità di certe critiche dell'esistente. E' questo il vero neoconservatorismo restauratore che fa capolino persino in certe posizioni dell'ultimissimo Habermas». L'ESPRESSO: Siamo alla fine. Vogliamo provare a fornire al lettore una sentenza? Heidegger è solamente un complicato pensatore teutonico amante della Selva nera o invece il preannuncio del post-moderno? VA TTIMO: «Heidegger senza dubbio preferiva la Foresta Nera ma il suo è anche l'unico libro con cui si può andare a Los Angeles». FARIAS: «Già Vattimo, ma tanto più ci avviciniamo a Los Angeles tanto più torniamo a Masskirch. Premoderno e postmoderno si stringono la mano, non te ne accorgi?»



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