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Da Libro bianco.

Due domande a Lévinas

La Repubblica, 6 maggio 1988


SUL caso Heidegger i filosofi, non soltanto in Italia, sono molto divisi. Tra quelli che non hanno dubbi circa il suo filonazismo, oltre a Jurgen Habermas (del quale abbiamo pubblicato nello scorso ottobre una intervista sull' argomento), c' è Emmanuel Lévinas, allievo di Husserl, uno dei massimi interpreti della cultura ebraica, oggi ultraottantenne. In un intervento che risale al novembre ' 87, al momento cioè in cui divampavano in Francia le polemiche provocate dal libro di Farias, Lévinas raccontò di essere venuto a conoscenza delle simpatie naziste di Heidegger addirittura prima del 1933, quando cioè Hitler non si era ancora impadronito del potere. E raccontò del trauma che gliene era derivato: possibile che tra l' odio delirante e criminale urlato sulle pagine di Mein Kampf e il vigore intellettuale di un uomo, Heidegger appunto, che gli appariva come uno dei massimi filosofi del nostro tempo, non ci fosse una distanza incolmabile? Nello stesso scritto, Lévinas osservava che nessuna ricerca storica, nessun dato di archivio, nessuna testimonianza possono uguagliare, per ciò che riguarda la partecipazione di Heidegger al pensiero hitleriano, la certezza che ci viene dal silenzio da lui mantenuto sulla soluzione finale nel famoso Testamento, apparso dopo la sua morte sullo Spiegel. Perché, soggiungeva Lévinas, tutti gli altri delitti commessi dal regime hitleriano potrebbero ancora essere attribuiti alle inevitabili immoralità della politica; e tutte le forme di compromesso e di servilismo, frequentazioni ignobili, dichiarazioni e azioni indegne, potrebbero venirmesse in conto alla viltà o alla prudenza. Ma mantenere il silenzio, già in piena pace, sulle camere a gas... non è come un consenso all'orrore? In occasione della traduzione italiana del libro di Farias, abbiamo chiesto a Emmanuel Lévinas se voleva aggiungere qualche altra cosa a quelle da lui già dette. Ci ha risposto che, prima di Farias, lui stesso aveva documentato la persistenza, fino all' ultimo, del filonazismo di Heidegger (per esempio il fatto che a Roma, nel 1936, in occasione di un incontro con Karl Lowith, malgrado la pretesa rottura col regime, portasse sul petto una decorazione con la croce uncinata). Che un genio come lui sia stato hitleriano è una cosa che io non gli perdono, che nessuno gli può perdonare. Altra domanda: Lévinas, ritiene che abbia ragione Farias quando dice che c' è coerenza tra l' adesione al nazismo e la filosofia di Heidegger? Io penso a Sein und Zeit (Essere e tempo), che è un classico, un libro anticipatore. Non è un libro politico: per scorgervi i riflessi del nazismo, bisognerebbe guardarlo molto da vicino, forse troppo, voglio dire con idee preconcette. La filosofia va molto al di là della politica. E tuttavia il caso Heidegger resta un dramma. Nello scritto del novembre ' 87, aveva osservato: è difficile riconoscere il diabolico; per farlo, occorre uno sforzo intellettuale. Chi può vantarsi di riuscire a tanto? Il diabolico è intelligente, s' infiltra dove vuole. Che volete? Il diabolico dà da pensare.



Voci utilizzate nell'articolo

Silenzio di Heidegger

Approvazione dello sterminio


Metodi applicati

Onniscienza teoretica


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