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Da Libro bianco.

Il caso Heidegger

L’Espresso, 29 maggio 1988


Umberto Eco


Ritengo "Essere e tempo" uno dei grandi libri del nostro secolo, mentre lo Heiddegger numero due (in termini tecnici, quello dopo "la svolta") mi sta sulle scatole. L'ho detto. I nostri fratelli maggiori hanno fatto la Resistenza perché noi si possa dire che un filosofo ci sta sulle scatole senza per questo andare in galera. Ma Heidegger mi sta sulle scatole come San Bernardo di Chiaravalle, che ha contribuito a far ammazzare più ebrei e musulmani di quanto non abbia forse fatto Heidegger. Questo non mi impedisce di considerare entrambi con interesse, senza farmi travolgere dalla passione (salvo in questo momento, in cui sto confidando i miei sentimenti in un orecchio ai miei venticinque lettori dell'"Espresso"). Noi italiani (che leggevamo Heidegger sin dai primi anni Cinquanta, sia pure nella traduzione di Pietro Chiodi) saremo forse strana gente, ma abbiamo imparato benissimo a convivere con pensatori che sono stati responsabili, complici o sostenitori di regimi politici che non ci piacciono. Basta fare l'esempio Gentile. Il filosofo Giovanni Gentile ha pagato con la vita la sua scelta ideologica, e dal dopoguerra in avanti ci sono stati gentiliani di sinistra e gentiliani di destra. Voglio dire che ciascuno ha masticato il proprio Gentile, ne ha secreto gli aspetti che gli interessavano, lo ha integrato nel proprio quadro di riferimento filosofico, e ha fatto quello che occorre fare con i filosofi: digerirli.

Sono abbastanza persuaso che nella visione heideggeriana ci sia qualcosa che lo ha convinto ad aderire al nazismo, ma sono altrettanto persuaso che le analisi heideggeriane della "chiacchiera", della tecnica, o del rapporto dell'uomo con la propria morte, possano essere ripensate in un quadro diverso da quello in cui lui, alla fine, le ha inserite. Nello stesso modo capisco che la riforma scolastica di Gentile è coerente con il suo pensiero in generale, ma posso rifiutare la sua concezione dello Stato Etico e trovare eccellente l'idea che il miglior modo di insegnare filosofia sia quello che lui ha imposto ai licei, e cioè di studiarne la storia. Mi pare che i tedeschi, con Heidegger, si siano comportati nello stesso modo. Ma purtroppo sono entrati nel gioco i francesi e gli americani. Che Heidegger fosse nazista lo sapevano cani e porci. Nel 1965 Dagobert Runes, che ha fatto alcune divulgazioni popolari della storia filosofica, non eccelse ma oneste, aveva pubblicato un libretto ("German Existentialism", New York, Philosophical Library) in cui traduceva molti testi nazisti del grande filosofo. Forse meno di quelli citati da Farias, ma abbastanza per non farsi illusioni. Per inciso, in quegli anni, lo avevo anche recensito sull'"Espresso". Ma i francesi non leggono l'inglese, e i filosofi americani non leggono Runes.

I filosofi americani e francesi hanno due caratteristi che in comune: conoscono solo quello che viene tradotto nella loro lingua e sono sensibili alle mode. I francesi decidono che quando un moda è passata è finito un periodo di tempo, e gli americani decidono che quando è passato un certo periodo di tempo una moda è finita. I risultati sono gli stessi. In entrambi i casi, grazie ad alcuni mediatori poliglotti, Heidegger era penetrato nella loro cultura, e dopo un po' di tempo andava fatto fuori. Il libro di Farias è sintomo e causa del fatto che la moda doveva morire. I francesi si erano buttati su Heidegger perché dopo Sartre e Merleau-Ponty non avevano più un filosofo presentabile (Deleuze lo considerano poco, a torto, e Derrida aveva avuto troppo successo in ambienti non francesi, e quindi inferiori). Gli americani � dopo il neopositivismo logico (che hanno preso a prestito da austriaci e tedeschi) e la filosofia analitica ,che hanno preso a prestito da austriaci e inglesi) — sono diventati famelici di filosofia continentale (leggi: non analitica). Hanno messo insieme in uno stesso calderone Lévi-Strauss, Marx, Freud, Lacan, femminismo, cinema e Heidegger. Avevano una loro grande tradizione filosofica, il pragmatismo, e uno dei più grandi filosofi degli ultimi due secoli, Peirce, ma per complesso provinciale hanno sempre snobbato entrambi. Quando qualcuno ha rivelato a francesi e americani che Heidegger era cattivo, non hanno più saputo dove battere la testa, e ora stanno procedendo allo scannamento rituale di chiunque lo abbia mai nominato. Mi sembra più serio il dibattito sulle minigonne.



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