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Da Libro bianco.

Le risposte di Heidegger

Il Giornale, 25 aprile 1993


Stefano Zecchi


II pensiero è un lavoro quotidiano, diceva Heldegger, e nel pensiero ogni casa ci appare in solitudine e distesa nel tempo. Nel corso dl tutta la sua vita aveva rilasciato solo due interviste, e anche in queste circostanze la presenza della riflessione si era manifestata con tutta la sua forza di revisione di consolidate certezze e sempre come un esercizio consueto e naturale. Il volume Risposta. A colloquio con Martin Heidegger, introdotto con molta efficacia da Eugenio Mazzarella, oltre a raccogliere quelle due interviste, presenta una interessante rassegna di interventi di documenti di ricordi scritti da filosofi amici di Heidegger e da suoi avversari: ci sono testi di Löwith, di Jonas, di Jaspers, di Lévinas, di Arendt, di Beaufret, di Derrida. In essi viene discusso uno de gli aspetti più problematici della filosofia heideggerana, cioè il rapporto tra pensiero e azione, sia da un punto di vista teorico generale, sia da uno più specifico. Nelle interviste, una concessa a Richard Wisser e trasmessa dalla televisione tedesca (Zdf) il 23 settembre 1969, due giorni prima del compleanno del filosofo, l'altra rilasciata al settimanale «Der Spiegel» (e pubblicata in Italia con il titolo Ormai solo un Dio ci può salvare, Guanda 1986), ci appare innanzitutto un Heidegger sempre timoroso della pubblicità e in difficoltà di fronte ai grandi mezzi di comunicazione di massa, ma con una straordinaria, incrollabile fede nel pensiero e nel compito dl continuare a pensare, sempre di nuovo, la verità dell'essere. I libri di Heidegger affrontano anche problemi attuali come il significato dell'arte nell'epoca moderna, come il ruolo della tecnica, la funzione delle scienze... Tuttavia sembra che la specificità degli argomenti trattati si dissolva sempre, quasi per consentire al nocciolo essenziale di apparire nella sua giusta luce. Ma allora che rapporto c'è tra la filosofia di Heidegger e la società, di cui egli interroga le sue componenti più rilevanti? Che relazione si può stabilire tra il pensiero e l'azione? Sono interrogativi su cui insistono molto gli intervistatori di Heidegger, forse anche per cercare di mettere in contatto un grande filosofo con la realtà quotidiana, con i problemi della gente che ha la necessita di realizzare nella pratica una riflessione che giunge da una personalità di altissima autorevolezza.

E invece niente: Heidegger disillude i suoi intervistatore e quanti potrebbero credere che la filosofia passa incidere sulle cose del mondo. «Lei vede un compito sociale della filosofia?», viene chiesto ad Heidegger, e la risposta e semplice e disarmante: no. Eppure, pur irremovibile da questa prospettiva, Heidegger da una spiegazione che illumina l'efficacia tutta particolare dell'azione del pensiero. Qualsiasi trasformazione del mondo, egli osserva, presuppone un mutamento della nostra rappresentazione del mondo, che può ottenersi solo con una vera e nuova interpretazione del mondo: questo é il compito più autentico del pensiero. Qualunque forma di azione sarà successiva e conseguente a questa interpretazione: in questo senso diventa essenziale consolidare il legame con la tradizione, non perdere di vista ciò che ci ha determinato nella nostra realtà storica.

Che cosa significa allora per Heidegger il 1933, l'anno dell'ascesa al potere di Hitler? Nell'intervista a «Der Spiegel» il filosofo spiega i retroscena politici della sua assunzione del rettorato e il suo progetto di riforma dell'Università («superare l’organizzazione tecnica degli studi»), parla delle illusioni e del fallimento dl questa iniziativa, delle difficoltà e delle ostilità incontrate dopo l'abbandono del rettorato e degli anni del dopoguerra. Nelle parole di Heidegger ritorna costante, quasi angoscioso, il problema del rapporto tra pensiero e azione. La filosofia, egli dice, non potrà produrre alcuna trasformazione immediata del mondo attuale, e di fronte all'immane potenza dell'apparato scientifico «ormai solo un dio ci può salvare». Dobbiamo prepararci, attraverso il pensare e il poetare, ad essere disponibili all'apparizione di questo dio o, per sempre, alla sua assenza. E dobbiamo cercare di non recidere legami che e uniscono alla tradizione culturale che ha generato l'Occidente: in questa prospettiva è di grande interesse il dialogo di Heidegger su Eraclito con il suo vecchio allievo Eugen Fink, titolare della cattedra a Friburgo che fu un tempo del maestro. Il libro che raccoglie questo dialogo, introdotto da un bel saggio di Mario Ruggenini, illustra la grande sfida intrapresa da Heidegger contro il tempo per tornare all'origine del pensiero dove e custodita la verità del nostro essere uomini nel mondo.



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