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Da Libro bianco.

Hannah e Martin. L’amore oltre l’idea

BIOGRAFIE Nuovi particolari sulla tormentata relazione fra Martin Heidegger, il filosofo vicino ai nazisti, e l’ebrea Arendt, la teorica della democrazia morta 20 anni fa.

Il legame fra l’ex studentessa e il professore continuò anche nel dopo guerra quando lei cercò di riabilitarlo. Si erano conosciuti all’università nel ’24. Era fuggita negli Usa nel ‘41 ma si commosse quando tutti lo condannarono.


Corriere della Sera, 3 novembre 1995


Ennio Caretto


WASHINGTON. L’autrice, Elzbieta Ettinger del Massachusetts Institute of Technology, gli ha dato un titolo volutamente umile: «Hannah Arendt e Martin Heidegger». Ma a vent’anni dalla morte di due dei più grandi filosofi del secolo (spirarono a cinque mesi di distanza l’uno dall’altro) il suo volumetto di 150 pagine è stato una bomba culturale, a parere di Alfred Kazin, «un documento storico che desterà scalpore». Per due ragioni: che racconta per la prima volta nei dettagli la loro tragica storia d’amore di ragazza ebrea e d’ideologo nazista, durata mezzo secolo; e che propone un riesame critico dei loro caratteri e delle loro opere, della Arendt, innanzitutto.

Basato sulla corrispondenza inedita di questi due giganti del pensiero, che divennero amanti nel 1924, lei studentessa diciottenne, lui professore trentacinquenne, sposato e con due figli, il libretto sottolinea il tormentato rapporto di dipendenza intellettuale ed emotiva che Hannah formò con l’arrogante «piccolo mago di Friburgo» fin dal primo incontro. Rapporto, ha osservato lo storico della filosofia Richard Wolin, da «Portiere di notte», di cui la Arendt non riuscì più a liberarsi.

La chiave di lettura di Hannah Arendt e di Martin Heidegger fornita da Elzbieta Ettinger ha suscitato polemiche roventi. Il libro intacca il mito femminista della pensatrice ebrea, e illustra l’influenza che Heidegger esercitò sul suo lavoro. Di riflesso, riduce la statura del filosofo tedesco, «una strana mescolanza di razzismo, di romanticismo e corruzione», come commenta il critico Richard Cohen. E, in particolare, spiega perché la Arendt abbia dedicato un terzo della sua esistenza, dal ‘50 fino alla morte, a riabilitare il suo Pigmalione. Lo stesso da lei accusato, in una lettera del 1933, di essere corresponsabile, in quanto rettore dell’università di Friburgo, delle leggi antisemite; e definito, in un’altra del 1946, «un potenziale assassino» per avere rifiutato di aiutare i colleghi ebrei.

Hannah Arendt e Martin Heidegger s’incontrano all’università di Marburgo nell’autunno del 1924. Lei è una ricca ebrea baltica, viene da Koenigsberg, la città di Kant. Devastato dalla sifilide, il padre è morto undici anni prima, la madre s’è rimaritata dandole due sorelle, una delle quali si suiciderà nel 1930: Hannah ha scritto un saggio, «Ombre», in cui lamenta la «giovinezza tradita, senza più speranza». Lui invece è già un mostro sacro della filosofia. «E’ amore a prima vista — scrive Ettinger — e Hannah ne sarà travolta». I primi incontri hanno luogo nello studio di Heidegger, quelli successivi a casa sua (lui le segnala via libera con una lampada), infine in un appartamento presso l’università. Quando la moglie, Elfride Petri, ne ha sentore, Martin induce Hannah a spostarsi a Heidelberg. Gli incontri finiranno nel ‘28. E’ il professore a troncare il rapporto con l’allieva. Lei ne è distrutta: «Ti amerò per sempre — gli scrive — e se c’è un Dio ti amerò ancora meglio da morta». Ma si sposa con un discepolo di Heidegger, Gunter Stern, da cui divorzierà nel ‘37 per risposarsi, dopo essersi rifugiata in Francia, con Heirich Bluecher. Le strade dei due amanti divergono: Martin, assurto a celebrità mondiale con «Essere e tempo», pubblicato nel ‘27, diventa l’ispiratore e il cantore del nazismo, e Hannah prende coscienza della propria etnia. Pubblica una biografia di Rahel Varnhagen, la famosa «maitresse de salon» di Berlino dell’inizio Ottocento, dal significativo sottotitolo di «La vita di una ebrea», e si adopera per il trasferimento degli ebrei in Palestina. Nel ‘41, si stabilirà in America.

Sono gli anni della rottura. Nella mente della Arendt martellano passi dei discorsi di Heidegger: «Non lasciatevi governare dalle dottrine e dalle idee, il Führer è il presente e il futuro della Germania ed è la sua legge». E’ il momento dell’autonomia, la quale sfocia nella stampa del capolavoro della Arendt, «Le origini del totalitarismo» nel 1951. Ma di un’autonomia temporanea.

La notizia che Heidegger è stato processato per collaborazionismo e spogliato dell’insegnamento, della pensione, e financo della sua biblioteca per sonale, che anche gli amici lo hanno abbandonato («Non si può presentare un simile maestro ai giovani di oggi» testimonia il filosofo Karl Jasper), risuscita il passato, commuove Hannah e la spinge a riprendere i contatti.

Per Hannah Arendt è la rinascita dell’amore. Il nuovo incontro, nel ‘50, la sublima: «Quella sera e la mattina successiva — confida — sono la conferma di tutta una vita, una conferma inaspettata». Ma Elzbieta Ettinger non dubita che Martin sia mosso da altre considerazioni: «Ha bisogno di un ambasciatore, e Hannah è la più adatta... è un’ebrea famosa, e il suo appoggio lo può scagionare dall’accusa di antisemitismo». Presto Heidegger pone alcune condizioni: Hannah deve diventare amica della moglie, e gli incontri, solo più platonici, devono avvenire a tre. La Arendt non si rassegna: difendendo l’ex amante, ne responsabilizza la consorte. E’ stata lei a spingerlo al nazismo, Heidegger «ha rimediato al proprio errore più in fretta persino di chi lo ha condannato».

Secondo Richard Wolin, autore del libro «Il pensiero politico di Martin Heidegger», il riavvicinamento al filosofo tedesco e la lotta per ripristinarne il prestigio finiranno per influire sul pensiero di Hannah Arendt. Il volumetto di Elzbieta Ettinger non ne sarebbe che una dimostrazione. Ciò non trasparirebbe tanto da «La condizione umana», quanto dal controverso «Eichmann a Gerusalemme». La pubblicazione di quel libro causò scandalo per le sue critiche della leadership ebraica e la tesi che il nazismo aveva «portato al crollo della moralità non solo in Germania ma in quasi tutti i Paesi e tra le sue vittime». Come non era riuscita a liberarsi dalla perversa magia personale di Heidegger, così la Arendt non sarebbe riuscita a liberarsi dell’eredità filosofica.

Wolin sostiene che nel suo pensiero era rimasto un substrato elitista: la passione per l’attività rivoluzionaria e un certo scetticismo della prassi parlamentare. Ricorda che Hannah Arendt scrisse: «La mentalità democratica tende a ignorare la mancanza d’interesse di parte della popolazione nella politica... di rado il talento politico può imporsi in una società egualitaria».



Voci utilizzate nell'articolo

Hannah Arendt

Statura di Heidegger

Riabilitazione

Assassino potenziale

Frase sul Führer

Antisemitismo

Colleghi e studenti ebrei

Il nazismo di Elfride


Metodi applicati

Acritica delle fonti


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