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Da Libro bianco.

Heidegger: una psiche contorta

IL CASO Era schizofrenico? La tesi sostenuta in un libro di uno psichiatra tedesco


La Repubblica, 7 agosto 1997


Paola Sorge


In fondo c' era da aspettarselo: chi è stato non solo uno dei maggiori filosofi del nostro secolo, ma anche uno dei personaggi più discussi e inquietanti degli ultimi cinquant'anni, venerato e disprezzato per la sua personalità carismatica e ambigua, considerato maestro e ciarlatano, definito "re della filosofia" e sciamano della parola, non poteva sottrarsi ad un'analisi della sua psiche, ad un esame ravvicinato e profondo del suo io interiore come solo uno specialista poteva fare. Proprio quell'esame che Heidegger - il quale odiava psicologi e psicanalisi- volle disperatamente evitare per tutta la vita e che viene compiuto oggi da uno psichiatra di Monaco sulla base delle numerose e anch'esse dibattutissime biografie - la più recente è quella di Rudiger Safranski - del filosofo tedesco. La diagnosi del professor Paul Matussek, contenuta in un libretto da poco uscito in Germania presso l'editore Springer (Analytische Psychosentherapie, pagg. 127), è piuttosto scioccante: la personalità di Martin Heidegger rivela, secondo lo psichiatra, una tendenziale schizofrenia. La sua stravaganza, l'eccentricità, lo stile manierato, a volte oscuro del suo linguaggio sono considerati segnali allarmanti di una pericolosa, sempre crescente fissazione del filosofo sul proprio io pubblico a discapito di quello privato, estremamente fragile, tenuto costantemente al riparo da sguardi estranei. Le sue pubbliche "messinscene", il suo sempre più stravagante e incomprensibile filosofare, la sua stessa maniera "esistenzialista" di vestirsi che lo faceva assomigliare a un contadino dello Schwarzwald piuttosto che a un docente universitario, non sarebbero che una maschera che ha la funzione di nascondere la perdita del suo io privato. A queste conclusioni lo scienziato di Monaco arriva dopo una vera e propria rivisitazione in chiave psicoanalitica della vita del filosofo, iniziando naturalmente dall'infanzia e dando risalto a episodi finora trascurati dai biografi, che rivelano innanzitutto la smisurata ambizione del piccolo Martin, figlio del sagrestano del paese. Un'ambizione nata nell'ambiente povero e provinciale di Messkirch divisa dalla lotta fra i cattolici dissociati, più abbienti e arroganti e i cattolici fedeli a Roma, più modesti, a cui apparteneva la famiglia Heidegger. Fomentata dai genitori e dal parroco che vogliono fare di lui una grande personalità ecclesiastica, è forse proprio questa ambizione, che in realtà nasconde una debolezza interiore, a precludergli la carriera nell'Ordine dei gesuiti: entrato a far parte del noviziato di Tilsis nel 1909, Heidegger viene dimesso dopo appena 14 giorni. Ufficialmente per disturbi cardiaci psicosomatici; ma questi, ipotizza l'autore del libro, possono essere stati solo un pretesto per mandarlo via, evidentemente Martin non era riuscito a convincere il padre Paul de Chastonay, suo insegnante. Con il tempo cresce sempre più la sua "paura paranoide" di fronte a valutazioni negative della sua persona; Heidegger cerca un ruolo speciale che lo elevi al di sopra degli altri, che lo renda immune da critiche, che gli risparmi il contatto con il suo io profondo; e ci riesce, riesce a incantare a Marburg folle di studenti con le sue teorie affascinanti, a volte incomprensibili. Ed ecco il suo ammantarsi a guida spirituale della giovanissima Hanna Arendt con la quale si incontra di nascosto nella "capanna" di Todtnauberg, mentre fa di tutto per mantenere all'esterno l'immagine di marito fedele. Poi Heidegger si convince di essere il "Fuhrer del Fuhrer", la guida spirituale di Adolf Hitler; quello che Safranski chiama nella sua biografia "un salto mortale filosofico nella primitività", la sua adesione cioè al nazionalsocialismo nel '33, assume qui una diversa valenza. Heidegger non è un precursore di Hitler, non ha in sé germi nazisti, come sostiene Victor Farias nel suo libro sul filosofo tedesco insistendo sul fatto che già a vent'anni il filosofo era un ammiratore di Karl Lueger borgomastro antisemita di Vienna; né la sua svolta nazista si deve alla rottura con la Chiesa cattolica, come ipotizza Hugo Ott nella sua biografia: la ragione è, secondo Matussek, in questo suo mettersi sempre in vetrina, nel cercare sempre nuovi spazi per la sua megalomania, mete sempre più alte da raggiungere. Martin Heidegger non ammetterà mai le sue colpe. Si allontanerà dal nazismo quando si accorge con grande pena che i seguaci di Hitler non lo prendono sul serio. Qualcuno di essi cerca di screditarlo, come Erich Jaensch, ordinario di psicologia, che lo definisce uno "schizofrenico pericoloso"; ma finora nessuno aveva dato credito a questo giudizio, peraltro eccessivo, dettato dalla gelosia. Ernst Nolte, che fu allievo di Heidegger e seguì affascinato il suo corso di lezioni sulla dottrina del logos di Eraclito tenuto nel '44, riconosce che in effetti la sua persona, il suo abbigliamento erano piuttosto stravaganti. "Ma quando saliva in cattedra, si assisteva ad una completa trasformazione, diventava serio, chiaro, convincente", ricorda. "Bisogna fare attenzione alle teorie degli psichiatri e al loro modo di interpretare le cose", ammonisce. "L'enigma Heidegger rimane", ammette lo stesso Matussek; egli ha cercato solo di spiegare alcuni aspetti della personalità del filosofo che hanno fatto discutere e faranno ancora discutere gli studiosi, come quella sua totale incapacità di riconoscere le sue colpe, quel suo rinchiudersi in se stesso, specie dopo il crollo psichico del '46. In fondo la vita di Heidegger vista da questa angolazione appare uno sforzo eroico e geniale per evitare di subire analisi, terapie, medici e medicine.



Voci utilizzate nell'articolo

Salute mentale

Guidare il Führer

Oscurità

Fascinazione

Foresta nera

Abbigliamento stravagante

Assenza di autocritica


Metodi applicati

Acritica delle fonti


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