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Da Libro bianco.

Jünger, l’onore negato

Dopo la morte dello scrittore, la Sinistra continua a coltivare un antico equivoco

Più facile sdoganare l’oscuro Heidegger

Perché considerare con fastidio il limpido pensiero dello scomparso e osannare invece il filosofo nazionalsocialista?


La Stampa, 11 marzo 1998


Enzo Betizza


IN margine alla recente morte del centenario Ernst Jünger si son potuti leggere diversi giudizi coinvolgenti non solo l'opera dello scrittore deceduto, ma anche di altri suoi illustri coevi e precursori che assieme a lui, talora più di lui, avevano contribuito alla formazione e alla diffusione del cosiddetto «pensiero negativo» germanico. Per intenderci: quella linea speculativa ed estetica che, dipartendosi dall'ipocentro hegeliano della filosofia romantica tedesca e dalla poesia misticheggiante di Hölderlin, doveva trovare il suo apice sinfonico in Nietzsche per arenarsi, infine, al macigno che molti considerano come la pietra angolare della filosofia di questo secolo: l'enigmatico nazionalsocialista Martin Heidegger, l'allievo prediletto e poi ripudiato dall'ebreo Edmund Husserl.

Le commemorazioni italiane di Jünger, dove non si poteva ignorare il grande Heidegger, mi sono apparse nell'insieme o ambigue, o reticenti, o perfino falsificanti. Soprattutto una certa orfana cultura di sinistra, specializzata da alcuni anni nelle opere di recupero e di restauro dei maggiori pensatori tedeschi di destra, ha dato l'impressione di non voler concedere allo scomparso neppure la metà dei valori e degli elogi che essa continua, invece, a riversare sull'opera tenebrosa e quanto mai insidiosa di Heidegger. Succubi come Croce e Gentile del Reich filosofico germanico, più che mai ipnotizzati dalla sacra triade Hegel Marx Heidegger, i tardivi sdoganatori italiani del «pensiero negativo» hanno finto di non vedere il posto d'onore che lo stesso Heidegger assegnava alla vasta e poliedrica produzione jüngeriana nella letteratura europea. Anzi m'è sembrato che ai loro occhi offuscati e affascinati dalle oscurità heideggeriane, apparisse quasi un demerito il fatto che Jünger scrivesse in una lingua nitida, comprensibile, non provinciale, per niente teutonica. Dirò di più: m'è parso addirittura che desse loro fastidio che Jünger fosse, pure moralmente, più nitido dello sfuggente e sapiente santone di Messkirch.

Non considero quindi un caso che i curatori dell'inserto culturale dellUnità abbiano poco gradito le parole con cui, proprio su questa pagina, evocavo la figura morale di Jünger contrapponendola al «nichilismo teutonico abbarbicato alla prassi politica nazista di Heidegger». L'estensore della puntura di spillo nei miei confronti metteva in dubbio che io avessi mai letto una riga del «luogotenente del nulla» di cui lui, sdilinquendosi, lodava, con la didascalica superficialità dell'orecchiante, il «pensiero rarefatto e allusivo». I due aggettivi, disinvoltamente usati dall'estensore, centravano tuttavia a sua insaputa il bersaglio: dimostravano l'intera ambiguità di un pensiero volatile, e di un gergo provinciale inautentico secondo Adorno, basato spesso su puri giochi di parole elusive e di illusionismi lessicali. Mi spiace per l'estensore dellUnità, il quale, barando o ignorando, sorvolava con indulgente e pudica levità su «certe compromissioni», politiche (non meglio specificate) di Heidegger e sentenziava che il «conservatore Jünger si sbilanciò molto di più», a favore del nazismo! Mi spiare doverlo contraddire e ripetere con desolata fermezza che ancor sempre, dopo una personale indigestione heideggeriana di «essere» e «tempo», di «essente» ed «ente» di «esserci» e «coesserci», resto convinto che fra il pensiero teutonicamente allusivo e rarefatto dell'illusionista di Messkirch e le sue perseveranti quanto aberranti convinzioni politiche c'è una connessione, che forse non si vede di primo acchito, e che proprio perciò è tanto più profonda e più viscerale. Certamente il vero grande Heidegger fu quello che dava sfogo, smalto, brivido, novità apocalittica alla sua portentosa erudizione nelle lezioni che elevavano all'estasi le folle studentesche nelle antiche università di Friburgo e di Heidelberg [sic!]. L'oratoria maieutica del maestro dell'Essere e del Nulla era indubbiamente trascinante, culturalmente più articolata e più elaborata dei suoi scritti escatologici, dove la verità per il vivente smarrito iniziava dalla morte e dove la parola isolata, inventata, «rammemorante», staccata da ogni griglia sintattica e perfino grammaticale, alludeva più alla mistica, alla musica, alla cupa poetica holderliniana, che all'avvio di un coerente ragionamento filosofico.

Tutto questo al pari del pensiero pessimistico e militarizzato di Spengler, toccava in profondità le fibre spirituali dei giovani e di tanti intellettuali allo sbando nel clima già prenazista, di confusione ideologica e di tragedia, che in quegli anni di svolta aleggiava sul cadavere della Repubblica di Weimar. Tutto questo eclettismo funereo, da fine d'epoca, piaceva anche ai più sofisticati politici nazionalsocialisti. Essi, nell'oratoria gnostica del Maestro, perfino nelle catacombe lessicali del suo Sein und Zeit, potevano ritrovare, al di qua degli slogan propagandistici tesi al vitalismo bruno e al futurismo millenaristico, le pulsioni di morte, di sangue, di suolo nibelungico, di distruzione nichilistica, che affondavano nella radice più intima del loro movimento delinquenziale. Nel 1933, quando il professore diventerà rettore dell'università di Friburgo, la sua adesione anche formale al nazionalsocialismo non sarà affatto una «conversazione»; sarà piuttosto lo sbocco fatale, fisiologico, del suo modo di pensare nel suo modo d'essere.

Nel famoso discorso ufficiale di rettorato del '33, discorso castrense e brutale, in cui il gergo d'epoca si fondeva nella forma più ipnotica col linguaggio heideggeriano, egli e il suo pensiero s'identificheranno misticamente con il Führer e col movimento che andava conquistando la Germania. Persevererà non nell'errore, ma nel convincimento sincero, asserendo in un altro discorso pubblico: «Il popolo tedesco è chiamato dal Führer alla scelta. Ma il Führer non chiede niente al popolo. Egli dà piuttosto al popolo la possibilità più immediata della suprema decisione libera: se esso, il popolo intero, vuole il suo proprio esserci oppure non lo vuole». Qui troviamo il meccanismo concettuale proprio all'esistenzialismo, la decisiva libera scelta con cui sottrarsi alla morte e al niente, la scelta suprema con cui realizzare il Dasein, che in tedesco significa «esserci», e «destino», dell'eletta stirpe germanica. Nel 1934 Heidegger, forse turbato dall'eccidio perpetrato dalle SS hitleriane ai danni della sinistra movimentista e populista del partito, le SA di Röhm, nel cui radicalismo egli stesso si riconosceva, rassegnerà le dimissioni dal rettorato; ma resterà iscritto al partito, come «frazionista» tollerato e rispettato dal Führer, pagando i bollini della tessera fino al 1945. Dopodichè, vivrà ancora diversi anni, chiuso nell'eremo della Selva Nera, senza abiurare la fede nazionalsocialista e senza spendere mai una sillaba di biasimo o di rimorso a proposito di Auschwitz e dell'Olocausto. Ancora nel 1966 il suo saggio su Hebbel, Dichter in der Gesellschaft (il poeta nella società), osannerà alla missione sacrale del Volk e apparirà intriso di gergo nazista da Blut und Boden.

Jünger partecipò all'attentato del 1944 contro Hitler. Irreprensibile ufficiale della Wehrmacht a Parigi, durante l'occupazione. Protesse e salvò molti intellettuali anche ebrei. Non risulta che abbia mai preso la tessera nazionalsocialista e, se l'ha presa, deve averla stracciata assai presto. Gentiluomo anarchico, conservatore edonista, non sopportava la volgarità plebea del «caporale austriaco» e dei suoi accoliti. Il romanzo di maggiore successo, Sulle scogliere di marmo, può essere letto come una metafora del pericolo nazista incombente sull'Europa, cui il poeta soldato, per diversi aspetti simile a D'Annunzio e a Montherlant, oppone un radicale aristocraticisimo estetizzante. Eravamo nel 1939. Anno in cui Heidegger seguitava a proclamarsi nazionalsocialista puro e deluso, continuando però a collaborare con Rosenberg e Krieck alla Gleichschaltung nazista del mondo culturale e accademico. Può darsi che il germe del crimine salvifico, la vocazione tutta tedesca alla distruzione e all'autodistruzione, si occultassero fra le pieghe cifrate della meditazione heideggeriana e venissero rimossi dallo stesso autore che li aveva inconsciamente confitti e avvolti nelle rarefatte penombre fra l'Essere e il Non-Essere. Non dimentichiamo che spesso, in Heidegger, il linguaggio della purezza ontologica si mescolava a quello della disumanità. Comunque, in attesa di una soluzione, giriamo volentieri quest'ultimo mistero esoterica del Maestro ai diligenti ma forse ingenui sdoganatori dell’Unità.



Voci utilizzate nell'articolo

Fascinazione

Oscurità

Discorso di rettorato

Dimissioni dal rettorato

Frase sul Führer

Simpatia per le SA

Iscrizione alla NSDAP

Foresta nera

Assenza di autocritica

Allineamento dellUniversità


Metodi applicati

Aggettivo squalificativo

Liaisons dangereuses


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