1980318IST

Da Libro bianco.

Tra i condannati dalla storia

La Stampa, 18 febbraio 1998


Enzo Bettiza


CON Ernst Jünger esce dal secolo uno dei suoi testimoni più totali e più controversi. Il connotato provocante della sua testimonianza letteraria, filosofica, politica oltre che umana è che essa ci giunge dalle sponde dei condannati dalla storia. Jünger, che pur non essendo mai stato un vero nazionalsocialista ha condiviso del nazionalsocialismo germanico pulsioni dottrinarie e avventure belliche, riuscì a nobilitare le sue cadute con un impegno culturale sofferto sui tavoli di scrittura e sui campi di battaglia. Dei tre grandi vegliardi riemersi compromessi dalle rovine della Germania nazista, Martin Heidegger, Carl Schmitt, Ernst Jünger, quest'ultimo è riuscito a redimere di più il male che la Germania ha inferto per due volte con due guerre mondiali all'Europa e al mondo.

Non a caso Jünger nel secondo dopoguerra ha voluto pubblicamente dialogare sia con Carl Schmitt nel libro Il nodo di Gordio, sia con Heidegger nella conversazione raccolta in Oltre la linea: due a fondo speculari con gli unici due grandi intellettuali che il nazismo riuscì a esprimere. Soprattutto nel dialogo con il filosofo Heidegger, egli tenne a sottolineare la sua propensione originaria a un tipo di cultura anarco conservatrice, estetizzante, spesso lontana dal nullismo razzista e dalla volgarità ideologica del nazionalsocialismo hitleriano più militante. A petto del nichilismo teutonico, fanaticamente abbarbicato alla prassi politica nazista di Heidegger, Jünger ha voluto mettere via via l'accento sui motivi più elevati che fecero di lui un soldato di ventura a suo modo onorevole e onorato degli eserciti germanici nella prima e nella seconda guerra. Si disse che partecipò in forma più o meno diretta all'attentato contro Hitler del 1944, ma che il Führer non osò portarlo al capestro tenendo conto delle croci di ferro e delle medaglie d'oro conquistate dallo scrittore sul campo fra il 1914 e il 1943. Per Jünger comunque, ufficiale di portamento e di galantomeria prussiana, Hitler rimaneva sempre e solo un grigio caporale austriaco.

A parte le grandi pagine vergate con una prosa d'arte unica nella letteratura tedesca, che ritroviamo nelle Scogliere di marmo del 1939, resteranno incisi nella memoria europea soprattutto i suoi diari di guerra. Dal racconto delle sue giornate di ufficiale dell'esercito d'occupazione tedesco a Parigi possiamo desumere quanto egli abbia contribuito a salvare il meglio della cultura francese nei difficili anni dell'invasione. L'ufficiale Jünger si trasformava soltanto nello scrittore e collega Jünger quando avvicinava, e forse proteggeva, de Monterland, Paul Valéry, André Gide, René Clair. Il paradosso della Francia occupata fu questo: che mentre a Vichy l'antisemitismo infuriava e la grande cultura francese deperiva, nella Francia gestita direttamente dai germanici Sartre poteva pubblicare La nausea, mentre nei cinema potevano essere proiettati i massimi capolavori del secolo come Les enfants du paradis e Guai des Orfèvres.

Certamente, anche nella radice spirituale di Jünger come nelle radici di Schmitt e di Heidegger ritroviamo prepotente e stimolante la grande ombra di Nietzsche. Jünger, soldato gentiluomo, fu un esteta e un poeta della guerra. Uno che vedeva nello scontro a viso aperto col nemico sempre rispettato uno dei maggiori pegni di serietà e verità dell'esistenza umana.

Si tratta di nobili cascami estetizzanti che hanno informato da cima a fondo tutta la sua produzione letteraria. Ma al di là delle tenebre che il suo estetismo vitalistico contiene, egli resterà nella repubblica delle lettere europee come uno dei più interessanti e onesti testimoni del tempo. Tanto più credibile proprio perché uomo della sconfitta e della perdizione della Germania nella prima metà del secolo.



Voci utilizzate nell'articolo

Metodi applicati

Onniscienza teoretica

Aggettivo squalificativo


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