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Da Libro bianco.

Vattimo e Cacciari divisi a sinistra. In nome di Heidegger

Contese: Giuseppe Cantarano classifica le correnti della filosofia italiana dopo il tramonto del marxismo. Al centro del dibattito il discusso pensatore tedesco.


Corriere della Sera, XXX marzo 1998


Carlo Formenti


Replicando a Bettizza, sarcastico nei confronti dei filosofi italiani di sinistra, fino a ieri marxisti e oggi heideggeriani di ferro, Gianni Vattimo ha spiegato: 1) che la riscoperta di Heidegger a sinistra non è di ieri; 2) che non tutti gli heideggeriani italiani sono di sinistra. La polemica coincide con la pubblicazione d'un saggio di Giuseppe Cantarano, Immagini del nulla. La filosofia italiana contemporanea (ed. Bruno Mondadori), puntigliosa classificazione delle correnti in cui si è divisa la sinistra filosofica del nostro Paese dopo l'abbandono della tradizione marxista. Abbandono che, secondo Cantarano, risale alla fine degli anni ’70, quando Gianni Vattimo e Massimo Cacciari iniziarono a «sdoganare» Nietzsche e Heidegger.

Si parla dunque di vent'anni fa, e in questo senso Cantarano dà ragione Vattimo. Ma solo in questo senso, perché poi ne rovescia il giudizio sugli schieramenti ideologici identificando proprio in lui il capostipite dell'ala heideggeriana «di destra» (termine che va naturalmente inteso qui come «destra della sinistra») e in Cacciari (che di Cantarano è stato il maestro) il capostipite dell'ala heideggeriana di sinistra. A dire il vero, le accuse reciproche fra questi schieramenti sono tutt'altro che inedite, ma la novità nell'intervento di Cantarano consiste sia nell'estensione degli argomenti raccolti, sia nello studio particolareggiato delle diramazioni interne alle due correnti

La «destra» si caratterizza per un'assunzione estetizzante del pensiero nichilista sull'asse Nietzsche-Heidegger, che conduce «a una paradossale sintesi dell'essere ridotto a pluralità di differenze». Il peccato originale di Vattimo, secondo Cantarano, consiste nel filtrare grande pensiero negativo tedesco attraverso la «metafisica francese della differenza» (Deleuze, Foucault, Lacan e i loro cugini minori alla Baudrillard). Si tratta d'una via che conduce a una sostanziale resa nei confronti della seduzione esercitata dai simulacri della tecnica (intesa soprattutto come virtualizzazione della realtà che ne neutralizza le tensioni tragiche). E che finisce per rovesciarsi paradossalmente, come dimostra la «conversione» di Vattimo a un cristianesimo «debole», in nuova domanda religiosa di senso. Cantarano arruola nella «destra» di Vattimo, accanto ai più scontati fratelli di «pensiero debole», come Rovatti, Eco e Ferraris, il sensismo neostoico di un Perniola e persino il radicalismo politico estetizzante di un Toni Negri.

A «sinistra» troviamo invece un'assunzione tragica del nichilismo. Qui, una volta superate le illusioni dello storicismo hegelo-marxista, non ci si lascia «sedurre dai tentativi di riconciliazione dialettica delle differenze», ma si «prende atto della condizione aporetica del pensiero contemporaneo». Il destino della tecnica viene accettato senza esaltazioni ma soprattutto l'attenzione si rivolge alla tecnica dell'amministrazione, alla nuova dimensione della polis, più che ai simulacri della comunicazione. E’ Cacciari che indaga l'Europa come Arcipelago, ma sono anche i suoi compagni di strada in riviste come «Il Centauro» e «Laboratorio politico», impegnati a confrontarsi con la sfida di una prassi politica che, nietzscheanamente, rinuncia a cercare fondamento nei valori (Tronti, Marramao, Esposito). Ed è anche Givone, allievo come Vattimo di Pareyson ma rimasto, contrariamente a Vattimo, fedele al pensiero tragico del maestro. L'opposizione sembra insomma delinearsi fra un nichilismo che potremmo definire neobarocco-cattolico se non addirittura gesuitico (esaltazione del compromesso, adattamento disincantato alle circostanze, elogio dell'apparenza, della simulazione e della retorica), e un nichilismo che potremmo definire tardoromantico con forti venature mitteleuropee, protestanti o addirittura ortodosse (l'idea dell'irriducibilità della differenza fra bene e male e della loro necessaria coappartenenza: Dostoevskij riletto da Pareyson, insomma). Ma che c'entra tutto questo con una definizione di schieramento destra/sinistra?. Non ha a che fare piuttosto con una controversia teologica, o meglio, con la sua estetizzazione? Forse dovevamo vivere una condizione di radicale secolarizzazione come l'attuale, per renderci finalmente conto della nostra profonda vocazione religiosa?



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