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Da Libro bianco.

Il Führer e il filosofo

Heidegger e la Politica. Escono, raccolti in volume, i suoi scritti politici. Dalla adesione al nazismo all’autodifesa.

Uno studioso francese prende le difese del filosofo e ridimensiona le accuse che lo videro pesantemente coinvolto nella propaganda hitleriana.

Ma fu solo un inganno quello in cui cadde l’autore di “Essere e Tempo”? Ecco la storia di quegli anni terribili e dei suoi retroscena.


La Repubblica, 1 maggio 1998


Antonio Gnoli


<<Tutto ciò che è grande sta nella tempesta», scriveva Platone nella Repubblica. Nessuno, più di Heidegger, almeno in ambito filosofico, sembra aver tenuto fede a quella celebre sentenza, che, ironia della sorte, egli pose come chiusa al suo discorso di insediamento come Rettore presso l'università di Friburgo. Correva l'anno 1933 e la Germania aveva un nuovo capo: Adolf Hitler. Il quarantaquattrenne Heidegger non poteva immaginare che quel discorso, a tratti oscuro e allusivo, sarebbe stato l'inizio dei suoi guai. Dopo le ricerche di Victor Farias e Hugo Ott, sono note le accuse che coinvolgono Heidegger nelle responsabilità con il regime nazista.

Fu oltremodo penoso conoscere i verbali dei processi, gli interrogatori, le misure restrittive (in particolare l'allontanamento dall'università, il tentativo di requisirgli la biblioteca, l’umiliazione del campo di lavoro) cui il filosofo fu sottoposto immediatamente dopo la guerra. La ommissione alleata, cui parteciparono accademici di spicco, fra gli altri lo stesso Jaspers, esaminarono le testimonianze oculari e scritte.

Le prove della sua compromissione col nazismo risultarono schiaccianti. La sua grandezza filosofica fu giudicata un'aggravante. Su Heidegger, e in particolare sul suo lavoro, scese per alcuni anni un imbarazzato silenzio, rotto in parte dalle poche manifestazioni di affetto che alcuni allievi e amici continuarono a tributargli. Nonostante che il suo pensiero abbia nel frattempo rotto l'embargo, fino a diventare una vera e propria moda, quella macchia, quella compromissione, nessuno è stato in grado di cancellare fino in fondo. Da ultimo ci ha provato François Fédier, allievo di Jean Beaufret, traduttore di Heidegger in Francia, che ha scritto una lunga e appassionata difesa del filosofo tedesco, nella prefazione ai suoi Scritti Politici, il volume edito da Piemme (pagg. 412, lire 40.000), sarà in libreria a giorni.

Parlare di scritti politici può apparire fuorviante, conoscendo la lontananza di Heidegger dalla "cosa pubblica". Anche se i suoi testi, fortemente teoretici, mostrano sia pure indirettamente, un interesse per il destino della politica nell'età della tecnica. D'altro canto, è pur vero, che negli anni 1933-34, la politica entra nell'orizzonte mentale di Heidegger e più esattamente vi compare sotto forma di interventi militanti. I discorsi, le allocuzioni, gli articoli danno la misura di quanto forte fosse in lui il coinvolgimento sul destino della Germania.

Dunque bene ha fatto Gino Zaccaria a curare l'edizione italiana degli Scritti Politici, molti dei quali già noti, ma che visti nel loro insieme - dal Discorso del Rettorato del 1933 all'Intervista al settimanale Spiegel che risale al 1966, ma pubblicata solo dopo la sua morte nel 1976 - ci offrono la possibilità di capire meglio il grado di coinvolgimento che il filosofo ebbe con il regime nazista. Tanto più che Fédier ha ritradotto i testi dal tedesco, provando a mettere sotto una luce filologicamente diversa alcune espressioni a prima vista molto infelici. Se il risultato doveva essere quello di ridimensionare l'accanimento con cui alcuni biografi si sono avventati sulle colpe di Heidegger, ebbene Fédier ha raggiunto l'obiettivo. Interessanti sono infatti le considerazioni che egli muove circa l'estraneità di Heidegger al movimento della rivoluzione conservativa, che in parte sfocerà in un appoggio dichiarato ai principi del nazionalsocialismo. Come pure è apprezzabile lo sforzo di rilettura del «Discorso del Rettorato», anche se qui non fa che riprendere e accreditare quanto lo stesso Heidegger dirà dopo il 1945 (e ribadirà nella Intervista allo Spiegel), e cioè che quel «Discorso», altro non era che una difesa totale del l'Università e della sua missione culturale che poco aveva a che fa re con i principi del nazismo. Di un certo interesse appare infine i modo in cui Fédier ricostruisce la nomina di Heidegger a Rettore, dimostrando l’infondatezza della tesi di coloro che videro in quella elezione un intrigo dell’ala accademica più oltranzista e coinvolta entusiasticamente nel nuovo regime.

Meno convincenti appaiono le pagine che affrontano il perché Heidegger entrò nel partito nazionalsocialista. Fédier lo motiva dicendo che l’ingresso gli avrebbe consentito di fronteggiare meglio quei militanti più esagitati, che pure operavano all’interno delle università. E d’altro canto appare quanto meno contraddittoria l’argomentazione secondo la quale l’intenzione di Heidegger fosse quella di depurare il nazionalsocialismo dei suoi aspetti malsani, Se li vide, fin da quel fatale biennio, non era più logico prenderne immediatamente le distanze?

Qui si arriva alla questione centrale: le colpe di Heidegger furono le stesse di tutti quei tedeschi che all'inizio aderirono al nazismo perché ne fraintesero il senso fino a non scorgere la portata criminale della sua politica? Ha ragione Fédier quando ci ricorda che un conto è giudicare un fenomeno politico dalle sue origini, altro è vederlo compiuto e storicizzato in tutti i suoi effetti. E non è certo irrilevante notare che la Germania con la sua crisi del 1929-30 accelerò tutte le questioni politiche, spiazzando la liberaldemocrazia e ponendo le basi per un'alternativa drastica fra bolscevismo e nazismo. «L'abilità di Hitler nel 1933», scrive Fédier, «fu quella di riuscire ad accreditarsi, agli occhi di una quantità sempre crescente di Tedeschi, come l'uomo politico che avrebbe concentrato tutti i suoi sforzi sull'unico obiettivo di stroncare la crisi».

Fu un inganno nel quale caddero in parecchi, incluso il celebre Heidegger. Lo si sarebbe potuto evitare? E' difficile rispondere, anche se il regime fin da subito aveva manifestato il suo volto efferato con la persecuzione degli Ebrei, il primato della razza, l'appello al sangue e alla terra, il rogo dei libri. Conosciamo la difesa successiva che Heidegger fece di quella famigerata scelta. Respinse alcune calunnie che lo accusavano di antisemitismo (nei riguardi soprattutto del suo maestro Husserl), invocò un'idea di compromesso, ammise di essersi sbagliato su Hitler. Ma da nessuna parte egli ha mai pubblicamente dichiarato: mi sono profondamente sbagliato e mi vergogno per quello che ho detto o che ho potuto scrivere in relazione al nazismo. Su questo Heidegger ha taciuto, preferendo nella sua grandezza rimanere nella tempesta.



Voci utilizzate nell'articolo

Discorso di rettorato

Oscurità

Rogo dei libri

Assenza di autocritica


Metodi applicati

Alzata del Genio


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