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Da Libro bianco.

Lo scacco di Heidegger

Le recensioni

Risanare il nazismo: sfida persa


La Stampa, 7 maggio 1998


Gianni Vattimo


L'IMMAGINE che domina tuttora l'opinione pubblica generale italiana dello Heidegger politico resta profondamente influenzata dal libro di Victor Farias, uscito da noi nel 1988 (Heidegger e il nazismo, Bollati Boringhieri); nel senso che anche i molti che non ne hanno mai condiviso i propositi e le conclusioni liquidatorie, hanno finito per non contestare la pretesa verita' dei fatti su cui riteneva di fondarsi. Il campo si e' diviso dunque, grosso modo, tra chi da' ragione a Farias (l'adesione di Heidegger al nazismo e' un segno della intima vocazione totalitaria, antidemocratica della sua filosofia; altro che sinistra heideggeriana), e chi sostiene che i fatti addotti da Farias saranno magari veri, ma non provano niente sulla sostanza della filosofia di Heidegger: o perche' le sue scelte politiche sono state solo una caduta morale, che non influisce in realta' sulla validita' delle tesi filosofiche (se Einstein fosse stato nazista non per questo cadrebbe la relativita'), ed e' l'idea espressa icasticamente da Richard Rorty per il quale questo Heidegger va giudicato semplicemente un "figlio di p..."; o perche', come credo piu' giusto pensare, Heidegger ha a un certo punto frainteso il senso stesso del proprio pensiero (la radicale differenza dell'essere dall'ente) credendo di poter riconoscere in un ordine storico determinato la realizzazione dell'autenticita' dell'esistenza. Tuttavia, immediatamente dopo la pubblicazione dell'opera di Farias, era uscito in Francia, nel 1988, un importante lavoro di Francois Fédier, che fu tradotto anche in italiano nel 1993 (Heidegger e la politica, Egea). Gia' in quel libro, e in maniera ancora piu' convincente ed esplicitamente documentata nella raccolta di Scritti politici heideggeriani, Fédier mostrava come Farias avesse "pesantemente attentato sia al metodo sia alla verita' storica". La tesi di Fédier e' che non si tratti di spiegare o di giustificare in qualche modo il "nazismo" di Heidegger, dato per fatto accertato; ma di riesaminare i dati disponibili con un atteggimento di vera comprensione storica, che situi le scelte di Heidegger, la sua accettazione del rettorato di Friburgo nel 1933 e le sue dimissioni del 1934, nel clima dell'epoca e confrontandole con l'atteggiamento di tanti altri personaggi suoi contemporanei, a cominciare da Jaspers, che si cita sempre come la controparte "buona". Fédier riassume efficacemente la sua posizione in questa frase: "Non era possibile per nessuno, tra il 1933 e il 1935, prevedere, anche solo lontanamente, cio' che sarebbero divenuti un giorno i crimini dei nazionalsocialisti". Gia' in una lettera al fratello Fritz, scritta il giorno seguente (4 maggio 1933) alla sua adesione formale al Partito Nazionalsocialista, Heidegger spiega questa decisione con "la convinzione che sia un passaggio necessario per apportare al movimento nel suo insieme un risanamento e una chiarificazione". Nessun entusiasmo incondizionato per il nazismo e per il Führer, dunque; ma un calcolo politico - che certo si sarebbe rivelato sbagliato - diretto a liberare il nazismo allora trionfante anche in larghi strati della coscienza popolare e dell'intelligencija, da quegli aspetti barbarici, autoritari che sarebbero diventati clamorosi e definitivi negli anni successivi. Le dimissioni di Heidegger dal rettorato, che qualcuno ha persino voluto collegare alla sconfitta delle SA, quella parte del movimento nazista alle cui idee piu' radicali egli sarebbe stato vicino, sono invece motivate dal fatto che Heidegger riconosce, ben prima della fine della guerra, l'errore compiuto nell'accettare la carica con speranze di "risanamento". Su cio' e' molto eloquente l'importante testo del 1937, qui pubblicato da Fédier e finora inedito in italiano, su "La minaccia che grava sulla scienza": li' Heidegger parla esplicitamente dell'errore commesso nel credere che con il nazismo l'universita' avrebbe potuto far valere in modo nuovo ed efficace la propria forza di luogo di elaborazione creativa del sapere. Nello stesso testo, che fu presentato da Heidegger a un gruppo di lavoro delle Facolta' scientifiche di Friburgo, Heidegger prende anche una posizione sprezzante contro "il fatto che si studi scientificamente la razza"; e del resto, uno dei primi atti del suo rettorato era stato quello di vietare l'affissione all'interno dell'universita' del manifesto antisemita del gruppo piu' estremista degli studenti nazisti. Alla luce dei tanti documenti e della lunga e illuminante prefazione e postfazione di Fedier, anche il famoso discorso di rettorato del 1933 assume un significato diverso. E in genere, si apre (o si consolida) una terza via, per cosi' dire, nella discussione sul nazismo di Heidegger, diversa da quelle che hanno preso finora per buona la ricostruzione storica di Farias, anche spesso rifiutandone le conclusioni. Qui siamo di fronte a una ricostruzione equilibrata, che parte bensi' da un atteggiamento di simpatia per la filosofia heideggeriana (di cui Fédier e' stato traduttore e commentatore), ma che riorienta il dibattito sull'esame spassionato dei documenti e del clima d'epoca. Senza nessun compromesso con tanto revisionismo di moda, Fédier offre un contributo decisivo per riaprire l'accesso al pensiero di quello che, non senza ragione, e' stato chiamato "il maestro impossibile" del pensiero novecentesco.



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