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Da Libro bianco.

Heidegger nazista? No, Hitler heideggeriano

Polemiche: un nuovo libro sulle responsabilità politiche del filosofo

Che l’autore di “Essere e tempo” abbia sostenuto il Führer non è un mistero. Resta il problema: capire le suggestioni offerte dal pensiero tedesco alla più tragica avventura del ‘900


Panorama, 15 maggio 1998


Saverio Vertone


Messo in termini documentali, il dibattito politico su Martin Heidegger è chiuso. Victor Farias e Hugo Ott (schede d pagina 165) esagerano ma non inventano. Heidegger si è veramente iscritto al partito nazista, ha davvero invitato gli insegnanti tedeschi a votare per il Führer (referendum del 12 novembre '33), ha pronunciato il fatidico discorso del rettorato all'università di Friburgo, e ha salutato l'avvento di Adolf Hitler come l'annuncio di una rivoluzione destinata a rinnovare la prodigiosa eruzione (greca) dello spirito occidentale, attraverso il suo secondo inizio (tedesco). L'infatuazione per Hitler è durata solo un anno, ma c'è stata, e ha lasciato le sue tracce. Cosa ancor più grave, Heidegger non ha mai dato prova di pentimento. Ha respinto ogni addebito di antisemitismo ma non si è mai dichiarato antifascista, nemmeno nel dopoguerra. Se il verdetto sulla responsabilità politica di un filosofo è roba da procure, dove contano i documenti e il timbro dei nomi (che in Heidegger sono spesso incollati sui concetti come i francobolli sulle buste), insomma se la pratica giudiziaria deve attenersi alle procedure di smistamento di un ufficio postale, per il filosofo non c'è scampo. Si potrà concedergli le attenuanti generiche grazie all'assenza indiziaria di razzismo, ma la condanna sarà inevitabile. Non altrettanto sicuro è invece che sia giusto impostare il processo solo in questi termini. La difesa culturale che il francese François Fédier ha finalmente messo a punto pubblicando proprio gli Scritti politici più compromettenti di Heidegger (Edizioni Piemme, a cura di Gino Zaccaria, 412 pagine, 40 mila lire) dimostra che il giudizio su un sistema filosofico non può essere affidato esclusivamente alle procure ideologiche. Fédier non nasconde nulla. Anzi fornisce nuove prove a carico. Ma imposta la sua difesa negando legittimità a un procedimento di indagine che si limita allo slittamento poliziesco del pensiero, stringendo il materiale documentario tra una prefazione storica, che colloca i discorsi e le allocuzioni di Heidegger nella penombra tempestosa degli anni Trenta, e una postfazione interpretativa che si cala nei recessi mentali da cui sono scaturiti.

Difesa filosofica, dunque, contro accusa giudiziaria. Ma, appunto, difesa e accusa destinate a non scontrarsi, come non si possono scontrare un aereo e un sottomarino. Anzi, chi osserva da terra questi duellanti che si cercano nello stesso punto ma ad altezze diverse arriva a una conclusione salomonica: le prove [...]. interpretazioni culturali spiegano ma non dimostrano. Poiché la storia della filosofia non è un ufficio postale dove i timbri sono tutto, è bene attenersi anche e soprattutto alle interpretazioni. Fédier impernia la sua difesa attribuendo a Heidegger due eccessi contrari: uno di incomprensione e uno di preveggenza. Il filosofo avrebbe misconosciuto (conosciuto per difetto) la natura maligna del nazismo, ma in compenso avrebbe capito (anche troppo) la vocazione nichilista del nostro secolo. E cosi, l'adesione al nazismo riposerebbe su un non sufficiente sondaggio dei suoi impulsi criminali; mentre la non adesione all'antifascismo discenderebbe dalla straordinaria capacità di cogliere nell'idolatria dello sviluppo, che domina nelle attuati democrazie, la metamorfosi del nichilismo implicito nei due totalitarismi precedenti: comunismo e nazismo.

Che dire? Che Heidegger e il nazismo si sono almeno sfiorati e hanno sovrapposto un lembo della loro superficie grazie a un reciproco fraintendimento? Forse. Ma allora si impone un'altra sentenza salomonica. Se, dall'alto della sua filosofia, Heidegger non è stato nazista, dal basso della sua ideologia il nazismo è stato grossolanamente heideggeriano, come del resto è stato volgarmente herderiano, fichtiano, e nietzschiano, a dispetto del suo predominante positivismo biologico e tecnologico. La responsabilità, non certo morale, della filosofia tedesca ha origini lontane. E’ bastato che Heinrich von Kleist incontrasse Tacito e la sua Germania perché si formasse una pozione magica. Nel secolo del militarismo e dei conflitti nazionali la miscela romantica ha promosso l'identificazione di un popolo altamente evoluto con un modello barbarico. Il contatto tra il potenziale bellico della tecnologia e la forza estatica di una psicologia collettiva mortificata dagli insuccessi e affascinata dai primati ha prodotto dinamite. Non è colpa di Hölderlin, e neppure di Fichte, se l'infinito, o meglio un torbido sogno di infinito, è stato racchiuso nel cemento armato di un bunker concettuale, che è poi diventato una camera a scoppio. E non è una colpa per Heidegger aver cercato nel maso chiuso del suo Schwarzwald il pegno greco della rinascita tedesca, immaginando che l'affinità omerica della lingua, così priva di parapetti sull'abisso di astrazioni irrespirabili, così propensa a battezzare le cose che ci sono ma anche le cose che non ci sono, consentisse solo ai tedeschi di scrivere l' Iliade e l'Odissea dell'Essere, realizzando il grande epos moderno del pensiero metafisico, il secondo inizio della filosofia. Non è una colpa, certo, ma è un errore.

Che quello greco sia stato un avvio assoluto, come la nascita di Venere dalla spuma dell'Egeo, è un'ipotesi (tedesca) altamente discutibile. In ogni caso di inizi ne basta uno. Se dopo Parmenide non si trova più l'essere, se dopo Nietzsche di Dio c'è rimasto solo il cadavere, occorrerà accontentarsi della vita, colmando il vuoto con un supplemento di scetticismo da rivolgere non solo al mondo ma anche al suo specchio spirituale. Infatti, se bisogna diffidare della realtà, come non diffidare del pensiero? Questo la filosofia inglese lo ha capito da tempo. La tedesca no.



Voci utilizzate nell'articolo

Discorso di rettorato

Assenza di autocritica

Foresta nera

Oscurità


Metodi applicati

Onniscienza teoretica


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