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Da Libro bianco.

Heidegger e Celan dopo la fine del mondo

Germania. Dialogo a distanza tra il filosofo e il poeta sulla “perdita del significato” dovuta alla Shoah

(Due personalità diverse si misurano con l’indicibile “nulla” di Auschwitz)


Avvenire, 26 giugno 1998


Gianni Santamaria


Paul Celan e Martin Heidegger: ovvero due modi diversi in cui sono stati vissuti e visti retrospettivamente i drammi della Seconda Guerra Mondiale, del Terzo Reich, dello Sterminio degli ebrei. Il primo - ebreo rumeno di lingua tedesca, poeta «girovago» per l'Europa trapiantatosi a Parigi, dove si suicidò nel 1970 - cercò di dire poeticamente il nulla che da quella tragedia sembrava emergere come unico approccio possibile al mondo. Il secondo - filosofo tedesco di Meßkirch, nella Foresta Nera - oppose invece un fermo rifiuto a ritornare criticamente su quei tempi, che lo avevano visto simpatizzare con il regime nazista (i suoi Scritti politici dal 1933 al 1966 sono ora riproposti da Piemme a cura di Gino Zaccaria). La questione cruciale dei rapporti tra Heidegger e nazismo da un lato e un'analisi delle due diverse risposte che il filosofo del Dasein e il poeta della Shoah diedero alla perdita di senso del mondo dopo Auschwitz sono i temi al centro di un breve, ma denso saggio di Bruno Moroncini, docente di Filosofia morale a Messina. In Mondo e senso, Celan e Heidegger (Cronopio, Napoli, pagine 48, lire 10.000) l'autore distingue, e si direbbe giustappone, i due percorsi quasi a rievocare la distanza con la quale i due si guardarono.

Diffidenza testimoniata anche dal saggio di Giuseppe Bevilacqua, maggiore esperto italiano di Celan (e curatore del «Meridiano» Mondadori dedicato alle Poesie da pochi mesi in libreria) nell'ultimo numero della rivista Belfagor. Tramite una lettera di Heidegger, scritta nel gennaio 1968 e finora inedita, lo studioso ha ricostruito un incontro tra i due del 1967. In quell'occasione Celan donò al filosofo una poesia: Todtnauberg. Questa conteneva dei versi («la riga in quel libro / inscritta. / d'una speranza, oggi, / dentro il cuore, / per la parola ventura / di un uomo di pensiero») che implicitamente domandavano ad Heidegger un'espressione di condanna del nazismo. L'autore di Sein und Zeit replicando, riportava la discussione sul piano del «linguaggio poetico», dell'interpretazione. Celan non rispose. Eppure i due saggi di cui il libro di Moroncini è composto («La fine del mondo» per il filosofo, «La rosa di niente» per Celan) sorgono quasi uno dall'altro, sono pieni di rimandi e danno conto dell'interesse che i due nutrirono l'uno per l'opera dell'altro. Soprattutto per quanto riguarda il linguaggio in entrambi ermetico. Partendo dall'interpretazione «etica» di Heidegger data da Jean Luc Nancy (sotto l'influsso di Hannah Arendt) Moroncini ne mette in luce la doppiezza intrinseca «nel momento in cui si afferma che la dignità deve essere protetta dal nemico, proprio allora la dignità è spazzata via, messa sotto i piedi e ridotta in cenere». Nel piano dell'agire, al lasciar essere corrispondeva «l'incenerimento del mondo, il senso-mondo come cenere del senso».

Come dire allora Auschwitz, «buco nel reale», soggetto che «non si fa mondo», è «incomunicativo, radicalmente muto»? Se senso e significato non possono giungere a rompere l'afasia, lo può però il significante, «lettera muta che può corrispondere senza corrispondervi ad Auschwitz come privazione assoluta del senso». L'opposizione, spiega Moroncini, «non è tra parlare e tacere, ma fra la paradossale fratellanza di un parlare che si rivela impossibile e un tacere che non può fare a meno di parlare, da un lato, e un dire che sfida la lingua a dire il silenzio come tale». Da queste ceneri rinasce il fiore della poesia celaniana, la «rosa di niente», che «rimanda ad altri fiori-dei-morti». come la «leopardiana odorosa ginestra contenta dei deserti e l'asfodelo, il verdognolo fiore di William Carlos Williams». Una poesia, dunque, quella del sopravvissuto al sistema concentrazionario hitleriano che, «se deve dire il dopo, cioè il niente che separa il prima e il dopo», lo dirà a patto di essere una sopravvissuta essa stessa: «non alla vita - conclude Moroncini ma alla morte che le era destinata, attraverso la quale non è potuta non passare. La poesia è un di-più-di-morte è la morte che cresce e che fiorisce: una rosa di niente dal color di cenere».



Voci utilizzate nell'articolo

Silenzio di Heidegger

Diniego a Celan

Oscurità


Metodi applicati

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