1980724IMA

Da Libro bianco.

Heidegger in discesa libera

La difesa dell'adesione al nazismo come male minore

Gli Scritti politici di Martin Heidegger, una operazione editoriale di esegesi e santificazione del filosofo tedesco


Il Manifesto, 24 luglio 1998


Sandro Mezzadra


I1 libro che presentiamo, gli Scritti politici (1933-1966) di Martin Heidegger (con prefazione, postfazione e note di F. Fedier, a cura di G. Zaccaria, Piemme, pp. 412, £. 40.000), ha come ineludibile sfondo storico la Germania nazista. Più di molti discorsi e di raffinate concettualizzazioni storiografiche, un paio di «istantanee» possono forse aiutare a ricordare di cosa stiamo parlando. Nella notte tra il 20 e il 21 marzo del '33 la militante socialdemocratica Marie Jankowski fu aggredita da una ventina di Sa nella sua casa del quartiere berlinese di Köpenick. Spogliata e torturata per ore, fu interrogata sui suoi rapporti con la sezione locale del partito comunista; le furono chiesti i nomi di dirigenti politici e sindacali: Marie Jankowski non parlò. La raccolsero in fin di vita il mattino dopo, sulla strada davanti alla sede locale delle Sa. Alla fine di aprile dello stesso anno, a Bochum, Heini Schmitz, militante dell'organizzazione di difesa repubblicana Reichsbanner, stava chiacchierando con un amico vicino a casa. Aggrediti da un gruppo di nazisti furono condotti entrambi in un palazzo occupato dalle Sa. Dalla voce – e non dai volti ridotti a maschere di sangue – riconobbero due comunisti sottoposti a tortura di fronte ai loro occhi. I nuovi arrivati furono immediatamente spogliati e scaraventati a terra: i due militanti comunisti ricevettero l'ordine di frustarli. Rifiutarono. Fu allora rivolto a Schmitz e all'amico l'ordine di frustare i due comunisti. Anch'essi rifiutarono. Schmitz fu colpito da una gragnuola di colpi. Poi gli diedero qualcosa da bere. Era veleno: morì poche ore più tardi, dopo essere stato ricondotto a casa dei genitori. In entrambi gli episodi i Sieg Heil si saranno certamente sprecati.

Tutto ciò accadeva prima del «Discorso di rettorato» di Heidegger, tenuto il 7 maggio del 1933. E' dunque assai improbabile che Martin Heidegger, nel concludere con l'allocuzione Sieg Heil molti dei suoi successivi interventi pubblici, compisse un gesto paragonabile a quello con cui «ancora oggi», come ci informa in una dotta nota F. Fedier, «l'espressione Ski Heil ... viene impiegata, tra sciatori, per augurarsi una buona discesa». E' solo un piccolo esempio di quanto vi sia di irritante in un volume di nessun valore scientifico (i testi presentati sono tutti, o quasi, già noti al pubblico italiano: l'eccezione più significativa è la conferenza del '37 La minaccia che grava sulla scienza, uscita nell'edizione completa delle opere heideggeriane nel '91 e orribilmente mutilata da Fédier per estrarne le parti «politiche») e concepito con un preciso intento politico-culturale: restituire grandezza - pur nel riconoscimento del tragico errore - all'adesione di Heidegger al nazismo nel '33-'34, in un'epoca in cui il vero pericolo per la civiltà europea veniva da est, dal barbarico bolscevismo. Quando Fédier, dopo essersi dilungato sulla crisi apparentemente irreversibile della democrazia dopo il '29, scrive che «non c'è nulla di più umanamente difficile del dover prendere una decisione quando, dei due termini dell'alternativa, uno [il comunismo] sia un male reale, mentre l'altro [il fascismo] sia ancora in larga misura un male in potenza», la conclusione che il lettore è invitato a trarre è infatti palese: che cosa poteva fare in quegli anni un onest'uomo se non aderire a una qualche forma di fascismo? Nel suo libro sull'ontologia politica di Martin Heidegger, Pierre Bourdieu ha scritto righe a mio giudizio definitive sull'atteggiamento dei «custodi del deposito» verso la lingua del Maestro, verso quelle «parole che non dicono mai ingenuamente ciò che dicono o, che è lo stesso, che lo dicono sempre ma solamente in maniera non ingenua». Le scelte di traduzione adottate da Fédier (e da Zaccaria per quel che riguarda l'edizione italiana) sono un autentico regesto dell'idioletto esoterico prediletto dagli adepti. Si potrebbero fare numerosi esempi. Ma limitiamoci a quello più eloquente, relativo al titolo del Discorso di rettorato, Die Selbstbehauptung der deutschen Universität, tradotto dai comuni mortali con L'autoaffermazione dell'Università tedesca. Ora, Fedier svolge una serie di considerazioni non del tutto infondate sulla semantica del termine tedesco Selbstbehauptung. E tuttavia non stiamo parlando di Essere e tempo, ma di un discorso pubblico, destinato a essere commentato dai giornali e discusso nel paese. Propongo un esperimento mentale: come reagireste leggendo su Repubblica che il rettore dell'Università di Camerino ha tenuto un discorso dal titolo La quadratura in se stessa dell'Università italiana? E' questo, infatti, il titolo proposto dalla coppia Fédier-Zaccaria. Ma c'è di peggio.

Il prolisso saggio introduttivo di Fedier è in buona parte centrato sulla differenza tra «socialismo nazionale» e «nazionalsocialismo». In presenza di una rivoluzione, Heidegger avrebbe accettato il rettorato e si sarebbe iscritto al partito nel tentativo di «purificare il nazionalsocialismo da tutto ciò che lo allontana dall'essere un socialismo nazionale», radicalmente antibolscevico ma al tempo stesso «luogo di convergenza di tutte le energie positive» (non è una tesi originalissima: la sostenne lo stesso Heidegger in una lettera del 15 dicembre del 1945). Corre l'obbligo di segnalare che la ricostruzione di Fédier del clima intellettuale in cui sarebbe maturata già negli anni '20 l'opzione del «socialismo nazionale» si basa interamente sul vecchio libro di A. Mohler, Die konservative Revolution in Deutschland (la prima edizione risale al 1949): onestà intellettuale vorrebbe che almeno si segnalasse in nota il fatto che tale libro – così come la stessa formula «rivoluzione conservatrice» – è stato sottoposto a dure critiche in Germania negli ultimi anni (mi limito a segnalare il libro di Breuer, uscito anche in italiano da Donzelli). Ma lasciamo perdere: ammettiamo pure che la distinzione tra «socialismo nazionale» e «nazionalsocialismo» avesse un senso in Germania, tra la fine degli anni '20 e l'inizio degli anni '30. Ora, conosco piuttosto bene la lingua tedesca. E tuttavia non credo che tale conoscenza sia indispensabile per capire che la traduzione del termine Nationalsozialismus con «socialismo nazionale» è semplicemente un'impostura, una truffa, un'offesa alla buona fede del lettore. Mi permetto di far notare, per chiarire definitivamente il punto, che la pubblicistica di destra di età weimariana conosceva il sintagma nationaler (o deutscher) Sozialismus.

Tralasciamo per pietà gli aspetti più patetici del saggio di Fédier: l'interpretazione del «Discorso di rettorato» come appello alla resistenza, o il raffinato tentativo di mostrare come il ragionamento sui termini Gefolgschaft (seguito, obbedienza) e Führung (è necessario tradurlo?) rappresenti l'alto tentativo del Maestro di riformulare il concetto di uguaglianza. Il punto è che il contributo di Fédier (che si riallaccia al suo libro del 1988 su Heidegger e la politica, tradotto da Egea nel '93 a cura del fido Zaccaria) ha più o meno la stessa utilità, nell'impostare il problema dell’adesione di Heidegger al nazismo, di quello (di segno opposto) del suo più acerrimo avversario, Victor Farias. Riabilitazione o denuncia scandalistica, laddove si tratterebbe invece di leggere la filosofia di Heidegger anche attraverso la sua adesione al nazismo e di leggere il nazismo anche attraverso l'iniziale adesione ad esso di Martin Heidegger (si vedano in questo senso, come semplici esempi, il testo di Labarthe e Nancy, Il mito nazi e il volume di R. Wolin, The Politics of Being, New York, Columbia University Press, 1990). Non stiamo certo sostenendo che la sciagurata esperienza di Heidegger nel '33-'34 legittimi una qualsiasi forma di censura nei confronti del suo pensiero. Basta il riferimento a nomi come Jean Luc Nancy e Giorgio Agamben, Philippe Lacoue-Labarthe e Reiner Schürmann per intuire quanto possa essere produttivo un corpo a corpo con la filosofia heideggeriana dal punto di vista di un pensiero realmente critico, orientato a un ripensamento radicale dei concetti di libertà e uguaglianza. E per capire quanto siano state assurde e miopi certe antiche messe all'indice. Operazioni come quella di Fédier, tuttavia, si pongono su ben altro piano, su un piano in cui la santificazione del filosofo sommo si incrocia con la revisione del giudizio storico su un secolo il cui unico male radicale sarebbe stato il comunismo. Il contributo heideggeriano alla riflessione filosofica sulla politica lo si vada a cercare dove si vuole. Solo, non nel «Discorso di rettorato» e negli interventi pubblici coevi. Che cosa aveva mai da dire, infatti, il filosofo della Foresta nera agli studenti tedeschi? Parole chiare, per una volta inequivocabili: «lo studente tedesco passa ora attraverso il servizio del lavoro; affianca la Sa; fa il servizio sul territorio». Scusate, ma è molto meglio Totò: Studenti, ...studiate!



Voci utilizzate nell'articolo

Discorso di rettorato


Metodi applicati

Induzione di orrore

Presunzione di connivenza

Citazione selettiva


Altri articoli collegati

1980912IMA01

1980912IMA01


Vedi nei Documenti la lettera non pubblicata:

1980925DOC