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Da Libro bianco.

Se il nazismo diventa socialismo nazionale

Il Manifesto, 12 settembre 1998


Sandro Mezzadra


Ammetto senz'altro la «svista», rimproveratami da Zaccaria. Al momento di spedire l'articolo, senza avere sotto mano il volume recensito, ho notato che poco o nulla dicevo sul contenuto del medesimo. Di qui la lunga (e stilisticamente non felice) parentesi in cui ho indicato il luogo di edizione del testo tedesco della conferenza heideggeriana del '37 La minaccia che grava sulla scienza. Mi sono fidato della memoria e male ho fatto: sono appunto le classiche «sviste» che – in un saggio o in un volume – si eliminano correggendo le bozze. Solo che di un articolo scritto per un quotidiano le bozze notoriamente, non si correggono. Sbaglia tuttavia Zaccaria ad insinuare che la frase fosse «furbescamente concepita » per millantare conoscenze che non ho. L'impressione che il testo fosse «orribilmente mutilato» nasceva dalla semplice constatazione della frequenza con cui esso è interrotto – spesso in luoghi di notevole interesse – dai puntini di sospensione racchiusi tra parentesi quadre, a indicare appunto l'omissione di brani. Resta infatti la circostanza che il testo in questione – la principale «novità» presentata da Fédier – «consiste di alcuni frammenti estratti dagli appunti presi da Heidegger in vista di un lavoro da condurre». Mi pare decisamente un po' poco per assegnare «valore scientifico» – o più sobriamente editoriale – a un volume che si compone per il resto di testi già noti al pubblico italiano, «rinnovati» da scelte di traduzione quantomeno bizzarre, in linea con quello che Pierre Bourdieu (e non io) ha definito l'«idioletto» degli adepti. Per il resto comprendo – e in qualche modo apprezzo come segni di genuina passione intellettuale – l'indignazione e l'irritazione di Zaccaria. Mi limito solo a notare che esse sono pari a quelle provate da me leggendo il volume. E non capisco per quale ragione la mia indignazione e irritazione debbano essere ritenute «non genuine». Conosco bene il significato del termine amicizia e non mi sono mai particolarmente appassionato a congiure e complotti. Ciò non toglie che i frutti dell'amicizia - quando si presentano in veste di libri a stampa - debbano essere giudicati per quello che sono. E sul volume in questione posso solo ribadire quanto da me già affermato. Prendo atto d'altronde che Zaccaria evita di scendere nel dettaglio delle mie affermazioni - presentate certo con una qualche «foga» ma anche sostenute da qualche fondata «pezza d'appoggio». Mi limito dunque ad alcune considerazioni sugli unici due punti a cui Zaccaria accenna nella sua lettera. Per quanto concerne la consonanza del lavoro di Fédier «con la revisione del giudizio storico su un secolo il cui unico male radicale sarebbe stato il comunismo», non capisco dove stia il problema. Unico male radicale, nel senso di originario: di cesura storica a partire dalla quale diventa spiegabile – e comprensibile (cfr. p. 54) – l'adesione di tanti intellettuali e onest'uomini al nazifascismo. Che cosa cambi in proposito il riconoscimento (mi si perdoni la foga: non particolarmente originale) del fatto che l'hitlerismo scaturisca dal nichilismo mi rimane oscuro.

A proposito della differenza tra nazionalsocialismo e socialismo nazionale, davvero fatico a capire dove avrei frainteso Fédier, considerato il fatto che nell'articolo non l'ho discussa nel merito. Mi sono limitato a sottolineare un grave difetto di informazione bibliografica sugli ambienti della «rivoluzione conservatrice» (e non, come propone Fedier, «conservativa», termine che in italiano si adatta assai più al restauro che alla corrente politica cui fa inequivocabilmente riferimento il tedesco konservativ) e a denunciare la radicale inaccettabilità di una traduzione di Nationalsozialismus con «socialismo nazionale». Su questo secondo punto Zaccaria non spende una parola. Eppure a me sembra davvero cruciale per giudicare la stessa «sobrietà» del lavoro di Fédier, tenendo in particolare presente il fatto che la distinzione fra nazionalsocialismo e socialismo nazionale era davvero avvertita con forza – e sottolineata lessicalmente – da una certa parte dell'intellettualità tedesca di quegli anni. Lo avevo scritto nell'articolo e vorrei qui ribadirlo, citando una lettera di B. Harms a J. Plenge (economista e sociologo di importanza fondamentale, come certo sa Zaccaria, per la definizione di un progetto di «socialismo nazionale» in Germania a partire dal 1914). «Detto apertamente – scriveva Harms al suo corrispondente il 15 marzo del 1935 – negli ultimi mesi sono pervenuto sotto l'impressione della lettura delle sue lettere, a una determinata idea: il Terzo Reich di Johann Plenge non è il Terzo Reich di Adolf Hitler, così come il socialismo nazionale (der nationale Sazialismus) di Plenge non è «nazionalsocialista» (nationalsozialistisch)». Se uno voleva dire «socialismo nazionale», insomma, aveva a disposizione le parole per dirlo. Tradurre, come fa Fédier, Nationalsozialismus con «socialismo nazionale» equivale a tradurre – negli scritti di un comunista russo degli anni '40 – «Viva Stalin» con «Viva il comunismo». E ciò basta, mi pare, a giustificare la mia genuina indignazione e la mia irritazione.



Voci utilizzate nell'articolo

Metodi applicati

Regola del 2 a 1


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