1990101IXX

Da Libro bianco.

Cosa cercava Celan nella Foresta Nera?

In Italia e in Germania esce l’intera sua opera. Propone il tema della colpa su cui il poeta interrogò heidegger. Il quale rispose…


Liberal, 1999


Sergio Givone


Che il viaggio a Friburgo, la città di Heidegger, gli costasse tanto, è indubbio. Eppure non volle rinunciare a quel viaggio, benchè da tempo si fosse ripromesso di non accettare più inviti pubblici. Era stato Gerhart Baumann, docente di Letteratura tedesca in quell’università, a proporgli di venire a leggere alcune sue poesie. E lui aveva accettato. C’erano più di mille persone ad ascoltarlo. Tra queste, Heidegger. Un fotografo propose di ritrarli insieme. Al che Celan si rifiutò, con un diniego che poteva suonare come un giudizio definitivo di condanna oltre che come un indulto. Ma Heidegger incassò senza scomporsi: «Lui non vuole, bene, accontentiamolo». Era il 25 luglio 1967. Celan godeva ormai di vasta fama: molti, tra cui Heidegger, lo consideravano il maggior poeta vivente di lingua tedesca, anche se pochi avevano compreso tutta la profondità del dramma che si consumava nella sua opera e nella sua anima. Quanto a Heidegger, proprio allora il suo pensiero conosceva una nuova fortuna che nei decenni successivi non avrebbe fatto che aumentare. Un passato di attraversamento del nazismo che li aveva visti ben diversamente schierati rendeva difficile se non impossibile il loro incontro. Che però ci fu. A Todunauberg, nel celebre ritiro heideggeriano, la mattina dopo. Congedandosi Celan avrebbe lasciato scritto nel libro degli ospiti: «Nel libro della baita, con lo sguardo rivolto alla stella nel pozzo, con la speranza di una parola che viene nel cuore». Poi, una settimana dopo, egli invia al suo ospite alcuni versi. Dove si legge: «d’una speranza, oggi / dentro il cuore, / per la parola / ventura / d’un uomo di pensiero». Tutto sembra chiaro. Celan si augura (un augurio che evidentemente è un invito) che Heidegger finalmente rompa il silenzio. Su che cosa, non è necessario dire: si tratta del tremendo passato che pesa su di loro, muro che li separa. Lui Celan, che il nazismo ha straziato negli affetti e nella stessa possibilità di sopravvivere, e lui Heidegger, giustificatore e quindi connivente se non complice. No, non che Celan si aspetti da Heidegger una confessione delle proprie colpe; piuttosto dal pensatore che nel nazismo ha visto qualcosa di fatale, qualcosa come un destino del popolo tedesco, vuole una parola che aiuti a pensarne anche l’orrore.

Ma proprio quella parola Heidegger non può pronunciare. Rispondendo a Celan con ritardo, Heidegger quantomeno è evasivo. Si rende conto benissimo, e ne prende atto, che quello del poeta è «incoraggiamento e ammonimento a un tempo». Eppure non sa dire altro se non che un giorno quel che è rimasto fra loro sottaciuto si chiarirà. Sottaciuto? Ma poteva Heidegger non rendersi conto che il «sottaciuto» incombeva in modo totale, cupa, silenziosa presenza,e anche solo accennarvi, come se potesse essere oggetto di discorso, era già rimuoverla? Il filosofo tergiversa. Addirittura bamboleggia. Scrive che chiederà al suo legatore una copertina social per i versi inviatigli: facile da immaginare la reazione di Celan, per il quale la poesia è strumento chirurgico che lavora dentro il linguaggio come dentro una piaga sanguinante. E infine conclude con una frase enigmatica, nel suo stile: «I miei desideri? Che Lei all’ora data ascolti il linguaggio nel quale Le si imporrà ciò che deve diventare Poesia». Con ciò Heidegger semra voler richiamare Celan al fatto che non siamo noi a decidere quel che possiamo o quel che dobbiamo dire. Noi piuttosto siamo in ascolto. Della verità che viene dalle profondità dell’essere. Questo vale per il poeta. Ma vale anche per il filosofo, il quale (ecco il retromessaggio heideggeriano) non può non ribadire che quel che è accaduto non poteva non accadere e che la responsabilità dei singoli è irrilevante. Meglio dunque, secondo Heidegger, mantenere un dignitoso silenzio. O si vuole da lui che faccia pubblica ammenda dei suoi presunti errori pronto a ritornare in cattedra nella nuova veste ripulita di intellettuale in linea con i tempi? Celan non può volere questo, non può chiedergli questo. In realtà Heidegger aggira la questione. D’accordo, tutto quel che aveva da dire sull’argomento lo aveva scritto vent’anni prima in una lettera di risposta a Herbert Marcuse. Il 28 agosto 1947 Marcuse, il futuro ideologo dei movimenti giovanili, chiedeva a Heidegger di pronunciarsi sui suoi trascorsi in modo da eliminare qualsiasi equivoco circa l’«identificazione» del suo pensiero con l’ideologia nazionalsocialista. E Heidegger rispondeva che non voleva ritrovarsi in compagnia di quegli «adepti del nazismo» che «annunciavano nel modo più schifoso il loro cambiamento di opinione» in vista di una nuova carriera. Anzi, che si pretendesse da lui una presa di distanza dallo sterminio di milioni di uomini era semplicemente una mostruosità. Tanto più che, come del resto Marcuse sapeva (e come Theodor Adorno avrebbe di lì a poco teorizzato) quel massacro era un aspetto, sia pure il più spaventoso, della trasformazione dell’uomo in semplice strumento dell’apparato tecnologico e delle sue «macchinazioni».

Senonchè Celan non è Marcuse, Celan non chiede a Heidegger un atto di contrizione comunque tardiva. Semmai lo mette di fronte all’impossibilità di pronunciarla, quella parola. Appunto la parola, la sola parola di verità, in lui destinata a rimanere muta. C’è un’eloquente simmetria fra ciò che Celan scrive nel libro degli ospiti e ciò che il giorno dopo mette in versi. In entrambi i casi il riferimento è alla speranza d’una parola che viene, che verrà. Ma questa parola che viene nel cuore è come la stella (scolpita) nel pozzo. Stella dove sgorga l’acqua, ma stella di pietra, muta. Allora si capisce perchè Celan dopo l’incontro con Heidegger abbia mostrato un’insolita serenità, come di colui che ha detto tutto quel che aveva da dire e non si aspetta nessuna risposta. Ci fu chi, il giorno stesso, all’ora di pranzo, e quindi dopo che il poeta e il filosofo erano rimasti buona parte della mattinata chiusi nella baita, li vide in trattoria e notò che «dal volto di Celan era scomparsa ogni ombra». Altri giunsero a chiedere che cosa gli fosse successo in quel di Friburgo, dal momento che si era recato là pieno di angoscia e ne era tornato tranquillo, in pace. Quella sera Celan recitò alcuni versi che Heidegger non conosceva,ma che ascoltò con estrema attenzione, se è vero che poi sarebbe stato in grado di ripeterli a memoria. Fra di essi alcuni tratti da /[...], che il lettore italiano trova ora nella magnifica raccolta a cura di Giuseppe Bevilacqua, di cui parla in queste pagine Eraldo Affinati). «In fondo / al crepaggio dei tempi, presso il favo di ghiaccio / attende, cristallo di respiro, / la tua ineluttabile / testimonianza». Donde la tentazione di interpretare la decisione di Celan di accettare l’invito nella baita come la conferma della sua volontà di richiamare Heidegger al dovere della testimonianza e magari anche come il desiderio di farsi perdonare l’offesa della sera prima. A ben vedere più ricca di significato più altamente problematica appare la silente «stella nel pozzo». Indubbiamente, una reciproca fascinazione non priva di aspetti contradditori spingeva l’uomo verso l’altro, il filosofo che nella poesia vedeva schiudersi la verità dell’essere e il poeta che nell’essere vedeva apparire la verità mostruosa e insostenibile al punto che tutto, poesia, essere, verità, era fatto affondare nella disperata memoria dello sterminio. Con una differenza però. Questa: che Celan scorge in Heidegger qualcosa che resta nascosto a Heidegger stesso.

Non è un caso se i due, dopo l’incontro, manifesteranno reazioni tanto diverse. Di impaccio, forse addirittura di mascherata confusione, il filosofo. Di grande serenità e consapevolezza, il poeta. Ciò che rimane nascosto a Heidegger (e che Celan gli indica), la parola che Heidegger è chiamato a dire ma che non gli viene alla bocca. La misteriosa stella nel pozzo che è scolpita nella pietra ma anche nel cuore ha un nome o comunque un significato. E questo significato è: responsabilità per il destino. Sia pure il destino governato da forze che ci trascendono, come dimostra il dispiegamento planetario della tecnica: eppure nostra è la responsabilità, nostro è questo mondo devastato e devastante, perché siamo noi a volerlo anche se fingiamo il contrario. Del resto, il passato non è forse duro e necessario come il destino? Eppure, che cosa significa averne memoria, testimoniarlo, se non prenderlo su di sé, farsene carico, assumerlo come una colpa da espiare? Tragicamente, Celan, il poeta dalla parte delle vittime, fa quello che Heidegger, il filosofo dalla parte dei carnefici, non fa: lui, il senza patria, l’esule che parla molte lingue, sceglie per la sua poesia la lingua che è servita per decretare la condanna a morte dei suoi familiari, e decidendo di scrivere in tedesco adotta (per l’appunto: prendere su di sé, si fa carico, accume quasi dovesse espiarla) una tradizione che per lui è l’immane buco nero che inghiotte la realtà, la vita. Ma così facendo lascia che sulla superficie del nulla una memoria dolorosa, anche se impotente, almeno non soffra l’estremo oltraggio, la cancellazione, Invece Heidegger, pensatore in fondo antitragico, resta in ascolto della nuova chiamata dell’essere che verrà dall’al di là di una tragedia pur sempre oltrepassabile, obliabile.

Che cosa Heidegger e Celan si siano detti nella Selva Nera quel giorno d’estate non sappiamo né sapremo mai. Ma in fondo non ha importanza. La sola parola che Heidegger doveva dire, non poteva dirla, perché il suo pensiero, capace di stupefacenti acrobazie, si era arrestato di fronte al paradosso tragico che ci obbliga a riconoscere il nostro essere responsabili, se non del tutto, certo di fronte a tutti (come avrebbe detto Gilles Deleuze), perché a tutti dobbiamo rispondere quando interrogati, specialmente se la domanda è: ma dov’eri? Questo è ciò che Celan ha voluto ricordargli andandolo a trovare in un luogo di rivelazioni e di amnesie, o forse abitato da fantasmi di morte, come sembra inscritto nel nome. Todtnauberg.

Voci utilizzate nell'articolo

Foresta nera

Silenzio di Heidegger

Diniego a Celan

Oscurità

Fascinazione


Metodi applicati

Aggettivo squalificativo

Associazione coatta

Onniscienza biografica


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