2010522IRE

Da Libro bianco.

Heidegger fu un gran genio senza coraggio

Intervista a Hans Georg Gadamer


La Repubblica, 22 maggio 2001


A 25 anni dalla scomparsa del filosofo. Dopo la storia d'amore con la Arendt, altre intense e coinvolgenti ne seguirono. Non credo sia mai stato antisemita, un pavido sì, molti suoi allievi erano degli ebrei. Stentai a credere, quando lo appresi, che avesse preso posizione in favore del nazismo. La prima volta che lo vidi fu a Friburgo durante una lezione era il 1923. Un allievo, oggi ultracentenario, parla del suo antico maestro. Gli anni dell'università, il fascino del magistero, gli sconcertanti rapporti con la politica e poi le donne.

Antonio Gnoli e Franco Volpi

Il 26 maggio saranno trascorsi venticinque anni dalla morte di Heidegger, il grande e controverso filosofo del Novecento. Nell'edizione delle opere complete è uscito nel frattempo a cura del figlio Hermann l'atteso volume con tutti i suoi discorsi politici, insieme a numerosi documenti biografici (Reden und andere Zeugnisse eines Lebensweges, Klostermann, pagg. XXI842, DM 148). Abbiamo raccolto per l'occasione la testimonianza di Gadamer, di cui in una nota del 22 gennaio 1939, pubblicata nel detto volume, Heidegger scrive: Gadamer è con Walter Bröcker «l' unico a padroneggiare veramente la filosofia antica, che è l'alpha e l'omega dell'educazione filosofica».

Dove e in quali circostanze incontrò per la prima volta Heidegger?

«Fu a Friburgo, e ricordo che alcuni miei amici che andavano ad ascoltarlo, tornavano incantati dalla magia delle sue lezioni. Raccontavano di un modo completamente nuovo, coinvolgente, di far parlare i testi della tradizione. Così, nell'estate del 1923 mi recai anch'io a Friburgo e ne rimasi davvero impressionato. Sentirlo interpretare i Greci, Platone, Aristotele, e poi Paolo, Agostino, il giovane Lutero, vederlo al lavoro nei suoi primi tentativi di trovare un vocabolario filosofico nuovo per esprimere il senso dell'esistenza umana, fu davvero un'esperienza indescrivibile. C'era nell'aria la sensazione che un nuovo astro stesse nascendo nel firmamento della filosofia tedesca».

Aveste qualche contatto?

«All'inizio, quando seguii per la prima volta i suoi seminari, ebbi con lui un rapporto tutto sommato accademico, da allievo a maestro. Invece quando venne a Marburgo, entrai in un rapporto molto più intenso, confidenziale, quasi familiare. Fu tra l'altro padrino di mia figlia quando fu battezzata».

Scorrendo la lista dei partecipanti ai seminari di Friburgo, vi si trovano nomi che hanno segnato la filosofia tedesca contemporanea.

«Certo, a Friburgo c'erano Marcuse, Horkheimer, Joachim Ritter, Hans Jonas. Una volta venne anche Leo Strauss, ma solo di passaggio, quando Heidegger commentò il primo libro della Metafisica di Aristotele. Anche per lui, che studiava nella mitica Heidelberg di Max Weber, fu un'impressione indimenticabile, tanto che me lo ricordò quando ci rivedemmo a Parigi nel 1933. A confronto con Heidegger, Weber gli sembrava un «povero orfanello». Insomma, Heidegger a lezione era semplicemente fenomenale. Non ho più visto un talento filosofico del genere».

Eppure Weber ebbe qualche influenza su Heidegger.

«Heidegger aveva seguito con attenzione la sua vicenda, lo considerava con grande rispetto, anche se vedeva in lui l'uomo pubblico, mentre lui era più legato al mondo contadino, e anche se, dal suo punto di vista filosofico, lo criticava. Ma lo riteneva più interessante di Rickert, da cui peraltro Weber aveva preso a prestito buona parte delle sue categorie filosofiche».

Però, in quegli anni, la vera scoperta di Heidegger fu Nietzsche.

«Nietzsche era presente nella cultura tedesca fin dagli inizi del secolo, attraverso le avanguardie artistiche e letterarie. Anche il giovane Heidegger respirò quell'atmosfera. Ma cominciò a confrontarsi seriamente con i testi nicciani solo più tardi, verso la metà degli anni Trenta. C'era stato allora il libro su Nietzsche di Jaspers, di cui Heidegger era amico, e prima ancora quello di Alfred Baeumler, di cui pure Heidegger era amico. L'importanza di Nietzsche per l'anima tedesca era chiara a tutti, e anche Heidegger volle venirne a capo. In verità non so se ci sia riuscito. Suo figlio Hermann mi ha raccontato che Nietzsche lo mise in crisi e che a casa ripeteva sempre: "Nietzsche mi ha distrutto!". Ma l'interpretazione che ne ha tirato fuori è un pezzo di bravura impareggiabile».

Non sapevamo che Heidegger fosse amico di Baeumler.

«Sì, fino a un certo punto. Del resto Baeumler non era affatto uno sciocco, e ha scritto un libro niente male sulla Critica del giudizio di Kant. Poi però Heidegger attaccò la sua interpretazione di Nietzsche. Baeumler, che con Ernst Krieck e Alfred Rosenberg era diventato uno degli ispiratori della politica culturale del partito nazionalsocialista, lo osteggiò in ogni modo. Divenne peraltro anche un mio acerrimo nemico e tentò con ogni mezzo di bloccarmi la carriera».

Dicevamo di Nietzsche...

«In quegli anni nel mondo tedesco era quasi d'obbligo confrontarsi con lui. Non c'era filosofo, letterato o artista che non avesse avuto nella sua biografia una fase nicciana. Io sono tra i pochi che non si infatuarono di Nietzsche».

Tra i grandi interpreti di Nietzsche c'era Ernst Jünger. L'ha conosciuto?

«Ho conosciuto sia Ernst, sia Friedrich Georg, suo fratello. Erano due tipi completamente diversi. Ernst era più geniale, si sa, ma aveva anche un carattere più difficile. Friedrich Georg era invece un poeta, un uomo romantico, molto aperto. Per un certo periodo ci siamo anche frequentati. Apprezzo in particolare ciò che ha scritto nel libro La perfezione della tecnica. È in un certo senso è la risposta al Lavoratore di suo fratello, una critica della tecnica ispirata dalla concezione heideggeriana. Ho conosciuto di persona anche Ernst. Mi diede però l'impressione di un uomo dalla formazione tipicamente militare: aveva un portamento rigido, una voce quasi metallica, atona».

Si accennava al nazismo di Baeumler. Per quali ragioni, secondo Lei, nel 1933 Heidegger entrò nel partito nazionalsocialista e si fece eleggere rettore dell'Università di Friburgo?

«Proprio conoscendo Heidegger, quando a Marburgo ci giunse notizia che aveva preso posizione in favore del nazismo, stentavamo a crederci. Heidegger nazista? "Impossibile!", fu la nostra prima reazione. Era semplicemente un'assurdità, un nonsenso. La sua speranza di promuovere un rinnovamento dell'università cavalcando il movimento nazionalsocialista fu un'incredibile ingenuità, tanto più per uno come lui, privo di qualsiasi nozione di che cos'è e di come funziona un apparato burocratico. Ricordo che quando entrò in carica, dopo poche settimane tutta l'amministrazione universitaria era paralizzata perché, scrupoloso com'era, pretendeva di vedere e controllare di persona ogni atto che firmava. E se prima non aveva letto, non firmava».

Löwith, che fu allievo di Heidegger, scrive cose terribili sul suo comportamento dopo il 1933.

«In realtà Heidegger fece tutto quello che poté per aiutare Löwith. Ma non era un cuor di leone, e comunque non avrebbe ottenuto nulla dai nazisti. Il destino di Löwith era segnato fin dall'inizio. Ciò che incrinò la loro amicizia fu che, in tale situazione, quando nel 1936 Heidegger venne a Roma e, il giorno dopo la sua conferenza, andò a trovare Löwith, non ebbe la sensibilità di togliersi dalla giaccia il distintivo del partito. Fu per Löwith una provocazione, cui seguì rottura».

Si è detto che Heidegger fosse antisemita.

«Heidegger era certamente un pavido, ma dire che fosse antisemita è un'immane sciocchezza. Paul Friedländer, un antichista di origini ebraiche che a Marburgo aveva collaborato con lui, quando ci capitava di toccare questo argomento diceva che per Heidegger l'unico criterio di selezione era l'intelligenza, non l'origine ebraica o ariana. Del resto, i suoi numerosi allievi ebrei ­ Löwith, Jonas, la Arendt, Günther Anders, Marcuse, proprio agli inizi degli anni Trenta perfino il suo assistente era ebreo, un certo Werner Brock ­ sono la confutazione migliore di una simile diceria».

Ma la poesia che Celan scrisse dopo la visita alla baita di Todtnauberg allude al fatto che su questo punto Heidegger è rimasto sfuggente.

«No, non credo che la poesia di Celan voglia dire questo. Trovo riduttiva l' interpretazione del loro rapporto in questi termini, come se non avessero avuto altro tema di discussione che il nazionalsocialismo e l'olocausto. Il loro dialogo è andato sicuramente oltre. Heidegger si era appassionato molto presto per la poesia di Celan, che ammirava come grande arte, come forma del pensiero poetante da lui auspicato. A sua volta Celan si era interessato dei motivi filosofici trattati da Heidegger. C'era tra loro un co

[…INCOMPLETO…]

Voci utilizzate nell'articolo

Fascinazione

Mancanza di coraggio

Distintivo del Partito


Metodi applicati

Alzata del Genio


Altri articoli collegati