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Da Libro bianco.

«Ma Heidegger non fu complice del nazismo»

INTERVISTE L’ultimo assistente del filosofo più grande e discusso del Novecento difende il maestro. Per la prima volta escono le opere scritte durante la dittatura hitleriana.

Von Herrmann: accettò compromessi soltanto per salvare l’autonomia dell’università.


Corriere della Sera, 03 luglio 2002


Armando Torno


FRIBURGO (Germania) — Un incontro con il professor Friedrich-Wilhelm von Herrmann è d'obbligo per fare il punto sul pensiero di Martin Heidegger, il filosofo più discusso del '900, che continua ad avere successo editoriale. In Italia, ad esempio, in questi ultimi tempi tre suoi titoli hanno conquistato il primo piano in libreria: L'origine dell'opera d'arte (Editore Marinotti), le Conferenze di Brema e Friburgo (Adelphi), Il sentiero di campagna (Il nuovo Melangolo). Quest'ultimo, appena uscito, è un delizioso libretto con foto inedite accompagnate dalle note lasciateci dal filosofo. Von Herrmann, ultimo assistente di Heidegger (il loro primo incontro risale al 1956), è responsabile scientifico-filosofico dell'edizione delle opere complete del maestro (invece il figlio minore Hermann è l'amministratore dei diritti).

Professor von Herrmann, può illustraci lo stato della pubblicazione delle opere di Martin Heidegger? «Dei 102 volumi previsti, in Germania ne sono usciti 63 (in Italia ne sono stati tradotti una trentina, ndr). Dei restanti i più importanti sono: tre trattati successivi ai Beiträge zur Philosophie (Contributi alla filosofia) e nove volumi di Quaderni neri o Taccuini (1931-76)».

Qual'è la rilevanza delle opere postume e, in particolare, dei trattati inediti come i Beiträge zur Philosophie o Besinnung? «I Beiträge, del 1936-37, ma usciti nel 1989 (saranno tradotti da Adelphi, ndr) hanno il rango di capolavoro dopo Essere e tempo (Longanesi, ndr), perché espongono sistematicamente i tratti del pensiero della storia dell'essere. E’ questo l'orizzonte nel quale si è dispiegato il lavoro del filosofo sino alla morte. Nella Storia dell'essere (1938, in corso di traduzione dall'editore Marinotti, ndr), egli definisce i Beiträge come “il primo quadro” e “un fulcro” il trattato Besinnung (Considerazione o Meditazione, anch'esso uscirà in traduzione da Marinotti, ndr)».

L'edizione integrale rende per la prima volta accessibile il lavoro che Heidegger svolse durante il nazismo. Cosa lo ha spinto a farsi eleggere rettore a Friburgo nel 1933? «Innanzitutto, la volontà di difendere l'autonomia dell'università dalla crescente politicizzazione della scienza a opera del Partito. In secondo luogo, la decisione di contribuire a fondare uno spazio politico attraverso il radicamento dell'università in un modo nuovo e più profondo di intendere la verità. Heidegger pensava che solo così si potesse rispondere all'istanza di rinnovamento proveniente dal movimento giovanile. Rifletta sul termine “Selbstbehauptung”, contenuto nel titolo del discorso rettorale: indica la necessità, per l'università, di “far quadrato in se stessa”».

Sono da poco usciti in Germania i corsi che Heidegger tenne durante l'anno di rettorato e subito dopo le dimissioni del '34. Come si pone il filosofo in questi scritti rispetto al nazismo? «Nei due corsi rettorali Heidegger parla e pensa politicamente, ma in un modo abissalmente estraneo all'ideologia nazista. Certo, nelle introduzioni compaiono termini quali “nazione”, “destino” o “popolo”, che sembrano essere ripresi dal gergo dell'epoca; in realtà, però, essi vengono subito radicalmente trasformati e quindi sottratti completamente alla violenza e alla cecità dell'uso ideologico. Sono certo che l'abisso cui sto accennando apparirà anche al lettore italiano, quando questi corsi usciranno nella collana heideggeriana dell'editore Marinotti curata da Ivo De Gennaro e Gino Zaccaria».

Quale posizione rispetto al nazismo emerge, complessivamente, dai corsi universitari del periodo che va sino al '45? «La posizione di Heidegger era improntata alla più decisa opposizione (non nel senso, certo, di un attivismo politico). Si trattava piuttosto di uno scavo che sottraesse il terreno stesso ai “presupposti” e alle “radici” dell’ideologia nazista quali il biologismo, la violenza, la potenza. Questo lavoro di profondità è svolto, in modi e toni diversi, sia nei corsi su Nietzsche sia nei Beiträge e nei trattati successivi».

E’ possibile oggi ricostruire l'influenza che il nazismo ebbe sulla filosofia e la filosofia sul nazismo? «Comprendo la sua questione; tuttavia se parliamo della “grande” filosofia (oltre Heidegger penso a Husserl, Fink, Hartmann) la risposta mi pare una sola: durante la dittatura hitleriana non c'è stata nessuna influenza reciproca tra filosofia e nazismo. Per quanto riguarda Heidegger, poi, è noto che il potere politico iniziò relativamente presto a sorvegliarlo e a osteggiare il suo pensiero».

E’ innegabile però che si è parlato di «criptonazismo». Ci sono degli elementi nel pensiero di Heidegger, anche nascosti, riconducibili in qualche modo al ceppo culturale da cui è nata l'ideologia nazista? «Chi parla di “criptonazismo” appartiene a coloro che non hanno nemmeno voluto tentare di comprendere il pensiero ontologico-fondamentale di Heidegger e le successive trasformazioni. Nella sua ricerca non c'è nessun tratto “nascosto” riconducibile alle radici dell'ideologia nazista. Se ci fosse stato, non crede che il suo maggior allievo, Hans-Georg Gadamer, ce lo avrebbe segnalato?».

Dopo le dimissioni dal rettorato, e fino al 1945, Heidegger tenne solo poche conferenze pubbliche, tra cui quelle sull'opera d'arte del 1935-36. A tal proposito il filosofo francese Jean Beaufret parla della libertà con cui Heidegger spazza via ciò che, invece, avrebbe dovuto essere detto secondo le direttive di Göbbels... «L'osservazione di Beaufret è giustissima! In queste conferenze Heidegger sviluppa una meditazione che, per profondità e portata, è comparabile alla Critica del giudizio di Kant o alle Lezioni sull'estetica di Hegel. Esse mostrano in modo lampante come il filosofo, dopo il suo rettorato, fosse dedito unicamente al compito del suo pensiero».

Tuttavia gli viene rimproverato il comportamento tenuto nei confronti del suo maestro Husserl. Si parla di «ingratitudine» e del fatto che Heidegger abbia cancellato la dedica a Essere e tempo... «Su tale questione, nella “nota al testo” di Unterwegs zur Sprache del 1959, Heidegger dice: “Per rispondere a false affermazioni variamente diffuse, sia qui detto espressamente che la dedica di Essere e tempo rimase anche nella IV edizione del libro, quella del 1935. Quando l'editore vide che la stampa della V edizione, nel 1941, poteva essere compromessa o il libro addirittura vietato, su proposta e per desiderio di Niemeyer (l'editore, ndr) si decise che la dedica, in quell'edizione, sarebbe stata espunta alle condizioni da me poste, e cioè che rimanesse la nota a pagina 38, la quale, di fatto, motivava quella dedica”. Negli anni in cui sono stato il suo assistente privato e lo vedevo ogni settimana, Heidegger ha ripetutamente parlato con grande stima e gratitudine di Husserl».

Recentemente uno dei biografi del maestro, Hugo Ott, si è mostrato sorpreso dal fatto che alcune dicerie continuino a essere ripetute dopo che ne è stata dimostrata l'infondatezza. Perché secondo lei? «Presumibilmente la ragione sta nell'incrollabile dominio dell'opinione pubblica, che non si preoccupa tanto della verità e preferisce attenersi a notizie scandalose di grande impatto».

Oggi sembrano prevalere orientamenti lontani da quello di Heidegger. Qualcuno sostiene che il suo pensiero sia superato. Cosa ne pensa? «Non so a quali orientamenti lei si riferisca. Se intende il decostruttivismo di Derrida, si dovrebbe dire che, senza Heidegger, quella posizione non sarebbe nemmeno immaginabile. Non conosco una sola filosofia attuale in grado di entrare in un agone costruttivo con Heidegger e di far apparire il suo pensiero come superato. Egli è comparabile solo a pensatori di prima grandezza, come Hegel o Kant. Nel regno del Geist (spirito, genio) esistono - al di là di ogni gerarchia, ma anche al di là dell'odierna tendenza a livellare ogni cosa - decisive differenze di rango. Kant ha avuto il suo vero successore e “genero” in Fichte, che era un suo pari; il che non vuol dire che Kant fu superato da Fichte. Tuttavia il “Fichte di Heidegger” non mi pare sia apparso neppure all'orizzonte».


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