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Da Libro bianco.

Heidegger nazista senza pentimenti, al contrario di Jünger e Schmitt

In «La nascita del Terzo Reich» di Richard J. Evans nuove accuse al filosofo: fu tra i pochi a non ravvedersi


Corriere della Sera, 20 settembre 2005


Silvio Bertoldi


Martin Heidegger aveva 87 anni quando morì a Messkirch nel 1976. Dunque aveva veduto tutto: l’ascesa di Hitler, la ferocia delle SS, la persecuzione degli ebrei, la Seconda guerra mondiale, i campi di sterminio. Nessuna reazione, non foss’altro puramente critica, da parte sua e la spiegazione (che non piace ai suoi cultori), è semplice: Heidegger era nazista, iscritto al partito dal 1931, deliberatamente antisemita, persecutore dei suoi colleghi ebrei docenti a Friburgo, da cui fece cacciare il suo stesso maestro, Edmund Husserl. Il giorno in cui tenne la sua lectio magistralis da rettore, Heidegger la concluse al grido di «Heil Hitler!», cantando in coro con i presenti l’Horst Wessel Lied, l’inno dell’eroismo nazista. Come scrive Richard Evans, nel suo libro La nascita del Terzo Reich (Mondadori, pagine 635, € 25), Heidegger «all’inizio degli anni Trenta cominciò a ritenere di avere trovato la risposta che cercava al suo nazionalsocialismo». Non doveva cercare lontano, il «suo nazionalsocialismo» esisteva già, si chiamava nazismo. Heidegger scelse subito di schierarsi.

Dal 1945, quando la sconfitta tedesca provocò il crollo del nazismo e la rivelazione dei suoi orrori, al 1976, quando il filosofo morì, trascorrono 31 anni. Un tempo sufficiente per rivedere le proprie posizioni. Heidegger non lo fece. Nazista Martin era stato e nazista rimase, uno dei pochissimi grandi intellettuali tedeschi a non lasciare traccia di esami di coscienza. E tuttavia, dopo una breve sospensione, riebbe la riammissione all’insegnamento e il titolo di «professore emerito». Spiegazione? Anche per Heidegger, come per tutti i grandi «cervelli» che illustrarono le loro discipline, vale la distinzione tra la loro scienza e la loro ideologia politica. Per i comuni mortali questa distinzione non è ammessa. Per loro sì. Come è stato in casa nostra per i vari Gentile, Pirandello, Marinetti, Volpe, il cui fascismo a posteriori viene giudicato come ininfluente.

Non vi sono molti esempi di eminenti personalità della cultura tedesca che abbiano avuto la posizione e i consensi di Heidegger, in quanto nazionalsocialisti. Forse Richard Strauss, il celebre musicista, o il sommo costituzionalista Carl Schmitt che però rivide (e patì) il suo consenso. O il romanziere Ernst Jünger, che tuttavia alla fine «si ritirò nei suo esilio interiore», o il drammaturgo Gerhard Hauptmann. Ma molti lasciarono la patria e posizioni personali di eccezionale rilievo, musicisti come Bruno Walter, scrittori come Thomas Mann, Bertolt Brecht e Remarque, fisici come Einstein e Oppenheimer e ben dodici premi Nobel ebrei, cineasti come Fritz Lang, come Pabst, come Wilder, come Ophüls, artisti come George Grosz, come Klee, attrici come Brigitte Heim e come Marlene Dietrich (che però se ne andò per denaro, non per ideali).

Scrive Evans: «Mentre le squadre d’assalto si occupavano di annientare gli oppositori del nazismo, Hitler e Goebbels mettevano a punto gli strumenti per convincere i simpatizzanti passivi a diventare partecipanti attivi nelle rivoluzione nazionalsocialista». Heidegger però non ebbe bisogno di quelle sollecitazioni.



Voci utilizzate nell'articolo

Silenzio di Heidegger

Iscrizione alla NSDAP

Antisemitismo

Colleghi e studenti ebrei

Divieto a Husserl

Discorso di rettorato

Assenza di autocritica



Metodi applicati

Induzione di orrore



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