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Da Libro bianco.

Heidegger, sciamano e filisteo

FILOSOFIA In un volume i colloqui sul filosofo a cura di Antonio Gnoli e Franco Volpi per il trentennale della morte. Le testimonianze di Jünger, Nolte, Gadamer, Mohler e di Hermann Heidegger


Unità, 13 guigno 2006


Bruno Gravagnuolo


Heidegger tifoso di Beckenbauer. Amante clandestino (della Arendt innanzitutto). Sciatore della Selva nera e persuaso che solo chi sa fare un «cristiania» è un buon filosofo. Oppure su un camion con divisa della milizia popolare che corre verso il Reno, intruppato a costruire argini contro le armate occupanti nel 1944. O ancora col distintivo del partito nazista, a Roma nel 1936, in casa del suo allievo ebreo Karl Loewith, di lì a poco esule in Giappone e negli Usa. Sono alcune istantanee della raccolta a cura della «premiata ditta» Antonio Gnoli e Franco Volpi, sperimentata in pezzi filosofici e interviste a due voci che raduna stavolta tutti insieme i preziosi colloqui intorno al filosofo di Messkirch, realizzati tra il 2000 e il 2005: L’ultimo sciamano. Conversazioni su Heidegger (Bompiani, pp.135, 6,80).

Un buon modo per celebrare il trentennale della morte del filosofo, già oggetto un mese fa di attenzioni al festival romano di filosofia. Volume che s’aggiunge alle due nuove versioni di Essere e Tempo (quella di Marini per i Meridiani e l’altra di Volpi stesso per Longanesi sulle tracce del classico Pietro Chiodi). E però oltre le istantanee e il colore d’epoca, che pure fanno il fascino del libro, due sono le sue ragioni forti. La prima è nel titolo, lo «sciamano». E l’altra è nel quesito cruciale già scavato e mai risolto per intero: Heidegger nazista, come e perché? In mezzo, testimonianze, scorci e anche abbozzi di interpretazioni di una filosofia che malgrado il suo esoterismo oracolare, ha sconvolto il modo di far filosofia del 900, divenendo imprevedibilmente popolare.

Che cos’è questo libro? Cinque interviste a cinque testimoni d’eccezione, del mondo e del clima in cui il fenomeno Heidegger venne alla luce e si impose. Uditori, frequentatori, allievi e anche amici del pensatore, con dentro la testimonianza straordinaria del figlio di Heidegger.

Nell’ordine Hermann Heidegger, curatore del lascito del padre e che in postilla riprodotta nel libro rivela di essere figlio non naturale del genitore, verso cui nondimeno professa ammirazione e gratitudine, tanto da esserne ricambiato con la fiducia editoriale concessagli dal pensatore di cui porta il nome. Poi Ernst Jünger, l’aristocratico dissidente e profeta letterario della «mobilitazione totale» della Tecnica, che tanto colpì e influenzò il filosofo dell’Essere (ma il primo influsso a riguardo fu di Weber). Seguono l’intervista a Hans-Georg Gadamer, primo allievo e «urbanizzatore» della filosofia heideggeriana. E quella a Ernst Nolte, storico della «guerra civile europea» e filosofo mancato heideggeriano, prima che studioso controverso dell’«Historikerstreit». Infine l’incontro con Armin Mohler, allievo di Karl Schmitt, segretario di Jünger e inventore di una categoria storiografica destinata a far strada: «la rivoluzione conservatrice».

Insomma, quadro d’epoca, con dettagli esistenziali. E tanto materiale preliminare per capire i due aspetti segnalati all’inizio. Prima di tutto il fascino di un modo di filosofare. Ovvero uno squadernare i testi della tradizione per romperli e farne scaturire le vibrazioni originarie. Inaugurando un criterio: il linguaggio come «casa dell’Essere», e dei suoi travestimenti storici. Come soglia d’accesso all’inesprimibile che si dà nel divenire quale «legame vuoto tra gli enti», e che è compito della filosofia recuperare. Oltre la gabbia della storia e della Tecnica. E il nazismo? Indubitabile, almeno in un certo Heidegger. Quello che si illude di padroneggiarne l’essenza e l’intimo significato, per volgerli in un progetto di anticapitalismo romantico. Con l’Università in funzione di battistrada comunitario (Nolte). Resta, e il volume lo conferma, lo Heidegger filisteo che annegherà sempre la colpa del suo errore in un destino più vasto, dove agricoltura meccanizzata, campi di sterminio e bomba atomica erano un’unica dannazione. Troppo generico. E troppo comodo.



Voci utilizzate nell'articolo

Oscurità

Fascinazione

Agricoltura meccanizzata

Mancanza di coraggio

Assenza di autocritica


Metodi applicati

Sollevare la Questione

Aggettivo squalificativo


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