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Da Libro bianco.

Lo sciamano che fa ammalare

Volpi e Gnoli tentano il maquillage della biografia di Heidegger. Nascondendo le connivenze con il nazismo e facendone una sorta di impossibile terapeuta.


Left, 14 luglio 2006


Livia Profeti


Studioso dai ritmi inflessibili ma anche padre affettuoso e presente, filosofo del profondo eppure aperto al mondo esterno, straordinario come docente e affascinante come uomo, un vero «maestro in entrambi i registri: della logica e della seduzione», persino rivoluzionario precursore del ’68. Il suo coinvolgimento con il nazionalsocialismo? Sostanzialmente ingenuità politica e un po’ di mancanza di coraggio. Così si legge ne L’ultimo sciamano. Conversazioni su Heidegger di Antonio Gnoli e Franco Volpi (Bompiani, 6,80 euro), che ripropone in occasione del trentennale della morte cinque interviste degli autori già pubblicate sul quotidiano La Repubblica tra il ‘92 e il ‘99 (e non realizzate tra il 2000 e il 2005 come afferma Gravagnuolo su l’Unità del 13 giugno scorso, forse indotto all’errore dall’assenza di informazioni in proposito).

Il criterio di scelta del materiale, palesemente non dettato dalla novità, sembra essere stato quello adatto a confezionare un ritratto personale di Heidegger particolarmente celebrativo e scagionante: a parte il figlio illegittimo Hermann la cui deferenza è palese, le altre conversazioni sono con personaggi a loro volta accusati di collusioni con il nazismo, come i filosofi Jünger e Gadamer, o revisionisti come lo storico Nolte, o autori di testi culto della destra come il Mohler de La rivoluzione conservatrice.

Gnoli e Volpi hanno spesso minimizzato il coinvolgimento di Heidegger nel nazismo, contrapponendo a studi come quelli di Victor Farias o di Hugo Ott la discutibile argomentazione che i fatti personali debbano essere separati dalla grandezza del pensiero. Talmente separati che Volpi nel 1997 respinse con tono irrisorio anche la pubblicazione del tedesco Matussek sulla tendenziale schizofrenia del filosofo dell’Essere.

L’ultimo sciamano si pone al contrario di questa logica, ed ha piuttosto l’aspetto di un’operazione di marketing proprio sulla figura umana del filosofo, che viene proposta, come lo stesso titolo suggerisce, quasi come “terapeutica”. Nell’introduzione gli autori si chiedono infatti in che senso Heidegger possa considerarsi l’ultimo “sciamano” del pensiero, dove il termine sciamano è indicato con il significato di «taumaturgo capace di guarire malattie».

Peccato che il testo del francese Emmanuel Faye dall’eloquente titolo Heidegger, l’introduction du nazisme dans la philosophie, (Albin Michel, 29 euro), non ancora tradotto in italiano, suggerisca almeno un po’ di prudenza nel proporre Heidegger e le sue teorie come salutari per il pensiero umano. Tanto per fare un esempio Faye riporta come nel ’33 il filosofo abbia tenuto all’Istituto di anatomia patologica di Friburgo un discorso di chiaro sapore eugenetico sui concetti di “salute” e “malattia”, spingendosi a ipotizzare che la medicina non sia tenuta a curare chi, debole o malato, non possa essere funzionale alle esigenze dello Stato. In altri termini una sorta di giustificazione teorica del famigerato programma sull’eutanasia dei malati di mente (vero precedente della “soluzione finale”) che tra il 1940 e il 1941 condusse nelle camere a gas un numero imprecisato di bambini e circa 70mila adulti, ritenuti economicamente inutili o potenzialmente infetti per la “sanità” del popolo tedesco.

Dalle pagine de la Repubblica Antonio Gnoli ha liquidato il testo di Faye sentenziando che «Heidegger ridotto a un capitolo della storia del crimine politico non serve davvero a nessuno». Legittimo quindi chiedersi ora: e invece un Heidegger edulcorato sino a farlo diventare “terapeutico”, a chi serve?



Voci utilizzate nell'articolo

Eugenetica

Salute mentale


Metodi applicati

Presunzione di connivenza


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