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Da Libro bianco.

Non sono un inquisitore umanista, Heidegger era un ultras del Führer

RISPOSTA. A Marco Filoni sul libro di studi dedicato al pensatore tedesco e la sua compromissione.

Non dico di eliminare o sopprimere le opere del filosofo, anzi bisogna incrementare il loro studio, ma con più consapevolezza. Vanno messe nelle biblioteche di storia del nazionalsocialismo, non in quelle di filosofia. A meno che non si consideri filosofia l’hitlerismo.


Il Riformista, 22 luglio 2006


Emmanuel Faye


Prima ancora di essere tradotto in italiano, il mio lavoro su Heidegger ha avuto una prima accoglienza favorevole con gli articoli di Frediano Sessi (Corriere della Sera 3/6/05) e Livia Profeti (Left n. 26 7-13/7/06). Un dibattito filosofico approfondito si è svolto nel maggio scorso all’Università di Urbino tra me e Francesco Fistetti su invito di Domenico Losurdo. Questo dimostra che c’è una tradizione intellettuale italiana che non dissocia realtà storica e pensiero filosofico, come è invece malauguratamente il caso della maggior parte dei filosofi in Francia, che con ciò non percepiscono più quello che è realmente in gioco negli scritti di Heidegger. Su il Riformista del 14 luglio 2006 Marco Filoni ha assunto una posizione intermedia, nella quale mi dipinge in modo caricaturale come una sorta di «inquisitore umanista». Ciò esige una risposta.

Filoni ammette il carattere particolarmente documentato delle mie ricerche. Sono le mie conclusioni che egli non approva, o piuttosto quelle che lui ne ha tratto visto che non le presenta correttamente. Neanche l’oggetto del mio lavoro è stato percepito esattamente. Le mie ricerche infatti non si limitano alla «compromessione politica» di Heidegger, ma riguardano i fondamenti nazisti della sua opera e della sua dottrina. Infatti è proprio sulla base di un’analisi minuziosa dell’opera – esattamente così come la si può leggere oggi con i testi dei corsi e degli scritti radicalmente hitleriani pubblicati recentemente secondo il piano stabilito da Heidegger stesso – che si basano le conclusioni del mio libro (vedi Gesamtausgabe, vol. 16, 36/37, 38, 90, ecc.). Un autore che intende promuovere nei suoi corsi una umanità nuova ed una «mutazione totale» dell’esistenza umana secondo la «visione del mondo» del Führer, appellandosi allo «sterminio totale» (völlige Vernichtung) di tutto quello che ostacola l’autoaffermazione della «razza germanica», non potrebbe gettare i fondamenti di una filosofia a meno che non si consideri l’hitlerismo come una filosofia, il che appare francamente ripugnante. Difatti non c’è ricerca o amore per la saggezza, dunque non c’è filosofia, senza un profondo rispetto per l’integrità umana. Una dimensione morale si trova quindi in tutte le filosofie, pur se trasmesse da pensatori molti diversi tra loro come Socrate, Montaigne o Kant. Inoltre io non vedo come il fatto di resistere, attraverso l’analisi critica, alla diffusione dell’hitlerismo nel pensiero, possa essere ridotto ad una forma di «moralismo» naïf o ipocrita, salvo voler riprendere le tesi di autori come Carl Schmitt, la cui cinica strategia consiste nel ricusare ogni forma di pensiero umanistico in vista di una riabilitazione del nazismo per mezzo della neutralizzazione di tutte le critiche.

D’altro canto Filoni si richiama ad Eric Weil che raccomanda la lettura del Mein Kampf (un argomento riecheggiato da Pierluigi Panza sul Corriere della sera del 16/7/06). Questo in realtà è proprio in linea con il senso delle mie conclusioni. Infatti, contrariamente a quanto egli vorrebbe farmi dire, non ho mai parlato di «sopprimere» Heidegger, né di eliminarlo dalle biblioteche o di non leggerlo più. Al contrario io sostengo la necessità di aprire gli archivi Heidegger a tutti i ricercatori, di effettuare ricerche molto più approfondite nonché l’urgenza di un altrettanto approfondito dibattito. Quando affermo che l’opera di Heidegger merita di essere inserita nelle biblioteche di storia del nazismo piuttosto che in quelle di filosofia, è in ragione degli enunciati radicalmente razzisti e pro-hitleriani che essa comprende, e non è per smettere di leggerla, ma per leggerla in un modo completamente diverso. Nella misura in cui, in un corso di “filosofia”, Heidegger riduce la questione kantiana “che cos’è l’uomo” all’autoaffermazione della “razza germanica”, o identifica la relazione ontologica tra l’Essere e l’ente con quella che unisce lo Stato hitleriano al popolo definito come “unità di sangue e stirpe”, non si possono leggere quei testi come si leggerebbero le opere di un Bruno, di un Cartesio o di un Leibniz! I corsi nazisti di Heidegger esigono la stessa vigilanza critica che ci impone la lettura di un’opera come il Mein Kampf. In parole più brevi, noi abbiamo mostrato, a seguito di un lavoro di analisi di più di 500 pagine, che la radicalità discriminatoria e sterminatrice delle tesi heideggeriane sull'uomo non permettono di considerare la sua opera come filosofica, ma piuttosto come una dottrina i cui fondamenti nazisti la collegano alla storia dell'hitlerismo. Combattere il nazismo così come si propaga attraverso l’opera di un Heidegger o di un Carl Schmitt non è quindi un’impresa «moralizzatrice»: è piuttosto il compito per eccellenza di una filosofia critica per i nostri tempi.

Non riesco poi più a seguire Filoni quando si sforza di relativizzare il caso pur estremo di Heidegger, tratteggiando opinabili raffronti con Platone o Aristotele, oppure con Machiavelli, che non ha mai sostenuto un regime comparabile con il nazismo e che in verità non ha granché in comune con Heidegger. L’apporto storico più importante dell’opera di Machiavelli consiste nel tentativo di de-teologizzare la politica. Al contrario Heidegger o Carl Schmitt, lavorano ad una radicalizzazione della politica attraverso la trasposizione in essa di schemi teologici. La maniera in cui Schmitt introduce in Staat, Bewegung, Volk, la nozione teologica della “presenza reale” a proposito della Führung hitlériana per far capire che non si tratta di un’”idea”, è la stessa con la quale Heidegger, nel suo seminario hitleriano inedito 1933-34 che ho parzialmente pubblicato, traspone in politica lo schema teologico dell’incarnazione, per descrivere come «l’esistenza e la superiorità del Führer si sono infuse nell’essere, nell’anima del popolo» (Heidegger, l’introduction du nazisme dans la philosophie, p.230). E’ così che nozioni inizialmente religiose sono strumentalizzate e alterate da questi autori nazisti per esprimere la dominazione totale di Hitler sull’anima tedesca.

Più in generale, come sperare di trovare, come vorrebbe Marco Filoni, «idee» filosofiche fondamentali in un autore che dichiara ai suoi studenti che «non sono le “idee” che devono essere la regola del vostro essere», bensì «il Führer e lui solo» ?

Per tutte queste ragioni l’argomento trito e ritrito che consiste nel presentare quelli che resistono al nazismo come dei censori e degli inquisitori, e gli umanisti come degli ingenui o degli ipocriti, non è accettabile. Nel caso specifico la mancanza di responsabilità del pensiero si trova piuttosto nel rifiuto di guardare in faccia la radicalità omicida degli enunciati heideggeriani, e di tirarne le conseguenze rispetto allo statuto della sua opera.



Voci utilizzate nell'articolo

Seminari inediti

Frase sul Führer

Approvazione dello sterminio


Metodi applicati

Reductio ad Hitlerum

Induzione di orrore


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