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Da Libro bianco.

Heidegger tra il Reich e Hannah

Unità 20 agosto 2007


Paolo Di Paolo


L’ombra di Heidegger è l'inquietante romanzo epistolare in cui lo scrittore argentino José Pablo Feinmann affronta, raccontando una storia cupa e tragica, la compromissione dell’autore di Essere e tempo con il nazismo. E non con il piglio distaccato dello storico, ma con quello - più coinvolgente, più caldo - del narratore: mettendo in gioco prima di tutto e soprattutto l’umanità del «Maestro della Germania», il suo modo di muoversi, di parlare, di guardare. Lo spazio del suo abitare. La «malia, l’estasi riflessiva» che suscitavano le sue lezioni universitarie: raccontate da Feinmann dando voce al personaggio di Dieter Müller, allievo di Heidegger a Friburgo. Müller scrive una lettera a suo figlio Martin: è stato nazista, è fuggito in Argentina prima della catastrofe, ora sta per uccidersi. Ha davanti a sé la foto di un uomo nudo che si avvia verso le docce a gas, in un campo di sterminio. Sente finalmente il peso e la vergogna della colpa; e prima di punirsi, però, racconta, ricorda. Ciò che, ragazzo, l’aveva colpito di Heidegger: «lo spettacolo di una mente inaccessibile»; la lettura rivelatrice di Essere e tempo; lo scoprirsi ormai nazista a tutti gli effetti, ma senza odio: «Gli ebrei non mi interessavano», spiega Müller: «E Heidegger? Heidegger li odiava gli ebrei? Poteva odiarli chi aveva amato la giovane Hannah Arendt?». Tornano spesso, nel romanzo di Feinmann, gli occhi di Hannah, «grandi occhi neri».

Bellissima Hannah: come la mostra una fotografia di lei ventenne, datata ‘25, nell’apparato iconografico dell’affascinante epistolario Arendt-Heidegger che Einaudi ha appena mandato in libreria (Lettere 1925-1975 e altre testimonianze). «Vedersi», «Ri-vedersi», «L’autunno» sono i tre momenti in cui è suggestivamente scandita l’ampia raccolta di lettere; e c’è dentro, via via, un amore che cresce. «Non sopportavo più di girovagare per le strade di Heidelberg, sperando di incontrarti da un momento all’altro. Dovevo per forza parlare di te con qualcuno, e ho chiesto di te a Jaspers», scrive Martin alla fine del 1927, e ignora che di lì a poco qualcosa, nel rapporto con Hannah, si incrinerà. Mescola intanto, nelle sue lettere, notizie sul suo lavoro (la necessità di scomparire, di «dimenticare tutto»: per concentrarsi), qualche angoscia, al desiderio di lei. E ai raffreddori, le passeggiate in montagna, la neve, il brivido degli incontri clandestini («Vorresti venire nel bosco stasera?»), la «nostra panchina», la luce delle stagioni che passano e portano con sé troppe cose. Siamo al 1930: Arendt sembra ferita dalle voci sull’antisemitismo del suo amato ex professore; lui respinge quelle che chiama «calunnie» - e prepara un silenzio che durerà quasi un ventennio. Poi, sarà lei a cercarlo di nuovo, e l’amicizia d’autunno li accompagnerà alla fine (lei muore nel dicembre ‘75, lui nel maggio ‘76). Restano così senza risposta le domande (retoriche) che risuonano nel romanzo di Feinmann. È Martin, il figlio di quel Dieter Müller ormai morto suicida, che andrà a porle, alla fine degli anni Sessanta, direttamente a Heidegger, e a muso duro: «Dopotutto, Maestro, sono in tanti che le vogliono bene! Quelli che non le domandano nulla. La sua discepola, e forse il suo grande amore, Hannah Arendt, filosofa, ebrea, geniale, le ha forse amareggiato i giorni con rimproveri o domande insidiose? No, ha avuto cura del suo patrimonio». I silenzi degli altri, di molti, si aggiungono all’ostinato silenzio di Heidegger, lo ispessiscono. Perché il punto - lo evidenziano Antonio Gnoli e Franco Volpi nella illuminante postfazione - è proprio questo: «perché la grandezza filosofica si accompagna a volte così testardamente all’abiezione politica?». E ancora: «com’è possibile, oggi, riconciliare filosofia e politica dopo che ‘il solo grande pensatore del nostro tempo’ le ha dissociate?».




Voci utilizzate nell'articolo =

Studenti di Heidegger e il nazismo

Antisemitismo

Fascinazione

Silenzio di Heidegger


Metodi applicati

Acritica delle fonti

Aggettivo squalificativo

Induzione di orrore


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