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Da Libro bianco.

L'amore "maledetto" fra Heidegger e Hannah Arendt getta una luce sui misteri dell'anima

Arianna editrice 7 ottobre 2010

http://www.ariannaeditrice.it/articolo.php?id_articolo=34948


Francesco Lamendola

Sono ormai più di cinquant’anni che i biografi di Martin Heidegger e di Hannah Arendt si trovano a dover fare i conti con qualcosa di sommamente imbarazzante, sconveniente, scandaloso: la lunghissima, tormentata e tuttavia indistruttibile relazione amorosa che ha legato il filosofo in odore di nazismo, certamente antisemita, alla sua bella studentessa ebrea, decisa militante filosemita durante la seconda guerra mondiale e implacabile accusatrice del regime nazista.

Un amore che è durato fino alla morte (di lei) e che nessuna insinuazione, nessuna critica, nessuna censura è riuscita a scalfire; un amore, soprattutto - e questo è il punto maggiormente significativo - che ha trovato il modo di coesistere, nell’animo dei due amanti, non solo con un bagaglio ideologico di segno opposto, ma anche con due sensibilità morali che difficilmente possono essere considerate di pari livello.

Heidegger, filosofo geniale, in più e più occasioni mostrò un comportamento eticamente discutibile; molte cose si potrebbero dire al riguardo, ma quella che getta un’ombra inquietante sulla sua figura morale, è, senza dubbio, l’aver denunciato alle autorità naziste colleghi e studenti ebrei al tempo in cui era stato nominato rettore dell’Università di Friburgo, nel 1933, succedendo al suo maestro (ebreo) Edmund Husserl.

Il compito dello storico non è quello di distribuire la pagella in “valori morali” ai personaggi del passato, se non altro perché è sin troppo facile emettere sentenze quando il contesto politico e culturale è radicalmente cambiato e non costa nulla fare sfoggio di alte virtù; mentre la cosa, evidentemente, risulterebbe alquanto più laboriosa se lo storico si trovasse a vivere in una situazione di reale minaccia o di soppressione delle libertà fondamentali dell’individuo, a cominciare da quella di mostrarsi compassionevole verso il prossimo.

D’altra parte, quel particolare genere di storico che è il biografo non può sottrarsi alla responsabilità di valutare le scelte morali dei personaggi che sono oggetto della sua ricerca, specialmente quando esse presentano una effettiva rilevanza nel loro percorso umano, intellettuale, professionale; e, sotto questo profilo, il biografo di un filosofo non si trova affatto in una posizione diversa rispetto al biografo dell’uomo politico, dello scienziato o dell’artista.

I biografi di Martin Heidegger, quindi, come ad esempio il Safranski, giunti a un certo punto si vedono costretti a scendere dalle altezze stratosferiche del suo pensiero, per trovarsi davanti a questa grossa pietra d’inciampo, diciamo pure a questo macigno, nella vita del filosofo tedesco: la sua adesione, e sia pure temporanea, al regime hitleriano; le sue pubbliche prese di posizione a favore di esso; la sua zelante applicazione dei decreti antisemiti all’interno dell’università; la denuncia di quei colleghi e di quegli studenti che ricadevano entro il dettato delle leggi razziali.

A ciò si deve aggiungere la sconcertante insensibilità da lui mostrata nei confronti degli amici più cari, ad esempio il fatto di non aver mosso un dito in aiuto della moglie ebrea del suo collega ed amico Karl Jaspers; e il fatto di aver millantato meriti pressoché inesistenti quale difensore degli Ebrei all’interno dell’Università; mentendo clamorosamente, su questo punto, anche alla sua giovanissima amica ed amante Hannah Arendt.

Quanto a lei, la studentessa ebrea altrettanto geniale, ella non solo accettò di divenire l’amante, per anni, del suo professore (sposato con una feroce e dichiarata antisemita), di cui non poteva ignorare le idee o, almeno, i comportamenti concreti (anche se, su ciò, i suoi biografi si sono arrampicati sugli specchi per tentare di “scagionarla” da questo dato di fatto); ma riprese una relazione con lui, anche se solo sul piano spirituale, a guerra finita, dopo aver dovuto emigrare in Francia e poi negli Stati Uniti, proprio per sfuggire alle leggi razziali, e dopo aver condotto, dall’estero, una dura battaglia in difesa degli Ebrei perseguitati dal nazismo: relazione che, come si è detto, ebbe termine solamente con la sua morte, seguita, sei mesi dopo, da quella di lui. E non basta.

Negli anni del dopoguerra, oltre ad aver giocato un ruolo decisivo nella riabilitazione del suo antico maestro, in particolare deponendo a suo favore e sospingendo anche il riluttante Jaspers a fare altrettanto, nel procedimento aperto a suo carico nel quadro della politica di denazificazione, Hannah Arendt, ormai a sua volta famosa e apprezzatissima a livello internazionale, accettò di rimanere piccola e devota davanti a lui, di fingersi intellettualmente insignificante per gratificare la sua immensa vanità; insomma di cancellare se stessa per non gettare la minima ombra sul geloso e suscettibile amante: tipico esempio di sottomissione della donna agli aspetti più beceri e meschini dello stereotipo maschilista.

Hannah Arendt, dunque, vivendo l’amore per Heidegger nel modo in cui lo visse, ha calpestato contemporaneamente due autentici tabù della Vulgata progressista, femminista e libertaria: come ebrea, aveva continuato ad amare e venerare un filosofo che aveva appoggiato Hitler; come donna, aveva accettato di annullarsi, per non dare la benché minima ombra al “monumento” del suo vanitoso uomo (essendo peraltro già sposata anche lei).

Ah, un ultimo particolare, non per amor di pettegolezzo, ma per delineare un quadro completo della vicenda: lui era fisicamente insignificante, piccolo di statura, moro, scuro di carnagione, insomma di aspetto non precisamente ariano; e non aveva nemmeno lo sguardo fulminante di D’Annunzio, anzi parlava tenendo gli occhi bassi, come se non osasse guardare in faccia l’interlocutore; mentre lei, oltre a essere giovane e intelligentissima, era anche bellissima e avrebbe potuto avere ai suoi piedi (e di fatto li aveva) qualunque ragazzo o qualunque uomo.

Insomma, questo amore “maledetto” è stato, da sempre, una vera e propria spina nel fianco di tutti quegli storici moralisti e di tutti quei biografi edificanti che non sono mai riusciti a capacitarsi né della bassezza, se così vogliamo chiamarla, di lui, né - meno ancora - della “inesplicabile” venerazione e sottomissione di lei. Un riflesso di questo imbarazzo, anzi, diciamolo pure, di questo autentico fastidio, si trova in tutti i biografi che hanno dovuto fare i conti con quell’amore.

A titolo di esempio, scegliamo un libro a caso, «Storia delle altre» (titolo originale: «A History of Mistresses», 2003; traduzione italiana di Carmen Covito e Marco Cavalli, Milano, Mondadori, 2006, 2007, pp. 308-317):

«Sul finire dell’autunno del 1924, una precoce adolescente fece il suo ingresso in un’aula universitaria per ascoltare uno dei più importanti filosofi tedeschi. Di lì a poco questi due personaggi diedero avvio a un’appassionata e complessa relazione che cambiò per sempre le loro vite. La loro storia d’amore non fu però né esemplare né esaltante. Hannah Arendt, la studentessa diciottenne, era ebrea, e Martin Heidegger, il suo trentacinquenne professore, era un nazionalista tedesco che avrebbe aderito al partito nazista e causato la rovina dei suoi colleghi e degli intellettuali ebrei. […]

Nel febbraio 1950, dopo tormentose esitazioni e incertezze, Hannah prese la risoluzione di rivedere Heidegger. Il 7 febbraio raggiunse Friburgo e per prima cosa gli spedì un biglietto chiedendogli di andarla a trovare nel suo albergo. Heidegger vi capitò la sera stessa alle 18,30, senza farsi annunciare, e ancora una volta Hannah ne rimase affascinata. “Quando il cameriere ha pronunciato il vostro nome - gli disse più tardi – è stato come se il tempo si fosse fermato all’improvviso.”. Incredibilmente, Hannah gli confessò di non essersi più fatta viva con lui solo a causa del proprio orgoglio e della propria “pura, semplice e folle stupidità”, non per altre ragioni. Ossia, non a causa del suo passato nazista.

Heidegger, però, era stato un nazista e aveva approfittato dell’importante e prestigiosa carica di retore di una grande università per rovinare, e in qualche caso, annientare, la carriera degli ebrei e di chi si opponeva al nazismo, tra cui un fervente cattolico romano. Non aveva mosso un dito per aiutare la moglie ebrea di Jaspers quando costei aveva rischiato la morte sotto il regime nazista,. Nelle rare occasioni in cui aveva tentato di intervenire a favore di ebrei vittime de regime, lo aveva fatto in nome dell’amicizia, mai per lo sdegno di fronte alla politica nazista. Nei primi anni del Terzo Reich, Heidegger aveva letto e assimilato alla perfezione “Mein Kampf”, in particolare l’odio antisemita del suo autore. Egli credeva, come Hitler, in una cospirazione ebrea internazionale. Nel 1929 aveva scritto in una lettera di avvertimento ufficiale: “È giunto per noi il momento di scegliere: o insufflare autentiche energie tedesche e imporre modelli dello stesso ordine nella vita spirituale della Germania, o abbandonarla alla crescente giudaizzazione, nel senso più proprio e in quello più ampio de termine”.

Come poté durare la storia d’amore fra un tedesco nazista e un’ebrea costretta a fuggire dalla Germania per scampare allo sterminio? A differenza delle donne ebree violentate dai nazisti che le tenevano prigioniere, la giovane Hannah era rimasta affascinata dalla non comune intelligenza di Heidegger e dalla sua statura professionale, due argomenti di cui egli si era servito per sedurla e legarla a sé. Non arrivava neppure a credere che Heidegger potesse essere nazista, a tal punto le era indifferente, all’epoca, tutto ciò che lei chiamava “politica”. Dal canto suo, Heidegger era abbastanza scaltro da evitare le discussioni che avrebbero potuto far sospettare ad Hannah il suo acceso nazionalismo e il suo consenso con le idee e gli spaventosi obiettivi di Hitler. Date le circostanze, è difficile sostenere che la Arendt andasse a letto con il nemico in piena coscienza.»

In questo brano di prosa che è, al tempo stesso, un cattivo esempio di biografia e un pessimo esempio di letteratura, in cui la rozzezza dell’autrice si spinge a ridurre una storia d’amore a una faccenda di letto, viene a galla tutta l’ipocrisia di una storiografia e, più in generale, di una cultura “progressista” o, comunque, politicamente corretta, che si sforza invano di tenere nascosta una coda di paglia lunga un chilometro.

Insomma il docente satiro, mefistofelico sciupafemmine, avrebbe sfruttato il candore e l’ingenuità della sua troppo fiduciosa allieva, per sedurla e per tenerla legata a sé tutta la vita: mentendo a più non posso nei primi tempi; e, poi… non si sa bene come. Ma insomma è “certo” che Hannah, poverina, non sapeva quel che faceva, allorché «andava a letto col nemico».

Beato candore dei politicamente corretti, che non si accorge nemmeno di cadere nel ridicolo e nel grottesco.

La verità, se vogliamo essere seri, è un’altra; e non solo nel caso di Martin Heidegger e Hannah Arendt, ma in tutti i molti casi analoghi; e anche in quelli più sconcertanti, come quando la vittima si innamora del proprio sequestratore, del proprio aguzzino, del proprio carnefice: ma senza che, per spiegarli, sia necessario ricorrere alla psicopatologia, come vorrebbero gli psicanalisti di stretta osservanza e anche molti di osservanza più blanda e tollerante. E cioè che nell’anima umana vi sono dei misteri insondabili, molti di più di quanti ve ne possano essere nell’universo fisico; misteri talmente abissali, che, al loro cospetto, le normali categorie di “bene” e “male”, di “giusto” ed “ingiusto”, cadono miseramente, come altrettanti castelli di carta.

Uno di tali abissi è certamente l’amore, al tempo stesso intellettuale e passionale, che può legare un uomo e una donna, magari per tutta la vita, in condizioni sociali, politiche e culturali siffatte, da costituire un’ardua sfida non solo al comune sentire della gente, ma anche alla stessa coscienza dei due protagonisti.

Vi è qualcosa di abissale, in amori di tal fatta, davanti a cui non serve scandalizzarsi, né si ha il diritto di puntare l’indice contro l’uno o l’altro dei due amanti; e questo non è romanticismo a oltranza, ma puro e semplice buon senso, pura e semplice constatazione di una ricchissima casistica, da cui abbiamo trascelto, per discuterne, solo uno dei casi più celebri.

Ma quanti amori del genere esistono e sono sempre esistiti; e quanti, secondo ogni verosimiglianza, continueranno ad esistere? Infiniti, senza dubbio.

Che piaccia o che non piaccia all’opinione pubblica, alla critica e alla storiografia politicamente corrette, debitamente progressiste e femministe: quando si ama, non c’è più alcun “nemico”.


Voci utilizzate nell'articolo

Antisemitismo

Colleghi e studenti ebrei

Nomina al rettorato

Allineamento dellUniversità

Il nazismo di Elfride

Riabilitazione

Statura di Heidegger

Metodi applicati

Alzata del Genio

Presunzione di connivenza

Onniscienza biografica

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