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Da Libro bianco.

Martin Heidegger, il custode nel museo della filosofia

Raffaele Langone Blog 8 ottobre 2010

http://rlangone4.blogspot.it/2010/10/martin-heidegger-il-custode-nel-museo.html


Nicola Bucciarelli

Raramente, nella storia del pensiero occidentale, c’è stata un così marcata corrispondenza tra l’evoluzione della speculazione di un filosofo e i rivolgimenti storici e culturali della sua epoca come nel caso di Martin Heidegger. La parabola esistenziale di questo filosofo è, infatti, costellata dalla presenza di tutte le passioni e le catastrofi di un intero secolo. L’abbrivio di tale parabola è da situarsi in un luogo caratterizzato da una forte specificità, sia in senso geografico, sia in senso culturale. Martin nasce il 26 settembre 1889 in un villaggio del Baden chiamato Meβkrik, situato fra il lago di Costanza e il corso superiore del Danubio. Una terra povera posta a confine tra il ceppo alemanno e quello svevo. La famiglia Heidegger ha origini artigiane e contadine ed è fortemente legata all’ambiente cattolico. Il padre di Martin fa il sacrestano presso la Chiesa di S. Martin. La componente religiosa avrà, sin da ora, un ruolo decisivo nella scelta antimodernista del filosofo tedesco. Il prezzo dell’appartenenza della sua famiglia all’ambito cattolico fedele al Papa, in un periodo dominato dalla lotta dei cosiddetti “vecchi cattolici” che intendevano difendere le prerogative liberali contro la pretesa “infallibilità” papale sancita dal Concilio Vaticano del 1870, è, per il piccolo Martin, un’infanzia vissuta in un clima di sberleffo e sopraffazione. La modernità si presenta a lui con il suo volto più arrogante e altezzoso. Comunque, grazie alle sue capacità, che si palesano sin dalla tenera età, e all’aiuto del clero, Heidegger può cominciare il suo percorso formativo presso vari istituti, sia cattolici sia laici, tra Costanza e Friburgo. Anche in questo contesto percepisce l’influenza della modernità, rappresentata dallo stile di vita dei suoi compagni ricchi e borghesi, come un qualcosa di artificioso. Già da ora si delinea, nella mente del giovane studente, la distanza che s’interpone tra la vita “autentica” del borgo natio e quella “inautentica” di questi giovani viziati che si fanno gioco di ogni tradizione.

Nel 1909 Martin inizia a studiare teologia e conosce quello che sarà il suo primo maestro,Carl Braig. Costui era un teologo dell’antimodernismo. Il suo, però, non era un antimodernismo oscurantista e ciecamente dogmatico. Era, per così dire, più un antimodernismo impertinente che sempre cercava di mettere la cosiddetta modernità di fronte ai suoi limiti e alle sue incongruenze. L’anno successivo Heidegger ha modo di esternare tale approccio ideologico per la prima volta in maniera pubblica. L’occasione è fornita dall’inaugurazione del monumento di Abraham a Sancta Clara a Kreenhainstetten, borgo vicino a quello natio del filosofo. Nel suo articolo di resoconto dei festeggiamenti redatto per il settimanale cattolico-conservatore, Allemeigne Rundschau, Heidegger inizia ponendo l’accento sull’atmosfera tenace, schiva, orgogliosa e, talvolta, grossolana che pervade l’ambiente natio. Poi si avventura in una critica contro la decadenza della sua epoca di “cultura esteriore”, di “furia di rinnovamento che tutto sradica”, in cui domina “il folle scavalcamento di tutti i più profondi contenuti spirituali della vita e dell’arte”.

Del biennio 1911-12 sono due articoli filosofici pubblicati su riviste specializzate e intitolati rispettivamente Problema della realtà nella filosofia moderna e Nuove indagini sulla logica. Specialmente quest’ultimo riscuote un notevole interesse in ambiente cattolico. Ciò nonostante Heidegger tenta di mantenere questa fama nell’ambito confessionale senza divenire una filosofo strettamente cattolico. Nello stesso anno, grazie all’amico Laslowski, Heidegger conosce Englebert Krebs, sacerdote e teologo, con cui mantiene una salda amicizia fino al momento della sua uscita dal “sistema cattolicesimo”.

Nell’estate del 1913 il filosofo di Meβkrik si laurea con una tesi su La dottrina del giudizio nello psicologismo. In questo lavoro l’influenza di Hussler è evidente. Sulle orme di quest’ultimo confuta le tesi dei rappresentanti del cosiddetto “psicologismo”, corrente filosofica che tentava di spiegare la logica a partire dalla psicologia. Il confronto con tale dottrina lo mette per la prima volta di fronte al concetto di tempo, concetto centrale nella sua dottrina futura, e al concetto di niente che, a questo stadio della sua parabola filosofica però, poteva essere incontrato esclusivamente nel giudizio e non nella realtà. L’anno successivo Heidegger viene arruolato e subito rimandato a causa dei suoi problemi cardiaci. Si tiene lontano dalle polemiche ideologiche che fioriscono nel mondo culturale tedesco intorno allo scoppio della guerra e inizia il suo lavoro di abilitazione all’insegnamento intitolato Dottrina delle categorie e del significato in Duns Scoto.

L’oggetto di tale lavoro è l’opera Dei modi del significato ovvero Grammatica speculativa. E’ in questo periodo che Heidegger subisce la decisiva fascinazione del pensiero hussleriano. Nella primavera del 1915 Heidegger conclude il suo lavoro su Duns Scoto e, il 27 luglio, il giovane filosofo tiene la sua lezione di prova sul tema Il concetto di tempo nelle scienze dello spirito. Questa fase della carriera dello stesso è contraddistinta da un grande risentimento contro l’ambiente accademico. Tutte le sue ambizioni di ottenere una cattedra sono difatti disattese. Come quando, il 23 giugno 1916, viene deciso a chi dovesse essere assegnata la cattedra lasciata vacante da Krebs a Friburgo. Il nome prescelto è quello di un esterno, Geyser. E’ un notevole smacco per Heidegger, considerato dalla commissione troppo giovane e, forse, già troppo lontano dall’ambito cattolico. Nella stessa estate conosce Elfride Petri, protestante, figlia di un ufficiale sassone, con la quale, nonostante le difficoltà dovute alla differenza di religione e di ceto sociale, si sposerà con rito cattolico celebrato da Krebs a marzo del 1917.

A gennaio del 1918 Martin viene richiamato dall’esercito e, dopo l’addestramento, inviato presso stazione metereologica al fronte. Qui gli appare chiaro che quello “spirito” che aveva acceso la cultura negli anni precedenti la guerra non aveva più alcuna consistenza. Ciò che ora rimaneva era esclusivamente “la furia di ciò che è personale”. Il soldato vede chiaramente come coloro, che fino ad allora avevano soltanto giocato con lo spirito, sarebbero crollati. E, proprio ora, sente chiaro che ciò che rimane, mentre tutto intorno sta bruciando, è una nuova intensità. Questa imponeva di perseguire “la vita nuova” che non può più permettersi di essere “inautentica e piatta”. Solo l’“intuizione totale” doveva esserne la guida. Ritornato a Friburgo, si getta con tutte le sue energie dietro questa “intuizione totale”. Il punto focale della sua speculazione diviene la dinamica del tempo. Esso infatti si palesa agli occhi del filosofo come “un disconoscimento razionalistico dell’essenza del personale flusso vitale, quando si pensa e si pretende che esso debba sempre vibrare con la stessa vasta e sonora ampiezza con la quale si ravviva negli attimi toccati dalla grazia”.

La prima lezione dopo la guerra tenuta da Heidegger ha per titolo L’idea della filosofia e il problema della visione del mondo. Il giovane libero docente intende prendere parte, con questo ciclo di lezioni, alla disputa intellettuale scatenatasi dopo la conferenza di Max Weber La vocazione interiore alla scienza. Il fulcro della questione riguardava il problema del rapporto tra etica e scienza. Weber proponeva una netta separazione tra il possesso del mondo, da una parte, e il rispetto del mistero della persona, dall’altra. Per il sociologo Dio poteva sopravvivere esclusivamente nell’anima del singolo il quale, però, doveva essere disponibile “a compiere il sacrificio dell’intelletto” e credere in lui. Di conseguenza una fede che si confonde con la scienza, o peggio, che istaura un rapporto di concorrenza con essa, è un inganno pericoloso. Molte sono le voci che si levano contro tale visione del problema poiché, nonostante l’esortazione di Weber a guardarsi dalle ideologie, nessuno pare disponibile ad accettare lo spirito di realismo della Realpolitik weimariana. E’ questo anche l’anno di commiato dal cattolicesimo di Heidegger. A gennaio il filosofo di Meβkrik scrive all’amico Krebs: “Le mie convinzioni sul piano gnoseologico, che si estendono alla teoria della conoscenza storica, hanno reso per me problematico e inaccettabile il sistema cattolicesimo”.

Nella primavera del 1920 Heidegger conosce Karl Jaspers. L’amicizia tra i due sarà delicata e controversa, ma durerà a lungo. Il filosofo, nel ciclo di lezioni su Aristotele del 1922, intende proporre un nuovo approccio filosofico contro la tendenza spontanea della vita ad astrarsi da se stessa affinché la filosofia si immerga freddamente nel fluire dell’esistenza. Quello che il filosofo vuole produrre è una tempesta di dubbi, da cui doveva “risultare evidente quanto sia in realtà oscura e nebulosa la situazione non appena cerchiamo di condurla alla trasparenza”.

Nel 1923, in giugno, Martin finalmente ottiene la carica di professore straordinario aMarburgo. La rabbia covata in silenzio contro il mondo accademico ora esplode inevitabilmente. Le tracce più chiare di questa acredine emergono nella corrispondenza con Jaspers, insieme al quale si erano già da tempo alleati in una “comunità di lotta” attraverso la quale eliminare la troppa idolatria dei vari stregoni della filosofia.

Nel 1924 Heidegger tiene una conferenza per i teologi di Marburgo sul tema Il concetto di tempo. Per la prima volta propone un’interpretazione della temporalità alla luce della particolare curvatura della mortalità “L’esserci […] sa della sua morte […] E’ un percorrimento dell’esserci che va al suo non più”. Questo “non più” non rappresentava però semplicemente l’evento morte, ma piuttosto il “ ‘come’ del mio puro e semplice esserci”. Nel febbraio dello stesso anno inizia la relazione con Hannah Arendt.

Dopo un lungo periodo di sospensione dalle lezioni dominato da una voglia furiosa di mettersi in luce, viene dato alle stampe, all’inizio del 1927, Essere e Tempo. Con tale opera Heidegger ritiene di aver raggiunto il suo proposito di creazione della vera filosofia fondata esclusivamente sul “libero domandare dell’esserci riposto puramente su se stesso”. Il filosofo presenta un’ontologia fondamentale in cui, all’esserci dell’uomo, non rimane altro appiglio se non questo “ci”, che ha da essere. E’ questa, negli intenti dell’autore, l’opera del “coraggio dell’angoscia” di fronte alla morte di Dio.

A febbraio del ‘28 Heidegger viene chiamato a ricoprire la cattedra di Hussler a Friburgo.

L’anno successivo lo stesso scrive alla Blochmann “con il mio corso invernale sulla metafisica dovrà riuscirmi un inizio del tutto nuovo”. Nel corso in questione, intitolato “I concetti fondamentali della metafisica. Mondo – finitezza – solitudine”, il filosofo intende proporre un approccio filosofico che riesca a destare l’“accadere fondamentale nell’esserci umano”. A tale scopo descrive una metafisica in cui il senso del trascendere trova una nuova e sorprendete accezione. La metafisica s’identifica con un vivere selvaggiamente e pericolosamente sul piano filosofico. Il punto focale di tale ribaltamento di significato diveniva l’analisi della noia.

Nel 1931 il filosofo tedesco è rapito filosoficamente da Platone e partecipa, sulle tracce di quest’ultimo e sorretto da un senso nuovo di responsabilità politica e sociale, alla distruzione della democrazia. La prima metà del corso su Platone, tenuto nel biennio 1931-32, è dedicata all’interpretazione del mito della caverna tratto dalla Repubblica. In tale dialogo il senso della giustizia, come ci dice lo stesso Platone, è racchiuso nel giusto equilibrio dell’anima, sia nell’uomo che nella polis. Tale equilibrio è strettamente legato alla natura dell’anima stessa che è fatta, come il cosmo, di puro essere il quale, semplicemente permanendo, è in opposizione con il divenire. Per Heidegger invece non c’è alcun ideale ontologico della persistenza. Occorre, dunque, interpretare il pensiero di Platone meglio di quanto lo abbia fatto Platone stesso. Il risultato di questa interpretazione è l’individuazione di una distanza che si interpone tra l’uomo e la sua percezione del mondo e di sé stesso, poiché esiste una parte di entrambe che si mostra e un’altra che si sottrae.

Ciò significa che esiste uno spazio di gioco in cui risiede la libertà dell’uomo. Tale distanza è chiamatada Heidegger “apertura”. Se quest’ “apertura” non ci fosse l’uomo non potrebbe distinguersi né da ciò che lo circonda, né da se stesso. Di conseguenza non potrebbe neanche esserci. “Occorre intervenire” scrive Heidegger a Jaspers in marzo. La crisi imperversa in Germania e il coacervo di problemi in gioco rappresenta, per la debole democrazia di Weimar, un nodo inestricabile. Ispirato da Platone, Heidegger si unisce a quelle forze nelle quali scorge una reale volontà di ricominciare. Per il filosofo l’avvento del partito nazionalsocialista non è una fatto meramente politico, rappresenta un atto nuovo nella storia dell’essere. Il 20 aprile dello stesso anno il giovane professore viene eletto, quasi all’unanimità, rettore dell’università di Friburgo dalla riunione plenaria. Il 27 maggio è il giorno del discorso di rettorato. Il tema di tale discorso è L’autoaffermazione dell’università tedesca. Il filosofo sa che lo sguardo del mondo filosofico è rivolto su di lui. In questa sede propone una metafora in cui la scienza è intesa come una lotta infinita del sapere contro l’oscurità dell’ente.

Quindi l’università deve conformarsi al modello della truppa d’assalto e, di conseguenza, deve essere rifiutata una volta per tutte la concezione di una scienza come mezzo attraverso il quale dare sfogo alle vanità personali e attraverso il quale fare carriera e soldi. A causa degli intrighi interni alla gerarchia nazista e all’amarezza di vedere disilluse le sueambizioni di generare una vera rivoluzione spirituale attraverso il nazionalsocialismo, nell’aprile del ’34 Heidegger si dimette dalla carica di rettore. L’allontanamento dall’ambito politico per un ritorno nel mondo dello spirito è sottolineato dal cambio del tema del corso estivo. Questo doveva trattare il tema “Lo Stato e la scienza”, invece il filosofo, alla prima lezione, comincia a parlare di logica. Il semestre successivo il corso tenuto dal filosofo riguarda il poeta Hölderin. In questi egli vede una perfetta copia di se stesso e della sua parabola esistenziale.

Tra il 1935 e il 1938 le opere più significative prodotte dal filosofo tedesco, per quel cheriguarda l’aspetto pubblico della sua dottrina, sono un corso sulla Metafisica e una conferenza dal titolo La fondazione dell’immagine del mondo mediante la metafisica che, dopo la guerra, riappare con il titolo L’epoca dell’immagine del mondo. Tale ultima opera, in particolare, avrà notevole risonanza negli anni cinquanta. Il filosofo, attraverso di esse, tenta di rielaborare la sua delusione per la mancata realizzazione sul piano politico della rivoluzione metafisica. Si adopera in una diagnosi del mondo moderno che, sempre più, si manifesta ai suoi occhi come l’epoca della mobilitazione totale in cui, attraverso la strumentalizzazione della trascendenza, viene raggiunto lo stato di completa “sdivinizzazione”. Di tale processo, però, il nazionalsocialismo non rappresenta più il momento di rottura. La rivoluzione, anzi, ne diviene l’esito più coerente poiché, nel nazionalsocialismo, brucia, più che mai, il furore della modernità che si esplica attraverso l’inautenticità sotto forma di “mobilitazione totale”. Per quel che riguarda l’aspetto più propriamente privato della produzione filosofica di Heidegger, nello stesso periodo vengono redatti i Contributi alla filosofia, non destinati alla pubblicazione. L’opera, nel suo insieme, appare come un delirio di concetti e una litania di frasi attraverso le quali il filosofo vuole dipingere una nuova immagine di Dio intesa, non più come Essere che sta di fronte all’Esserci, ma come Essere che si compie nell’Esserci.

Contemporaneamente e, probabilmente, a causa di questo ritorno heideggeriano nell’antro sicuro di una speculazione squisitamente individuale sopravviene un progressivo allentamento dell’approvazione e dell’appoggio, nei confronti del filosofo, da parte della gerarchia di partito.

I momenti salienti di questo processo possono essere rintracciati nella messa sotto controllo delle sue lezioni nel semestre estivo del 1937 e, soprattutto, in occasione della chiamata a far parte della delegazione tedesca che doveva rappresentare la Germania nelle celebrazioni per il giubileo di Cartesio. Il nome di Heidegger è aggiunto nella lista soltanto all’ultimo momento. Questo ritardo è uno smacco per lo stesso che si vede costretto a rifiutare l’invito tardivo.

Nel successivo corso intitolato Nietzsche e il nichilismo europeo Heidegger propone un’interpretazione sorprendente della sconfitta bellica francese. Per il filosofo, infatti, non erano più l’America e la Russia le potenze avanguardia della “desolante frenesia della tecnica scatenata”.

Era la Germania che vinceva poiché si era abbandonata più efficacemente alla mostruosità della tecnica. Con le successive opere Che cos’è Metafisica ed il corso su Eraclito spinge la speculazione nel campo che gli sarà proprio fino alla fine e cioè il concetto di abbandono.

Sul finire del 1944 è imposta, con decreto del Fhurer, la chiamata alle armi di tutti gli uomini abili al lavoro compresi tra i sedici e i sessant’anni. Lo stesso Heidegger partecipa ad unamissione della milizia popolare contro l’esercito francese che, però, non si concretizza in nessuna battaglia. In seguito ottiene un congedo dall’università per riordinare i propri manoscritti e metterli al sicuro. Quindi ritorna nella cittadina natia e, insieme al fratello Fritz, durante l’inverno riordina i suoi lavori. In primavera tutta la facoltà di filosofia e gran parte della sua biblioteca trovano rifugio nella fortezza di Wildenstein dove si continuano le attività didattiche e, contemporaneamente, si aiutano i contadini in cambio di alimenti. Alla fine del corso estivo del 1945 Heidegger propone una conferenza che, per alcuni anni, rimarrà l’ultima. A Friburgo, infatti, le autorità militari alleate, in cerca di spazi logistici, occupano già le case di coloro che in maniera più netta hanno collaborato con il regime nazionalsocialista. Anche la casa del filosofo viene occupata e perfino la sua biblioteca rischia di essere sequestrata. L’amministrazione militare francese pretende dall’università l’epurazione di tutti gli elementi politicamente più compromessi. Heidegger è annoverato tra questi.

Ovviamente i francesi non sono affatto disposti a riconoscere all’università l’indipendenza per gestire autonomamente tale epurazione. Di conseguenza il compito di formare la commissione cui spettano le indagini è affidato ad un ufficiale transalpino di collegamento. Ne sono nominati componenti i professori Constantin von Diete, Gerahard Ritter e Adolf Lampe. Ad essi si uniscono, successivamente, il teologo Allgeier ed il botanico Friedrich Oehlkers, amico di Karl Jaspers. Heidegger si presenta di fronte ad essi il 23 luglio del 1945. Tutti hanno un atteggiamento benevolo nei suoi confronti tranne Lampe poiché, quando il filosofo era stato rettore, lo aveva osteggiato per motivi d’inaffidabilità politica. Di fronte a costui, che tra i membri della commissione è quello che ha l’atteggiamento più ostile, propone la linea di difesa che gli sarà propria anche negli anni successivi e che giustificava l’adesione al nazismo motivandola nel senso di volontà di composizione delle tensioni sociali e di resistenza all’avanzata del comunismo. Il filosofo ricorda, inoltre, che, già dalla metà degli anni trenta, si era allontanato dal regime pagando il prezzo di tale scelta, come testimoniavano il controllo delle proprie lezioni e le difficoltà di pubblicazione dei suoi testi. Heidegger nell’occasione non mostra alcun senso di colpa poiché sente di non averne affatto.

La commissione alla fine propone per il filosofo un verdetto molto blando. Il senato accademico, però, si oppone a tale risultanza obbiettando che, se si fosse creato un tale precedente, si sarebbero compromessi tutti gli altri processi verso i professori. Heidegger tenta, a fronte di tale ostilità, di giocare un’ultima carta. Chiede che venisse richiesta una relazione sul proprio conto a Karl Jaspers. Costui era in realtà il meno adatto al compito poiché lo stesso stava esperendo, proprio in quel periodo, un corso sulla necessità di rielaborare la colpa e, a tale proposito, scriveva: “Molti intellettuali che hanno collaborato nel 1933 e che hanno cercato per se stessi un ruolo-guida, assumendo pubblicamente una posizione ideologica a favore del regime, e che poi, messi da parte sul piano personale, se ne sono irritati [….] costoro hanno la sensazione di aver patito sotto il nazismo. [….] Chi nel 1933 aveva da persona matura quella convinzione interiore, che non si radicava solo in un errore politico, ma in senso dell’esistenza accresciuto a opera del nazionalsocialismo, non diventa una persona pura, se non in seguito a un processo di rifusione che deve andare probabilmente molto più a fondo di qualsiasi altro”. Evidentemente tali parole sembravano cucite su misura per l’amico Martin. Alla fine la relazione di Jaspers, incentrata più sulla dannosità per la gioventù della dottrina filosofica di Heidegger che sugli errori politici dello stesso, è alla base della decisione del senato accademico di rimuovere il filosofo dall’insegnamento e corrispondergli una pensione ridotta. Ma tali drastiche decisioni precedono il momento in cui comincia la seconda grande carriera di Heidegger sulla scena culturale francese.

La fama della filosofia di Hussler ed Heidegger era penetrata in Francia attraverso un allievo di Jaspers. Costui rispondeva al nome di Kojève, un aristocratico profugo russo che era fuggito dalle ritorsioni rivoluzionarie. Dopo aver studiato in Germania, per amore si era trasferito in Francia ed aveva impartito lezioni su Hegel a tutta una generazioni di intellettuali che sarebbero divenuti l’avanguardia di quella corrente filosofica passata alla storia con il nome di “esistenzialismo”. Tra questi il più famoso è certamente Sartre. Nella sua opera monumentale L’Essere ed il nulla l’autore francese riconosce, al pari di Hedegger, che la temporalità è l’elemento più caratterizzante dell’esserci, dallo stesso espresso con il termine “per sé”. L’uomo, però, non è nel tempo come un pesce nell’acqua. Al contrario, egli temporalizza il tempo stesso di modo che il tempo della coscienza diviene “il nulla che si insinua nella totalità come fermento detotalizzante”. E’ facile, poi, riconoscere nelle determinazioni individuate da Sarte, che sono precipue dell’uomo in quanto essere consapevole del proprio essere, gli “esistenziali” di Essere e Tempo.

Anche la conseguenza ultima del discorso filosofico appare la stessa nei due pensatori: Sarte intende la sua filosofia come una fenomenologia della libertà, Heidegger aveva detto chiaramente che l’essenza della verità risiedeva nella libertà e in null’altro. Sul finire del 1945 vi è, grazie all’intermediazione dell’ufficiale francese Towarnicki, una corrispondenza fra il filosofo francese e quello tedesco e sono quasi sul punto d’incontrarsi. Heidegger, dopo la lettura di Essere e nulla, appare subito molto colpito da Sartre e, anche in funzione riabilitativa, ne cerca la collaborazione. Tali manovre, in realtà, sortiscono l’effetto contrario poiché i delatori del filosofo tedesco ne sono intimoriti. A Martin allora non rimane che chiedere aiuto all’arcivescovo di Friburgo Conrad Groeber. Costui, nazista della prima ora, si era poi allontanato da regime diventando un nemico dell’allineamento politico e, di conseguenza, potendosi presentare come un interlocutore accettabile di fronte all’autorità militare francese. Nonostante l’interessamento di quest’ultimo Heidegger rimane isolato e ha, all’inizio del 1946, un tracollo psicofisico. E’ costretto a rinchiudersi in una clinica per due settimane al fine di curarsi.

Sartre, con la sua conferenza del 1945 dal titolo L’esistenzialismo è umanismo, aveva scatenato una vera e propria tempesta all’interno del mondo culturale europeo. Il nucleo della discussione risedeva nel fatto fondamentale di trovare una nuovo supporto etico all’agire individuale e collettivo dopo il tramonto di Dio e la catastrofe delle ideologie totalitarie con la loro mitologia intramondana. Il filosofo francese, partendo dall’assunto fondamentale che “l’esistenza precede l’essenza”, invita l’uomo occidentale a rinunciare alla possibilità che i valori dell’umanismo siano saldamente insiti nella nostra civiltà. L’esistenzialismo imponeva a quest’uomo una libertà totale da cui scaturiva una responsabilità integrale del suo agire, una morale che doveva giustificarsi di volta in volta di per se stessa senza possibilità di potersi aggrappare ad alcuna giustificazione ultra o intra mondana. L’esistenzialismo diveniva così la filosofia dell’impegno. Heidegger è spinto a partecipare al dibattito da Jean Beaufret, il suo apostolo più importante sulla scena francese. Quest’ultimo aveva proposto ad Heidegger la domanda “in che modo è possibile restituire un senso alla parola umanismo?”. La risposta del filosofo tedesco, lungi dal voler affrontare il problema dal punto di vista politico, si dipana su un piano squisitamente filosofico e diviene la prima testimonianza di quella che viene considerata la cosiddetta “svolta” (Kehre) hiedeggeriana. Il filosofo tedesco inizia le sue riflessioni dal problema dell’essenza del pensiero. In primo luogo confuta la visione utilitaristica da cui scaturirebbe un’immagine di esso che si risolve semplicemente nel progetto teorico dell’azione. Questo è un vizio proprio del pensare in senso scientifico e che può riscontrarsi già in Platone. Lo scopo del pensiero, che è un atto puro, è di avvicinarsi a quella “prossimità” che è propria del momento primordiale in cui noi facciamo esperienza del nostro essere-nel-mondo. Solo attraverso la riflessione riusciamo, in seguito, a ritagliare certi oggetti dal continuum costituito dal nostro prenderci cura e rapportarci con le cose.

Dal momento in cui poniamo in essere questa cesura cominciamo a pensare la realtà nei termini di soggetto-oggetto e, quindi, a causa della facoltà cogitativa, creiamo la distanza dall’immediatezza.

Contro tale tendenza del pensiero Heidegger propone “un pensiero che naufraga”. Solo questo può ricondurre nella giusta via che riporta alla “prossimità” perduta. In tale prossimità si cela una grande promessa, una possibilità che si spinge ben al di là di dove può arrivare la scienza. Si tratta dell’esperienza dell’essere. Con Essere e Tempo il filosofo tedesco si era fermato all’esserci, inteso come essere che vuole realizzare la propria esistenza. Con un nuovo slancio ora egli vuole trovare uno sbocco in un essere che possa realizzare l’esserci e avocarlo a sé. Ciò comporta un ribaltamento di polarità dell’atteggiamento individuale che, adesso, è sintonizzato sul tono passivo dell’abbandono. In tale prospettiva un siffatto pensiero, che “non approda ad alcun risultato e non ha alcun effetto” ma semplicemente “soddisfa la sua essenza in quanto è”13, non ha altro scopo oltre quello di “lascia(re) essere l’essere”. L’umanismo, di conseguenza, diviene una bestialità poiché “non esperisce l’autentica dignità dell’uomo”. L’humanitas dell’uomo deve essere messa nel posto che una volta spettava a Dio. L’uomo non è un animale “fissato”, ma piuttosto un essere che vive della ricchezza delle proprie relazioni e che, di conseguenza, ha bisogno di vincoli etici. Essi però sono precari, sono solo vincoli di emergenza. Attraverso il pensiero, però, abbiamo la possibilità di spingersi al di là di essi, fino a fare di questo slancio animato “esperienza del mantenibile”. Heidegger ammette che “l’essere non è né Dio, né fondamento del mondo”, ma ciò non toglie che l’esperienza dell’essere consente un rapporto di devozione con l’essere meditativo, un’esperienza che ricorda le parole di Nietzsche quando parla de “l’attimo del vero sentire”.

Il tema fondamentale della discussione che domina la cultura tedesca nel dopoguerra riguarda, innanzitutto, il trionfo della tecnica e gli esiti di questo trionfo sulle sorti della mondo e dell’uomo. Una siffatta tematica è il punto d’accesso migliore che Heidegger potesse sperare per la sua riammissione a pieno titolo all’interno del mondo accademico e culturale. Il suo rientro nell’ambito accademico, all’inizio degli anni cinquanta ancora, rimane ancora un tabù per molti esponenti dell’università e della politica. Quindi, per forza di cose, deve essere un altro il palcoscenico sul quale il filosofo può ricominciare a mettere in scena lo spettacolo stupefacente del suo mondo filosofico. A Brema, presso l’abitazione di Heinrch Wiegand, Heidegger propone, per la prima volta dopo la guerra, un ciclo di conferenze, a partire dal 1949, per un pubblico formato da una ricca borghesia liberal-conservatrice. Tali cicli di conferenze sono imperniati suii nuovi topoi sviluppati dal filosofo tedesco dopo la “svolta” e, cioè, quelli di “impianto”, di “visione e lampo” e di “gioco riflesso del quadrato”, composto di “terra e cielo, mortali e divini”. Insieme a questo ciclo di conferenze ne viene proposto, dallo stesso, un altro presso il sanatorio di Buhlerhohe, ospitato dal dottor Strooman. Tale ultima serie prende il nome di “serate del mercoledì” e si protrarà fino al 195.

La conferenza più importate di questo periodo è, però , senz’altro quella tenuta da Heidegger presso l’Accademia diMonaco nel 1953 e intitolata Questione della tecnica. E’ il più grande successo pubblico del filosofo e, in questa sede, enuclea in maniera perfetta la propria interpretazione della società tecnicizzata e di quelli che lui riteneva esserne gli esiti inevitabili. L’origine del problema della tecnica è identificato, dal pensatore, nel suo specifico modo di porsi di fronte alla natura che “ha il carattere dello Stellen, del richiedere nel senso della provocazione”. Il concetto opposto è quello di “pro-duzione”, nel senso di qualcosa che lascia venire alla luce. Per capire tale differenza Heidegger utilizza l’esempio dell’albero in fiore. Solamente in una situazione non controllata scientificamente e totalmente disinteressata si può fare esperienza in maniera autentica del suo fiorire. Al contrario, l’atteggiamento proprio della tecnica risulta essere quello della “pro-vocazione”. L’altro termine centrale dell’edificio interpretativo heideggeriano è quello di “impiegare”. Attraverso quest’“impiegare”, ciò che viene “impiegato” diventa una mera “risorsa”. Questa volta l’esempio è quello del fiume. Nelle centrali elettriche si cambia il corso del fiume affinché possa essere “incorporato nella centrale elettrica” e non il contrario. Il confronto esemplare in tale senso è quello tra il Reno incorporato in una centrale elettrica e il Reno dell’omonimo inno di Holderin. D’altro canto la tecnica, per garantirsi la sicurezza nell’approvvigionamento delle risorse, diviene un processo che richiede sempre maggiore tecnica poiché la natura, sfidata, sfida a continuare. Questo sistema delineato con i termini di pro vocazione, risorsa, sicurezza della risorsa viene circoscritto da Heidegger con il termine “impianto” (Gestell).

L’impianto appare come il nostro ”destino collettivo”. La minaccia più terrificante insitain questo destino è la sua unidimensionalità, la sua cronica mancanza di alternative. Heidegger prevede la via d’uscita da tale orizzonte desertificato alla luce della sua nuova tonalità emotiva. E’ di nuovo il concetto di abbandono a entrare in scena poiché, essendo il contesto tecnicizzato del mondo moderno assolutamente imperante e chiuso di fronte a ogni soluzione “fattibile”, occorre arrendersi nell’ “abbandono di fronte alle cose”. Solo questa nuova intuizione che coglie lo spogliamento di significati nell’era della tecnica può rappresentare la scintilla del cambiamento.

Quest’ultimo, difatti, si sarebbe realizzato come un evento del “destino collettivo” o non si sarebbe realizzato affatto. Ancora una volta, ad una svolta sul piano del pensiero del filosofo, corrisponde una svolta epocale sul piano della storia. I viaggi in Grecia e la scoperta della Provenza sono, per Heidegger, gli eventi più significativi che riguardarono i primi anni sessanta. Il primo viaggio, alla ricerca del “meraviglioso inizio”, è intrapreso nel 1962 dopo due tentativi precedenti disdetti sempre all’ultimo minuto. La paura del filosofo è di scoprire che la leggendaria culla dell’uomo occidentale è divenuta un morto “oggetto della storia” e una “rapina dell’industria turistica”. Ma giunto presso l’isola di Delo, il cui nome significa “ciò che appare”, ha la precisa sensazione che “da ogni parte parlava l’occulto di una grande inizio che fu”.E’ questa la prima visita nel luogo dei sogni, a cui ne seguiranno altre tre.

Negli stessi anni Heidegger scopre la Provenza grazie all’invito del suo amico Renè Char, poeta francese ed ex partigiano. Qui, presso l’abitazione di quest’ultimo a Le Thor, il filosofo tedesco tiene una serie di dibattiti filosofici in stile socratico di fronte ad una ristretta cerchia di allievi del suo altro amico francese Beaufret Renè Char.

Negli stessi anni si assiste, poi, alla completa riabilitazione del lavoro di Heidegger entro il mondo accademico tedesco. La riabilitazione passa, all’inizio, attraverso le accademie delle belle arti più che attraverso le facoltà di filosofia. Quello che si vuole mettere in evidenza, in questi anni, è l’aspetto estetico delle opere del filosofo. Questo genere di risonanza non è affatto sgradita ad Heidegger e, comunque sia, ciò che ne scaturisce è un rinnovato interesse che stimola un minuzioso lavoro sui suoi scritti. Ciò che, però, maggiormente riesce a calamitare l’attenzione intorno alla figura del filosofo tedesco è la polemica innestata contro di lui e, soprattutto, contro l’universo sociale di cui si riteneva che fosse il più rappresentativo intellettuale, da Adorno. Nell’opera di quest’ultimo intitolata Il gergo dell’autenticità, partendo dalla considerazione che “in Germania si parla, e ancor più si scrive, un gergo dell’autenticità, simbolo del privilegio socializzato, nobile e familiare al tempo stesso; un dialetto quale linguaggio d’élite" , si accusava questo “gergo”, di cui Heidegger era il padre, di essersi “nel frattempo standardizzato come il mondo da esso negatosolo a parole”.

Il 7 febbraio del 1966 esce sul Der Spiegel un articolo, relativo al libro di Alexander Schwan La filosofia politica nel pensiero di Heidegger , intitolato Heidegger. La mezzanotte della notte del mondo. Tale articolo contiene alcune falsità che fanno indignare anche Jaspers e la Arendt. Quest’ultima, in special modo, si scaglia contro Adorno, sospettato di essere il mandante ideologico dell’attacco contro l’amico filosofo. Heidegger è sollecitato a difendersi. Il 27 settembre dello stesso anno ha luogo l’intervista del filosofo da parte di Augstein per il Der Spiegel. In essa ribadisce che la sua adesione al nazismo andava interpretata nell’ottica dell’attesa di un rinnovamento totale dello spirito tedesco.

Di questi anni è pure l’incontro e l’amicizia con il poeta Paul Celan. Costui, scampato per miracolo ai campi di sterminio e rifugiatosi in Francia, era divenuto un ammiratore della tarda filosofia di Heidegger. Purtroppo la catastrofe della guerra, con i suoi strascichi polemici inevitabili, li divideva. E’ nell’estate del 1967 che i due, in occasione della lettura delle poesie di Celan presso l’aula magna dell’Università di Friburgo, si conoscono. Superate le prime difficoltà iniziali, si instaura una grande affinità dopo una giornata passata insieme nella baita di Heidegger. La loro amicizia sarà interrotta solo dal suicidio del poeta nella primavera del 1970. Sempre nel 1967 riceve la visita di Hannah Arendt.

È la prima dal 1952. Da questa data le visite si ripeteranno ogni anno e grande sarà il supporto dell’amica per la diffusione del suo pensiero in America.

L’ultimo periodo della vita del filosofo è dedicato alla preparazione dell’edizione completa delle opere del filosofo il cui primo volume vedrà la luce nel 1975.

Muore il 26 maggio del 1976 e viene seppellito due giorni dopo, come da lui richiesto, nel cimitero del borgo natio.


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