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Da Libro bianco.

E' colpa di Heidegger

Chi demonizza la modernità, con le sue ossessioni tecnologiche, si rilegga il filosofo tedesco


Il Foglio, 19 luglio 2012


Angiolo Bandinelli

Ahimé, si, detesto Heidegger, la sua filosofia, il suo curriculum pubblico, persino - forse - lo Heidegger uomo. La sua filosofia mi appare, insieme, lontana ma anche perniciosa e oscuramente incombente sul mondo di oggi e i suoi drammatici problemi. Va bene, Heidegger non è il solo pensatore a farmi così dubitare: insieme a lui, anche se su un altro scaffale, porrei per esempio Antonio Gramsci, che però è assai meno assillante. Cosa unisce due figure tanto differenti tra loro? Né l'una né l'altra presenta il profilo del laico. La mia diffidenza per Heidegger ha origine in primo luogo dalla constatazione, credo unanime, che quand'anche non abbia aderito ufficialmente al nazismo certamente ne secondò le gesta. Sì, una analoga simpatetica adesione la ritroviamo in un bel po' di intellettuali del tempo, non solo tedeschi: fu dramma storico epocale, non colpa di singoli. Anche Giovanni Gentile, altro filosofo dell'Assoluto, aderì al fascismo rendendosi responsabile di parecchie malefatte del regime. Ma Gentile declinò un nazionalismo conservatore che era altra cosa dal fascismo e tanto più dal nazismo, e con l'Enciclopedia Italiana costruì un monumento culturalmente non solo ambizioso ma sostanzialmente valido, tanto da sopravvivere al fascismo. Infine, Gentile fu oppositore laico del Concordato - posizione temeraria, persino "illuminista", all'epoca - e proprio per questo venne accantonato da Mussolini. Gentile insomma assunse responsabilità aperte, conseguenti, decorose e autonome in direzione di un conservatorismo proiettato sulla modernità e sul futuro, senza cedimenti verso i miti e riti del suolo e sangue sicuramente più in sintonia con la predicazione di un "pastore dell'Essere" - Heidegger appunto - fautore di un Umanesimo in cui sia in gioco "non l'uomo, ma l'essenza storica dell'uomo nella sua provenienza dalla verità dell'Essere". Gentile - credo si possa dire - tentò, sbagliando, di ricondurre anche il fascismo all'Umanesimo senza aggettivi. Ben altra storia. La "verità dell'Essere"... gli "Holzwege", i sentieri interrotti che penetrano nei pallidi boschi del nord... l'angoscia della/per la tecnica... la centralità tardoromantica assegnata all'arte: sono temi che esaltano non la concretezza storicamente determinata dell'individuo, del soggetto, ma la sua supponenza di essere un privilegiato unicum. Anche dopo la fine del nazismo c'è in Heidegger una profonda lontananza dalla cultura democratica. Il suo concetto di pensiero autentico (e del suo contrario, il pensiero inautentico) è una versione del privilegio, del distacco che occorre mantenere rispetto a quelli che cedono la propria singolarità alla pubblicità dell'anonimo "si", al chiacchiericcio e alla banalità del quotidiano cui si sottrae solo l'élite di quanti sono capaci di scegliersi, di "conquistarsi" perché riescono a penetrare nell'essere delle cose, nella loro "autenticità", rapportandosi direttamente a essa. C'è qualcosa di ancora wagneriano in una concezione così elitaria del "sapere". Ma ai nostri giorni è investito di enormi responsabilità proprio il banale, l'inautentico delle moltitudini (dell'uomo massa" di Ortega y Gasset), il chiacchiericcio che è la sostanza delle "chat" o dei "social network" internettici, il gridare tumultuoso nelle piazze del mondo, Tahrir o Tienanmen. C'è chi demonizza i network, Internet, il mondo volatile dell'informatica, gravandolo di tutti i mali del presente. Non è così, quel mondo informe, quel magma - un blob globalizzato - è la riserva di umanità su cui e con cui dobbiamo confrontarci. E' vero, in quelle anonime piazze - reali o mediatiche - oggi l'uomo vive una condizione di "Geworfenheit" (espressione heideggeriana), la condizione dell'essere-gettato-nel mondo" in piena nudità storica, senza appigli, alibi, possibilità di rivestimento, di sostegno identitario. Ogni identità storicamente acquisita, ogni tradizione, è a rischio, potrebbe scomparire senza possibilità di ritorno. Ma sarebbe altrettanto pericoloso e inutile cercare la salvezza aggrappandosi, appunto, a un qualche residuo di identità, come chiede il pensiero reazionario. L'identità possibile e auspicabile è quella che ciascun uomo, partendo dall'indeterminatezza dell'essere-gettato nel-mondo, scopre come sua potenzialità, tutta da inventare e plasmare nel confronto, anche drammatico, con l'altro o - se si preferisce - gli altri. E, per inciso, non mi pare nemmeno che Heidegger abbia previsto che la modernità non è investita dai mali della tecnica, ma dalle ambiguità sconcertanti della finanza. Perché dunque occuparci dí un pensatore così lontano dalla coscienza e dagli interessi di oggi? E' difficile rivolgersi a lui per avere qualche indicazione su come comprendere e dominare un mondo che ha fame di tecnica e di diritto. E tuttavia c'è chi ancora, magari senza citarlo e per vie indirette, segue lo stesso suo cammino, di demonizzazione della modernità, di messa in onda di un catastrofismo senza speranza. Heidegger è per costoro, consapevoli o no, ancora maestro e modello. Sembra impossibile. Se mai si vuol dire che l'Europa è in declino, è moribonda, è in eclisse, penso si debba ricordare che, forse, "c'est la laute à Heidegger".


Voci utilizzate nell'articolo

Oscurità

Pastore dell'Essere


Metodi applicati

Associazione coatta


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