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Da Libro bianco.

Ritrovati i “Quaderni neri” di Heidegger: intervista al Prof. Mazzarella

In marzo l'editore tedesco Klostermann pubblicherà gli “Schwarzen Hefte” (Quaderni neri), di Martin Heidegger, recentemente ritrovati. Il Professor Eugenio Mazzarella, uno dei più autorevoli studiosi italiani del filosofo di Messkirch, ci spiega l'importanza di questa scoperta.

Andrea Esposito

Nel mondo degli studi filosofici c’è grande attesa per quello che si configura come l’evento editoriale più importante degli ultimi anni, forse anche del decennio: la pubblicazione in Germania per l’editore Klostermann degli “Schwarzen Hefte” (Quaderni neri) del filosofo tedesco Martin Heidegger. In tutto trentatré taccuini, di cui si ipotizzava l’esistenza fin dagli anni ’60 e che vedranno la luce il prossimo marzo, dove il Mago di Messkirch raccolse le sue riflessioni e i suoi pensieri più nascosti nel periodo che va dal 1932 al 1975. Considerando la portata di tale scoperta, non tanto per le possibili riletture del pensiero del filosofo, quanto per il valore in sé dei Quadreni, abbiamo chiesto a uno dei più autorevoli studiosi italiani di Heidegger, il Professor Eugenio Mazzarella (autore tra gli altri di “Tecnica e metafisica. Saggio su Heidegger”; “Ermeneutica dell’effettività. Prospettive ontiche dell’ontologia heideggeriana”; “Heidegger oggi”) di chiarirci alcuni punti della questione.

Professor Mazzarella, tra poco più di un mese vedranno la luce gli “Schwarzen Hefte”, quali saranno le conseguenze di questa pubblicazione in ambito filosofico?

Onestamente non penso che ci saranno conseguenze epocali dalla pubblicazione di questi “Quaderni neri”. Neri perché era nera la copertina, anche se è troppo ghiotta l’allusione al nazismo perché già il titolo non sia un elemento forte del “caso editoriale” che si imbastirà. Prevedo grandi vendite. Non lo penso perché il rapporto con il nazismo di Heidegger è ormai stato sviscerato in letteratura sotto tutte le varianti possibili dei punti di vista, e mi sembra che alla fine, tra detrattori “politici” che si spingono all’amenità di negare rango filosofico a Heidegger, facendone un mero ideologo della destra peggiore che ha visto il ‘900, e difensori “politici” a priori, che in nome della grande sua filosofia negano l’evidenza dei fatti – cioè il legame non episodico, ma strutturale e motivato tra l’impianto della storia dell’essere heideggeriana impregnata di “destino”, che chiama a “decidere” tra le “potenze della storia” (nel caso di Heidegger, decidendo male, malissimo), e il nazismo –, alla fine abbia ragione Alain Badiou a chiudere con buon senso filosofico e storico la questione: «Heidegger è certamente un grande filosofo che è stato anche, al contempo, un nazista tra i tanti. Questo è quanto. Che la filosofia si arrangi!»

Dalle prime indiscrezioni si evince che nei diari privati di Heidegger ci siano delle considerazioni che, oltre a confermare la sua vicinanza al Nazismo in modo forse più netto di quanto egli stesso non abbia mai ammesso, si spingerebbero verso orizzonti antisemiti. Può spiegarci meglio la posizione del filosofo tedesco rispetto a temi come Weltjudentum, “ebraismo mondiale”, oppure Entwurzelung, “lo sradicamento dell’essere”?

E’ difficile esprimere un giudizio di seconda mano su un testo che si annuncia di 1200 pagine. Se capisco, tutta l’attenzione si focalizza sulla quindicina di volte in cui Heidegger si riferirebbe apertamente al giudaismo, criticando degli ebrei la «facoltà di calcolo», il loro «dono accentuato per la contabilità», la loro «tenace abilità a calcolare», lo «sradicamento fuori dall’Essere» che viene dal «giudaismo mondiale», la «assenza di terra» degli ebrei etc. Sarebbe presente non di meno una «precisazione destinata agli asini: queste note non hanno nulla a che vedere con “l’antisemitismo”. Il quale è così insensato e così abietto…». Ora anche ammesso che la precisazione per gli asini sia una clausola di salvaguardia a futura memoria, mi sembra un po’ poco per trarne le conclusioni del titolo di un saggio annunciato di Peter Trawny, professore a Wuppertal (che ha potuto revisionare gli inediti): “Heidegger. I Quaderni neri e l’antisemitismo istoriale”. Anche perché sarebbe un antisemitismo le cui basi argomentative, se sono quelle richiamate, sono luoghi comuni socialmente e politicamente pericolosi, come si è sempre dimostrato e continua a essere dimostrato, ma speculativamente risibili. Heidegger ci farebbe la figura del piccolo borghese tedesco intruppato nella propaganda di massa del regime. Philosopisch poco più di un cretino. Altra questione è la critica (che pare nei Quaderni ci sia) al messianismo – di cui l’ebraismo sarebbe l’emblema, ma non solo: qui in Heidegger entra in gioco l’ambiguo rapporto con il cristianesimo e il cattolicesimo in particolare – come sradicamento che mette in crisi il radicamento del “popolo” nel suo “suolo”; dei popoli nella loro terra, di cui i Tedeschi sarebbero chiamati a essere i custodi. Donatella De Cesare lo legge come un aver annusato le dinamiche della globalizzazione, schierandosi dalla parte sbagliata. E può ben essere vero. Ora questo è un tema che c’è, ed è ancora davanti a noi. Ma non può essere liquidato con un anatema. E sia chiaro che se messianismo significa un’ecumene dello spirito che sa accogliere sulla propria terra chiunque a prescindere da radicamenti etnocentrici “sangue e suolo” io sono per il messianismo che ci annuncia che “beati sono i pacifici perché erediteranno la terra”.

Cosa ha significato la lunga reticenza da parte del filosofo nei riguardi di chi gli chiedeva una spiegazione sui campi di concentramento? Solo in un’occasione, Heidegger si pronunciò alludendo ai campi di sterminio, parlando di “fabbricazione dei cadaveri”. A quanto pare, però, in quelle sere passate nella sua “capanna” di Todtnauberg, i pensieri tornavano spesso su quel dramma…

Qui secondo me ci possono anche essere gli estremi di una rimozione; una presa di coscienza difficile da mettere in parola anche per chi riteneva di essere nel bene e nel male “in ascolto dell’essere”, e ne traeva non pochi “dettami”. Voglio credere che anche per lui questo fosse qualcosa di “indicibile”, di “insopportabile” anche nella lingua. Non mi sentirei di ascrivere Heidegger ai negazionismi imbecilli che si sono sentiti. Sarebbe un trauma per la stima che ho del pensatore, penso non solo mio. Quanto all’indulgenza, se Heidegger fosse stato un qualsiasi piccolo borghese professore tedesco, per quelli che sono stati i suoi comportamenti effettivi come “nazista” o presunto tale, sarebbe finito nel calderone dell’adesione di massa al nazismo, con colpe e viltà collettive da far dimenticare. Per lui vale l’indulgenza che va all’uomo comune con le sue viltà e i suoi conformismi. Distinguere tra la sua filosofia e i suoi comportamenti mi sembra un’ovvietà. Ma proprio perché è stato un grande filosofo non si può nascondere sotto il tappeto, anche perché se ne vedrebbe la gobba, la rilevanza del suo “sviamento” in ambito politico.

Come confermato dall’editore tedesco Klostermann di trentatré Quaderni ne mancano all’appello solo due: il primo risale al 1931/32, l’altro al 1945/46. Con ogni evidenza, appartengono a periodi cruciali della vita del filosofo e della Germania. Quindi risolto un mistero, se ne apre subito un altro… I Quaderni di quegli anni potrebbero contenere considerazioni ancor più forti e “pericolose”? Chi può averli sottratti e per difendere quali interessi?

Non saprei rispondere, se è vero che siano andati smarriti (Heidegger li avrebbe dati in lettura senza riaverli indietro, tant’è che la Klostermann ha fatto girare la richiesta che, se qualcuno li avesse, li restituisse per la pubblicazione; una richiesta su cui non sono mancate le ironie), o se siano stati occultati perché avrebbero ulteriormente “aggravato” il dossier dei rapporti tra Heidegger e il nazismo. Certo è che nella storia delle edizioni heideggeriane non sono mancati eccessi di zelo da parte del figlio di Heidegger, Hermann. Personalmente ne ho vissuto un episodio, quando nel 2000 curai per Guida, con il collega Antonello Giugliano che li tradusse, i “Seminari di Zollikon”, che raccoglievano i colloqui con medici, psichiatri, analisti, che Heidegger aveva tenuto per un decennio tra la fine degli anni cinquanta e gli anni sessanta a Zollikon, in Svizzera, su invito del grande psichiatra Medard Boss. La Klostermann costrinse Guida a ritirare dal commercio l’edizione (andata in realtà esaurita in poche settimane) che recava una mia introduzione, consentendone la ristampa a patto che quell’introduzione fosse stralciata. Cosa che avvenne. Ne nacque un piccolo caso editoriale. Credo che il motivo fosse l’accenno, per altro garbato, che facevo al ricorso da parte di Heidegger alle cure (o di un dialogo terapeutico, quanto meno) di uno psichiatra nel tormentato periodo dell’allontanamento coatto dall’università e del processo a suo carico, che lo avevano particolarmente provato. Fu ritenuto probabilmente sconveniente per l’immagine postuma del filosofo. Anche se la signora Boss (intanto era morto il marito, che aveva approvato l’edizione) mi aveva scritto una lettera di sincero apprezzamento. Non mi sentirei di escludere che su materia certamente più problematica di un esaurimento nervoso che può venire a chiunque, non sia scattato un eguale riflesso di tutela dell’immagine di Heidegger.