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Da Libro bianco.

Filosofi a convegno a Pisa sull’Heidegger antisemita dei “Quaderni neri”

paginaq.it, 29 giugno 2914


Giulia Stefanini


È un Heidegger antisemita, quello che emerge dai “Quaderni Neri” – così chiamati perché nera era la loro copertina – pubblicati solo di recente ma di cui si ipotizzava l’esistenza sin dagli anni ’60: 1300 pagine di riflessioni, annotazioni e scritti privati che ci svelano l’altra faccia del filosofo tedesco, considerato il maggior esponente dell’esistenzialismo. Pubblicati postumi per volere degli eredi, i tre volumi degli Schwartze Hefte coprono un arco temporale che va dal 1931 al 1941 ed evidenziano la compromissione di Martin Heidegger col Nazismo e il suo conclamato antisemitismo.

Abbiamo chiesto al professor Adriano Fabris, Ordinario di filosofia presso l’Università di Pisa e Presidente del CICO (Centro Interdisciplinare di ricerche e di servizi sulla Comunicazione), di aiutarci a fare luce sulla controversa figura di Martin Heidegger che emerge dai “Quaderni”: da una parte lo studioso inquieto alla perenne ricerca di risposte, dall’altra l’uomo pubblico, personaggio ambiguo e reticente a prendere posizioni nette che però non sconfesserà mai il suo impegno e la sua adesione all’ideologia nazista.

Professore qual è il contenuto principale dei “Quaderni neri”? E perché la loro pubblicazione avviene proprio adesso?

Partiamo definendo i “Quaderni Neri”: si tratta di un diario intellettuale, uno zibaldone di pensieri come l’ho definito, che ha accompagnato Heidegger per 30 anni della sua riflessione. Si è parlato tanto di questi testi, anche prima che venissero pubblicati i primi tre volumi, a cura di Peter Trawny. Se n’è parlato soprattutto tenendo conto dell’aspetto politico di questi scritti. E se n’è parlato abbondantemente anche prima di leggerli, per rilanciare la questione dell’antisemitismo di Heidegger. È importante che questi taccuini oggi vengano messi a disposizione degli studiosi perché ci fanno conoscere meglio il pensiero del filosofo, non solo da un punto di vista politico e intellettuale ma, soprattutto, da un punto di vista intimo: ciò che emerge dagli Schwarze Hefte è una elaborazione personale dello studioso, inizialmente non destinata alla pubblicazione. È nelle pieghe di questi scritti, infatti, che veniamo a conoscere un Heidegger con meno filtri, l’uomo privato che espone con libertà il suo pensiero e dà sfogo alle sue riflessioni più personali. Sono stati gli eredi a decidere di pubblicare proprio adesso i taccuini: una scelta editoriale mirata a rilanciare l’interesse e il pensiero di Heidegger che sembra essersi un po’ appannato.

L’adesione di Heidegger al Nazionalsocialismo favorì, in qualche modo, la sua ascesa accademica e quindi la nomina a rettore dell’Università di Friburgo?

No, è da escludere. Heiddeger fu il primo Rettore nazista di una Università tedesca (il 21 aprile 1933 venne nominato Rettore dell’Università di Friburgo), ma la sua nomina non fu favorita in alcun modo dalla sua vicinanza al nazismo: era già un filosofo affermato. Basti pensare che rifiutò di trasferirsi a Berlino, dove avrebbe avuto incarichi più prestigiosi. Oltretutto, dopo nove mesi si dimise dall’incarico: non voleva essere un semplice portavoce, ma la sua ambizione era quella di guidare col pensiero l’ideologia nazista.

È vero che Heidegger era solito annotare pensieri in piccoli blocchi di colore nero? Qualche rimando al nazismo, o pura casualità?

Si tratta di pura casualità: una semplice scelta personale.

Dagli Schwarze Hefte emerge con forza la posizione antisemita di Heidegger. Qual è il motivo alla base di questa sua convinzione?

Heidegger aveva elaborato una concezione metafisica dell’antisemitismo basata sull’assunto che gli ebrei – popolo nomade e sradicato dalla propria terra di origine – fossero espressione di una mentalità altrettanto disarticolata e pericolosa, più affine alla tecnica. E il progresso tecnologico, secondo il filosofo tedesco, avrebbe provocato la distruzione del pianeta. Gran parte degli ebrei, infatti, erano matematici, fisici, e dunque portatori di un modo di concepire il mondo sbagliato, in quanto avrebbero poi finito per distruggerlo. Una dottrina metafisica, questa sull’ebraismo, che ritengo inaccettabile, ma che Heidegger non rinnegò mai, nemmeno dopo la scoperta – tremenda – dei campi di concentramento.

Nel corso del convegno emergerà il ritratto di un Heidegger pubblico e di un Heidegger privato: qual è la differenza più evidente e significativa? Secondo Lei si discostano le due personalità?

La differenza sostanziale è questa: il lato pubblico di Heidegger ci svela un uomo ambiguo, restìo a prendere posizioni nette. L’Heidegger privato, invece, è uno studioso all’incessante ricerca di risposte, quelle che va cercando nella sua “officina personale” svelataci dai Quaderni.

Qual è, a suo parere, l’opera più significativa di Heidegger?

“Essere e Tempo”, senza dubbio.

Perché si continuerà a parlare dei “Quaderni neri” e perché è importante che gli studiosi conoscano e approfondiscano lo studio di questi “Quaderni”?

Questi taccuini sono importanti perché ci offrono un’altra faccia del pensiero di Heidegger, quella più immediata e di ricerca personale. Non solo, ci consegnano il pensiero del filosofo tedesco nella sua completezza e ci invitano a riflettere sulla cultura europea tra le due Guerre, ma anche sull’impatto che la tecnologia oggi ha sulla società e sulle nostre vite. Infine, i “Quaderni” sono utili perché ci permettono di ripensare alla convivenza civile, senza condanne e giudizi in cui Heidegger finisce, inevitabilmente, per cadere.

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