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Da Libro bianco.

La verità su Heidegger e il nazismo. Oltre la polemica giornalistica

huffingtonpost.it, 11 febbraio 2015


Corrado Ocone


Resto abbastanza meravigliato della meraviglia e dello stupore con cui sono stati accolti dalla stampa italiana i cosiddetti "Quaderni neri" di Martin Heidegger, soprattutto quelli concernenti il periodo del nazismo e della guerra tedesca (e quindi della persecuzione degli ebrei e della Shoah).

Sembra quasi che si scopra all'improvviso che il pensatore tedesco non fosse poi un'anima così candida, coinvolta solo per sbaglio o fraintendimento nel Nazismo, come voleva certa vulgata mai però presa troppo sul serio da chi conosceva le cose. Quasi che essere nominati rettore in un'importante università tedesca, quale era Friburgo, nel 1933, e tenere un discorso di insediamento intitolato L'autoaffermazione dell'università tedesca, tutto organico nello stile e nei contenuti all'ideologia nazionalsocialista, potesse essere stato solo un equivoco.

Così come un equivoco, o una sorta di pudore, il successivo, prolungato silenzio: l'omertà continuata fino alla morte (mai una chiara parola o una presa di distanza su quell'infausto periodo della storia tedesca). A rigor di logica, la meraviglia può spiegarsi solo con la malafede, o, se vogliamo essere meno cattivi, con una sorta di rimozione inconscia; o con il fatto che nessuno si era preso la briga di leggere e capire Heidegger fino infondo; o, ipotesi estrema, con l'incapacità intellettuale a comprendere i termini di un discorso certo allusivo ma nemmeno del tutto dissimulante.

Ma la cosa ancora più impressionante è che l'intrinseco nazismo (e quindi di necessità l'antisemitismo) di Heidegger non era affatto sfuggito ai contemporanei, senza che fosse necessario aspettare le presunte "novità" dei "Quaderni". Benedetto Croce, che probabilmente non va di moda fra gli intellettuali italiani in quanto liberale, aveva recensito già nel 1934 sulla sua rivista, La Critica, il discorso di rettorato. Era una stroncatura netta delle idee lì espresse e in più dell'intero pensiero heideggeriano, a proposito del quale egli non esitò a parlare di una concezione razzistica.

"Scrittore di generiche sottigliezze, arieggiante a un Proust cattedratico - così scrive il filosofo napoletano -, oggi sprofonda di colpo nel gorgo del più falso storicismo, in quello, che la storia nega, per il quale il moto della storia viene rozzamente e materialisticamente concepito come asserzione di etnicismi e di razzismi, come celebrazione delle gesta di lupi e volpi, leoni e sciacalli, assente l'unico e vero attore, l'umanità". Croce non esitò certo a mettere in luce gli elementi opportunistici e utilitaristici che avevano portato Heidegger a pronunciare quel discorso, arrivando a parlare di "prostituzione" della filosofia agli interessi immediati e materiali. E definendolo, In altra occasione, "indecente e servile".

Ma, oltre l'opportunismo, c'era appunto da parte di Heidegger l'adesione, teorica e da intellettuale quanto si vuole, al Nazismo, ai suoi cardini ideologici. Un'adesione teorica e intellettuale, e quindi tutto sommato non gradita al regime, ma senza dubbio sostanziale. Essa, fra l'altro, era stata già ampiamente sottolineata, oltre che da Croce stesso, da tanti altri pensatori europei, pari a filosofo napoletano, in quegli anni in cui si combatteva, anche fra gli intellettuali, una vera e propria guerra fra civiltà e barbarie.

In ogni caso, l'elemento a cui ho accennato, l'essere cioè Croce un liberale, non è da considerarsi un dato estrinseco o una battuta. Non dimentichiamo che nel nostro paese la grande rinascita di interesse per il filosofo tedesco, che aveva avuto comunque sempre una discreta ricezione, si ebbe soprattutto a partire dagli anni Ottanta per opera di autori marxisti, o comunque molto caratterizzati politicamente a sinistra. Il fatto che Heidegger avesse in odio l'americanismo, la borghesia, il parlamentarismo, era perciò giudicato positivamente. E la critica all'ebreo era vista come critica al mercante, all'agente del capitalismo. Ciò portava a far passare in secondo piano la circostanza che, per Heidegger, l'alternativa al mondo moderno era reazionaria e nazionalistica (la nazione del "sangue e suolo", nemmeno troppo nascostamente). Ovviamente, essere nazisti comporta essere antisemiti e quindi contribuire, in qualche modo, alla creazione del clima che ha portato allo sterminio dei nazisti.

Ora, da qui ad arrivare a dire che Heidegger, così come tanti altri tedeschi, conobbe nei suoi esatti termini quello sterminio e lo giustificò, ce ne corre. Lo stesso termine "autoannientamento" mi sembra che alluda ad un processo storico di auto dissolvimento delle componenti classiche della cultura occidentale, fra cui appunto il giudaismo. Che poi Heidegger giocasse molto sul passaggio dall'empirico all'ideale (dall'ontico o metafisico all'ontologico nel suo linguaggio) fa parte, mi sembra, delle volute ambiguità del personaggio. Che rimane, altrettanto ovviamente, un importante pensatore con cui confrontarsi. È giusto richiamare perciò alla complessità della vita e della filosofia, a non dividere il mondo in buoni e cattivi, come si è anche fatto in questi giorni; ma, a parte che questo dovrebbe valere per chiunque e non solo per Heidegger, francamente dire che nei "Quaderni" ci siano novità clamorose mi sembra esagerato. Funzionale, tutt'al più, ad una polemica giornalistica di pieno inverno.


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