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Da Libro bianco.

L' Essere in guerra con l’ente. Heidegger, la questione dei “Quaderni neri” e la cosiddetta “Italian Theory”

Perché la maggior parte della intelligentsia italiana di sinistra continua a considerare Heidegger come il principale crocevia per comprendere la modernità? La compromissione di Heidegger con il nazismo non affonda le radici nel suo pensiero filosofico? Perché il profondo antiliberalismo del pensiero heideggeriano continua ad affascinare i maggiori rappresentanti di ciò che è stato chiamato “Italian Theory”? La pubblicazione dei "Quaderni neri" e le più recenti ricerche a riguardo aiutano a rispondere a questi quesiti.


ilrasoiodioccam-micromega.blog, 1 aprile 2015


Roberta de Molticelli



La pubblicazione, ancora in corso, dei Quaderni neri continua ad alimentare in tutta Europa un dibattito forse non solo mediatico sulla questione del nesso fra il pensiero di Heidegger e la sua adesione, mai revocata né da lui commentata, al nazismo. Una questione che sopravvive ai fiumi di inchiostro versati, per una ragione molto semplice: non è soltanto Heidegger in questione, né soltanto la sua eredità, con cinquant’anni di dominio quasi incontrastato nell’accademia e perfino nell’insegnamento scolastico della filosofia nell’Europa continentale, soprattutto neolatina.

In questione è la natura stessa della filosofia, se possiamo assumerne a paradigma Socrate e contemporaneamente chiamare “filosofia” la più esplicita negazione dello spirito socratico, fino all’ultima conseguenza, che è l’indifferenza alle distinzioni (fra il vero e il falso, il nobile e l’ignobile, la vittima e il carnefice). Un’indifferenza in cui molti, specie fra i più giovani, vedono invece una “filosofica” impassibilità. Abituati come sono dai loro maestri a chiamare “moralismo” le distinzioni morali, e “violenza” quelle logiche.

Questa riflessione prende le mosse dal recente libro – esso stesso al centro di molte polemiche – di Donatella Di Cesare[1], e può considerarsi un commento carico di interrogativi alla frase che ne condensa la tesi centrale e il senso ultimo:

“Il pensiero più elevato si è prestato all’orrore più abissale” (2014, 3)

Questa riflessione si articola in tre punti. Il primo e il secondo si riferiscono rispettivamente all’accezione più ristretta de “il pensiero più elevato” (che sarebbe quello Heidegger) e a quella più lata (la tradizione filosofica occidentale), sollevando rispettivamente la questione I) di questa “elevatezza” e II) della legittimità di una chiamata di correo della tradizione filosofica (antica e) moderna. Il terzo, la pars construens, fornisce un criterio di distinzione della filosofia dalla sofistica e argomenta che Heidegger è – dal punto di vista della filosofia – peggio che un nazista o un antisemita: è un sofista.

I. Nazismo e antisemitismo. I tre moduli dello heideggerese

In un suo articolo del 1988[2] Jeanne Hersch, la cui analisi del nazismo di Heidegger in quanto radicato nel suo pensiero è ancora la più limpida e articolata che io conosca, aveva relativizzato l’antisemitismo di Heidegger.

La sua tesi è infatti che l’antisemitismo non sarebbe di per sé ragione sufficiente di adesione al nazismo, in quanto: 1) il nazismo non si riduce all’antisemitismo 2) ci sono nel pensiero di H. ragioni ancora più consistenti di adesione al nazismo.

Su entrambi i punti 1) e 2) si può continuare a concordare con Hersch – e vedremo quali sono le ragioni più consistenti, radicate nel pensiero di Heidegger; ricordiamo che circa quarant’anni fa Hersch aveva definito il pensiero di Heidegger “dittatoriale” (come Löwith) e “irresponsabile”.

Ma Hersch ha un secondo punto: e cioè che sull’antisemitismo di Heidegger si può anche dar ragione alla pletora dei suoi difensori, che pretendevano Heidegger non fosse personalmente antisemita. E’ vero che Hersch ricorda che

“Heidegger non è stato antisemita come non lo sono molti non-ebrei di stampo corrente che tuttavia non sono neppure anti-antisemiti. Heidegger non è stato abbastanza anti-antisemita perché l’antisemitismo del nazional-socialismo costituisse un ostacolo sufficiente alla sua adesione; e non lo è stato neppure abbastanza da impedirgli – quando le persecuzioni erano in corso - di affibbiare il termine “ebreo” a questo o quel collega, al quale voleva nuocere” (2004, 2)

Fu anche un miserabile delatore, Heidegger, e si sa quale era il rischio cui mise alcune vite, a parte il famoso tradimento di Husserl. A questo proposito ci sarebbero da ricordare parecchi nomi: Baumgarten, Hönigswald, Marck, Heinemann[3]…..

Ma sul secondo punto Donatella Di Cesare e i Quaderni neri hanno definitivamente dimostrato che Jeanne Hersch era stata eccessivamente indulgente. Altro che non anti-antisemitismo!

Partiamo quindi dalla questione dell’antisemitismo. Donatella Di Cesare ha dimostrato due cose:

1) Che certamente un anti-semitismo, non biologico-razziale ma “metafisico”, è essenziale al pensiero heideggeriano;

2) Che questo anti-semitismo metafisico è inscindibile dalla lettura heideggeriana della modernità (gli ebrei sono infatti “gli agenti della modernità”).

Nel seguito di questa sezione estrarrò da alcune citazioni dai Quaderni neri tre moduli di linguaggio heideggeriano, che riassumono il suo pensiero (o per lo meno la sua parte più nota e divulgata nei cinquant’anni successivi al ’45).

Primo modulo: lo sradicamento

Ecco uno dei passaggi dei Quaderni neri che Donatella Di Cesare ha reso più famosi:

“La questione riguardante il ruolo dell’ebraismo mondiale [Weltjudentum] non è una questione razziale [rassisch], bensì la questione metafisica [metaphysisch] su quella specie di umanità che, essendo per eccellenza svincolata, potrà fare dello sradicamento di ogni ente dall’essere il proprio “compito” nella storia del mondo»[4].

Il primo modulo dunque è “lo sradicamento di ogni ente dall’essere”.

Ora, Heidegger ha ragione: prendiamo un bel caso di ebreo sradicatore, Edmund Husserl. E’ una pagina da Tipi ideali di cultura, (1923), tr. it. L’idea d’Europa)[5].

Il contesto è quello di una riflessione sull’universalità dei giudizi ben fondati – anche quelli di semplice esperienza – che costituiscono acquisizioni per tutti:

“I giudizi motivati sulla base delle cose hanno validità oggettiva, ossia intersoggettiva, nel senso che quello che vedo io può vederlo chiunque; al di là di tutte le differenze fra individui, nazioni, tradizioni, quali che siano, in vigore e profondamente radicate, stanno le comunanze, che sono il titolo di un mondo comune di cose, che è costituito da esperienze interscambiabili, così che tutti possono intendersi con tutti, possono ricorrere alle stesse cose vedute. E dapprima riferito a queste e poi proseguendo oltre si schiude un regno di verità, che ognuno può portare alla propria vista, che ognuno vedendolo può realizzare in sé, da qualsiasi cerchia culturale provenga, amico o nemico, greco o barbaro, figlio del popolo di Dio o Dio dei popoli nemici”[6].

Ecco qui all’opera l’ebreo errante che sradica.

Traduciamo ora queste piane parole husserliane in heideggerese – la stessa Donatella Di Cesare ci aiuta egregiamente a farlo.

Questa pagina è indubbiamente una descrizione e un elogio dell’evidenza, della “oggettualità” di ciò che è dato e universalmente accessibile.

Ecco qui, colto in flagrante, il peccato di oblio dell’Essere, l’elogio dell’evidenza, “il predominio dell’ente che sbarra l’accesso all’essere, ridotto a “semplice presenza”, “sprecato in una quantità di concetti privi di radici”[7].

2. Secondo modulo: l’oblio dell’Essere

La riduzione dell’Essere all’ente, ovvero l’oblio dell’Essere, questo è il secondo modulo heideggerese.

Qui però c’è un’altra cosa che non deve sfuggire. Husserl insiste sullo sradicamento, non solo e non tanto in relazione all’evidenza universale dei giudizi di fatto, ma anche e soprattutto in relazione alla ricerca di evidenza per i giudizi di valore: perché accade che, continua,

“le motivazioni provenienti dall’esperienza e in generale dall’evidenza della cosa si mescolano con motivazioni di minor valore, con quelle che sono così profondamente radicate nella personalità che già il loro metterle in dubbio minaccia di “sradicare” la personalità stessa, la quale ritiene di non poter rinunciare a loro senza rinunciare a se stessa – cosa che può portare a violente reazioni d’animo”[8].

Il bello è che Husserl sta parlando di qualunque tipo di ricerca cognitiva, compresa quella morale, giuridica, politica: sta semplicemente variando sul tema del “sapere aude”- con una nuova e sofferta consapevolezza di quanto sia difficile il passaggio alla maggiore età: dalle care certezze della comunità d’appartenenza all’autonomia del pensiero adulto, quando uno scopre il “minor valore” delle motivazioni cui aderiva con tutto il cuore, ma che non sono giuste.

Ecco come Husserl ribadisce il concetto dello sradicamento:

“Il pensiero non è giusto perché io o noi, per come siamo, non possiamo non pensare in questo modo; semmai, solo se un pensiero è giusto, è giusto anche il nostro pensare, e noi stessi siamo giusti”[9].

Insiste, dunque, spietato:

“E non importa che piaccia o meno a me o ai miei compagni, che ci colpisca tutti “alla radice”: la radice non serve”[10].

Terzo modulo: la macchinazione

Ora che sappiamo in cosa consiste la “malessenza” dello “sradicamento” (anzi del giudeo errante e sradicante) possiamo ritrovare dentro un altro grumo di fango nero il terzo moduletto di questo linguaggio: la macchinazione. Ecco:

“Il mio “attacco” a Husserl è diretto non solo contro di lui, il che lo renderebbe inessenziale – l’attacco è diretto contro l’omissione della questione dell’Essere, cioè contro l’essenza della metafisica come tale, sulla cui base la macchinazione dell’ente riesce a determinare la storia”[11].

“La Machenschft, il Wesen, l’essenza della metafisica”, ci ricorda Donatella Di Cesare:

“la macchinazione che tenta di occultare il corso della storia imponendo il predominio dell’ente e occultando l’Essere”[12].

Questo è veramente, di tutti i moduletti, il più passepartout che ci sia, anche perché dà espressione a una nostra pulsione profonda, sempre latente anche quando evita l’esplosione paranoica: c’è una potenza “macchinatrice” che ha colpa di tutto, e più genericamente è descritta, più tranquilli siamo noi, amici dell’Essere, filosofi che contemplano l’Essenza del Nichilismo, il Destino dell’Occidente o della Necessità, la Tecnica, il Capitalismo o la Finanza, tutti i volti della Metafisica, insomma, e qualcuno ce ne sarà sfuggito. Il Neoliberismo, forse.

Quella volta, però, il pastore dell’Essere non rimase tranquillo, e andò all’appuntamento col Destino dell’Occidente (o meglio, specificamente, con “l’intima grandezza del Nazionalsocialismo”, pronto all’“incontro tra la tecnica planetaria e l’uomo moderno”[13]), a braccetto di Hitler, contro il Nemico che è “la malessenza dell’ente”.

Come ci spiega la nostra guida:

“La guerra mondiale viene letta attraverso la differenza ontologica e si rivela, perciò, la guerra dell’Essere contro l’ente”[14].

Cosa possiamo ricavare da questo delirio? Non c’è dubbio: i tre moduli ricombinati insieme danno l’essenziale del “pensiero” di Heidegger. O per lo meno, questa è la nostra tesi. Come scrive un altro studioso:

“Ma in verità tutti i tratti fondamentali ascritti al giudaismo si attagliano perfettamente al processo di oblio dell’essere, così come tratteggiato da Heidegger in celebri analisi. Lo sradicamento, la mancanza di fondamento e l’atteggiamento strumentale nei confronti di ogni cosa sono tratti essenziali dell’oblio dell’essere a favore dell’ente, ovvero della riduzione di tutto ciò che è a mero oggetto scientifico o cosa disponibile”[15].

Questa analisi mostra quali sono i riferimenti intuitivi di questo linguaggio, che da allora infiniti epigoni ripetono, con i tre moduli: lo sradicamento dall’Essere, l’oggettivazione (la metafisica e la sua storia!) con relativa disponibilità di ogni cosa ottenuta attraverso la scienza-tecnica, la macchinazione in cui la modernità si dispiega (per mano del capitalismo giudaico internazionale, i banchieri etc.).

Alla nostra tesi segue una prima domanda per Donatella Di Cesare, ricordando la frase citata: “Il pensiero più elevato si è prestato all’orrore più abissale”.

Ma che cosa ci sarà di “elevato”?

Perché: come si può considerare “elevata” l’idiozia etno-metafisica dell’ebraismo sradicatore? Come risulta bene dal passaggio di Husserl, Heidegger imputa a questo “sradicatore” quella che è per Husserl la gloria di Socrate: la vita esaminata, il vaglio critico delle tradizioni e culture d’appartenenza.

Ma non sembra molto più elevata l’idea di incolpare l’Ebreo Metafisico di essere l’agente della modernità, che è il bersaglio di tutt’e tre i moduletti: e modernità – in filosofia - vuol dire l’Illuminismo, il principio kantiano di autonomia morale della persona, l’universalismo morale, il cosmopolitismo politico, la scienza e la democrazia.

Qui viene opportuna la pagina di Hersch che riassume l’altra lettura del nazismo di Heidegger. Una lettura che distingue, anzi fortemente separa, la “modernità” e il “destino dell’Occidente”, la ragion pratica e Auschwitz, l’Illuminismo e il nazismo. Con buona pace di Adorno-Horkheimer, e della loro oscura Dialettica del’Illuminismo.

Nel cuore del pensiero di H., scrive J. Hersch, troviamo

“Un disprezzo ardente, appassionato, ossessivo, per tutto ciò che è comune, medio e generalmente ammesso; per il senso comune, per la razionalità, per le istituzioni, per le regole, per il diritto, per tutto quello che gli uomini hanno inventato, nello spazio in cui devono convivere, al fine di confrontare i loro pensieri e le loro volontà, di dominare la loro natura selvaggia, di attenuare il regno della forza. Assoluto disprezzo dunque, per la civiltà occidentale, cristallizzata in tre direzioni: la democrazia, la scienza, la tecnica; - per tutto ciò che, generato dallo spirito dell’Illuminismo, fa assegnamento su ciò che può esserci di universale nel senso di Cartesio, in tutti gli esseri umani. Tutto questo è vuoto. La democrazia è vuota”. (Hersch 2004, 3)

II. Antisemitismo e filosofia. La chiamata di correo della “metafisica”

“Il pensiero più elevato si è prestato all’orrore più abissale”.

La portata della tesi di Donatella Di Cesare vuol essere enormemente più vasta. E’ tutta la tradizione filosofica “occidentale”, è appunto ciò che Heidegger chiama “la metafisica”, che deve venir coinvolta insieme con Heidegger in una riflessione sulla Shoah.

“Perché la Shoah non è solo una questione storica, ma è una questione filosofica che coinvolge direttamente la filosofia. Le responsabilità di una lunga tradizione di pensiero devono essere ancora accertate e discusse”[16].

Immediate sono le questioni che si pongono:

1. Su quale base possiamo dire che questa “lunga tradizione di pensiero” è in qualche senso connessa al nazismo? Non era Heidegger, il nazista, e non era Husserl, l’ebreo sradicatore, culmine del pensiero della metafisica? Questi due non erano in guerra?

2. Una risposta è: possiamo dirlo appunto perché Husserl e la metafisica sono la modernità, cioè perché leggiamo la filosofia pre-heideggeriana con gli occhi di Heidegger.

3. Ma qui c’è un buco: perché per Heidegger metafisica implica Oblio dell’Essere, Ente, modernità; ma Hitler non era l’Essere in guerra con l’Ente, contro la modernità?

Quindi occorre un altro passaggio per riempire il gap: e cioè

4. Modernità, Illuminismo, Ragione, significano Scienza, Tecnica, Industria. E “dunque” conducono all’industria della morte, alla scienza dello sterminio, alla tecnica dell’erogazione di gas.

Per l’ultimo passo (di stringente consequenzialità logica, come si può vedere) dobbiamo in effetti saltare dallo Heidegger di prima a quello di dopo la sconfitta nazista. Che non rinnega il nazismo, ma adesso dice che è colpa della modernità, dell’industria, della tecnica! Che era il nazismo, il destino della modernità!

Nel ’45 infatti Heidegger, che aveva pur cantato le lodi dell’attacco motorizzato alla Francia, cioè dello slancio metafisico della nuova umanità capace di coltivare la propria razza con la tecnica, improvvisamente paragona l’agricoltura meccanizzata industriale con la fabbricazione di cadaveri nei campi di concentramento[17].

Di Cesare quasi-cita Heidegger:

“Ma lo sterminio è stato senza precedenti anche perché non era mai avvenuto che si uccidesse in una catena di montaggio. Il processo di industrializzazione della morte, che assunse la precisione quasi rituale della tecnica, trovò nell’uso del gas un cambiamento di qualità”[18].

Ma qual è il senso di questo ultimo punto – l’equazione di Illuminismo/nazismo o Modernità /sterminio? Esattamente quello enucleato dalla tesi più scioccante di Heidegger: gli ebrei – gli agenti della Modernità si sono auto-annientati!

“Selbstvernichtung, autoannientamento, è la parola chiave: gli ebrei si sarebbero autoannientati. Nessuno potrebbe allora essere chiamato in causa, se non gli ebrei stessi. Già nei quaderni del 1940 e del 1941, quando viene avanzata l’esigenza di una “purificazione dell’Essere”, fa la sua inquietante comparsa il termine ‘autoannientamento’” [19].

Ho riletto più e più volte quel passo, apparso su un grande quotidiano, nella speranza che mi fosse sfuggito un commento non assolutorio, almeno su questo. Macché.

“Rigoroso e coerente, Heidegger non fa che trarre la conclusione di ciò che ha detto in precedenza. Gli ebrei sono agenti della modernità: hanno diffuso i mali…complici della Metafisica, hanno portato ovunque l’accelerazione della tecnica. L’accusa non potrebbe essere più grave”.

Qui le cose però si fanno serie. Se avessimo un po’ di sense of humour ci verrebbe da commentare che in tempi di patti e compromessi fra ex avversari politici, perché no: immaginare una specie di kafkiana chiamata di correo, da parte del carnefice e calunniatore della ragione etica e di quella logica, delle sue vittime già calunniate, è una trovata.

E invece non lo trovo umoristico, questo, ma rivoltante. La domanda per Donatella Di Cesare è dunque: E’ antisemita e nazista o non lo è, Heidegger?

Se non lo è, non sappiamo di cosa si stia parlando.

Ma se lo è, nel senso preciso che i suoi moduli di pensiero sono inseparabili da questo antisemitismo metafisico e da questo nazismo, come è possibile utilizzare esattamente la stessa “logica” senza consegnarsi appunto a un pensiero capace di legittimare la più orrenda nefandezza? Non c’è verso: se sono loro gli agenti della modernità, e se la modernità conduce ai campi di sterminio, allora gli ebrei si sono auto-annientati.

In conclusione: come è possibile unirsi a Heidegger proprio nel gesto più osceno, che è quello di rigettare la colpa di Hitler e propria sulle sue vittime?

Ma se di questo gesto osceno si prova orrore più ancora che del nazismo e dell’antisemitismo, c’è forse ragione, dopo aver dimostrato l’intrinsecità del’antisemitismo e del nazismo al pensiero di Heidegger, di chiamare “giustizialista” e “totalitario”[20] chi invece si rifiuta di equiparare Kant e Husserl a Heidegger? Infine, resta qualche ragione per non “prendere posizione”? Tutta la vita è prendere posizione – ma si può farlo in modo più o meno fondato. Davvero non ci sono buone ragioni per giudicare moralmente ignobile e intellettualmente ridicola la posizione di Heidegger?

Ma soprattutto, come si fa, infine, a giudicare Heidegger “un naufrago che attraversa la notte del mondo, rischiarata da profondi sguardi filosofici e potenti visioni escatologiche”?[21].

Un naufrago! Non l’ignobile delatore che fu[22], non colui che mise a rischio la vita di alcuni, non il traditore della fiducia dell’antico maestro, e neppure l’autore della vergognosa uscita (che egli stesso ha deciso di rendere pubblica, offrendola dunque al nostro giudizio) sugli ebrei che “si sono auto-annientati”. E i profondi sguardi filosofici quali sono? E quali le visioni escatologiche? Dobbiamo dunque credere che è vero, gli ebrei sono il popolo eletto a svelare la loro propria essenza che è insieme quella di homo sacer sottratto alla protezione della legge e quella di modernità sradicante-calcolante-reificante che nel campo di concentramento svela la natura ultima del potere, come potere della ragione sulla nuda vita? Sarebbe questo il profondo sguardo filosofico? E’ un riassunto (sgangherato, lo riconosco) delle idee fondamentali di quella che chiamano oggi Italian Theory)[23]. Sia come sia, certo nessuna prosopopea, o personificazione mitica, come quella ultra-indeterminata del “Potere” che si aggira in libri molto popolari di autori contemporanei – da Michel Foucault a Giorgio Agamben a Slavoj Žižek sembra meglio impersonare l’idea (o – mi si perdoni – il delirio) della Machenschaft, della macchinazione universale.

III. Pars construens: il criterio di distinzione fra filosofia e sofistica, ovvero Heidegger sofista prima che nazista.

La mia pars construens offre un criterio di distinzione fra filosofia e sofistica, da usarsi come argomento contro la chiamata di correo della tradizione filosofica.

Accettiamo anzitutto le premesse più atte a screditare questa tradizione.

1. Platone con la sua ricerca di verità in materia di giustizia “fonda” una distopia totalitaria;

2. Kant ha espressioni antisemite, anche forti (non più di quelle anticattoliche, naturalmente, ma che importa).

3. Frege nutre convinzioni razziste.

Fra i critici della distopia platonica ci sono i più profondi estimatori di Socrate – cioè della veglia critica e della costante richiesta di evidenza e buone ragioni per le proprie asserzioni, come Karl Popper e Isaiah Berlin.

Kant, nella sua Religione nei limiti della semplice ragione, dispone le religioni in ordine di lontananza dall’ideale dell’autonomia morale. Inoltre, come tutto il cristianesimo paolino, oppone la legge interiore al comando sacerdotale e alla precettistica rituale, e con Grozio oppone la legge dello Stato a quella di Dio. Può essere giusto metterlo nel calderone delle responsabilità “della” filosofia per la Shoah[24]? Kant, il più strenuo difensore filosofico dell’universalismo morale e di quello cosmopolitico? Non lo crediamo, ma per quali ragioni?

Può essere giusto mettere in questo stesso calderone Gottlob Frege, morto nel 1925, di cui sappiamo da un Nachlass mai pubblicato dall’autore in vita che nutriva opinioni razziste, e suggerire addirittura l’esistenza di un nesso fra il suo “terzo regno” platonico dei pensieri e il Terzo Reich[25]? Anche in questo caso, crediamo di no, ma perché?

Cominciamo dall’ultimo. Frege è il filosofo la cui teoria del significato come peso di verità delle espressioni, cioè contributo di ogni espressione alle condizioni di verità dell’enunciato in cui compare, getta le basi di una nuova dimensione della nostra responsabilità: quella delle parole. Offre a Husserl (che ne fa la base delle sue Ricerche logiche) l’idea prima e centrale del socratismo fenomenologico: la logica è l’ideale del parlare onesto, è l’etica del pensare. Per merito di Frege la logica potrebbe e dovrebbe diventare il cuore dell’educazione umanistica: infatti ci insegna il peso o valore semantico delle parole, il loro ruolo o contributo di verità (o falsità), e ci educa a una responsabilità nell’uso del linguaggio, la cui mancanza finisce invece per distruggere il più prezioso bene comune che abbiamo: la luce delle parole.

Frege è anche l’autore di una formula lapidaria – “il pensiero non ha padrone”.

E’ il pensiero di un filosofo che – come nel caso di Platone, nel caso di Kant, nel caso di Frege – ci dà occhi per vedere i suoi errori, e perfino giudicare le sue opinioni. E’ con lo standard dell’universalismo kantiano che giudichiamo stridenti le espressioni che lo tradiscono, come è con lo standard socratico della vita esaminata che giudichiamo inaccettabile la società chiusa di Platone. E’ con lo standard fregeano del peso di verità delle parole che giudichiamo non solo obiettivamente falso, ma per questa ragione anche obiettivamente infame qualunque giudizio di inferiorità razziale di un uomo rispetto ad un altro.

Ma con lo standard di Heidegger è impossibile vedere la nefandezza di molti giudizi pubblici e privati di Heidegger, è impossibile giudicarli bassi e anche stupidi quanto veramente sono. Questa è la differenza fra filosofo e sofista.

E’ questo il criterio della differenza fra un filosofo e un sofista, e mi sembra un criterio abbastanza chiaro. Che sia applicabile al caso di Heidegger è altrettanto chiaro, se non altro perché il sistema di un autore il cui motto è “tanto peggio per la logica” contiene la negazione di ogni sua proposizione, ovvero dice tutto e il contrario di tutto. Come strumento di giudizio non vale un granché, qualunque sia l’argomento.

Risale al 1929 il testo forse più letto di Heidegger, Che cos’è la metafisica? - fra gli scritti di Heidegger, quello che ebbe più immediato successo, e che lo rese da subito famoso (ne dipende fra l’altro la maggior parte delle letture “di prima generazione” di Sein und Zeit, che era uscito nel 1927. Ne dipende pesantemente il trattato di Sartre del 1943, L’essere e il nulla).

Risale al 1932 il trattatello logico di Rudolf Carnap, Il superamento della metafisica attraverso l’analisi logica del linguaggio, in cui si mostra entro che ristretti limiti si può parlare dell’essere e del nulla – senza parlar di nulla. In quegli anni le due vie del pensiero si separano. Resta ben poco oggi di vivo di quel piccolo manifesto carnapiano del verificazionismo: ben poco, perché Carnap stesso fornì ai suoi successori – a Popper, a Quine – gli strumenti per contestare con successo la parte insostenibile delle sue teorie (secondo il nostro criterio, Carnap era certamente un filosofo e non un sofista). Eppure quel poco è essenziale a mettere in luce la natura sofistica del dire heideggeriano[26]. Tanto peggio per la logica, sussurra il pastore dell’Essere – con un po’ più di pathos:

“E se, così, vien fiaccata la potenza dell’intelletto nell’ambito della questione intorno al niente e all’essere, allora si decide con ciò anche il destino della signoria della “logica” dentro la filosofia. L’idea della “logica” si risolve nel vortice di un interrogare più originario”[27]

Ma in questo “vortice” si dissolve anche quel fondamento etico del dire che è, ripetiamolo ancora una volta, la responsabilità nell’uso delle parole. Vale a dire, la capacità e volontà di rispondere delle nostre singole affermazioni, in primo luogo costruendole in modo che abbiano la possibilità di essere vere, o anche, perché no, di essere false. Un sofista è chi oscura il nesso necessario fra la nostra disponibilità a prendere sul serio ciò che un altro dice e la pretesa di verità implicita in ogni asserzione. Se dissolviamo la logica in un interrogare più originario la pretesa di verità delle asserzioni perderà ogni senso. E con essa svanirà la possibilità che abbiamo di esprimere pensieri definiti, e di attribuirceli gli uni agli altri come credenze, convinzioni, tesi che abbiamo espresso. Parliamo, parliamo, e non diciamo nulla.

IV. Conclusioni retrospettive – per l’oggi.

Nei primi 7 paragrafi della Crisi delle scienze europee Husserl presenta il suo pensiero in diretta continuità con quello illuministico, in quanto speranza di dare un fondamento di conoscenza, ragionevolezza e autonomia al pensiero pratico (etica, diritto, politica) e non solo a quello scientifico. In questo contesto espone due principi, che già in altri scritti aveva presentato come costitutivi dell’Idea di Europa, questa sempre rinascente eccedenza dell’ideale sul reale, della norma sul fatto, del diritto sul potere. Furono anche i due pilastri di un’Europa a venire. E cioè il principio di personalità – col suo corollario di (pari) dignità e diritti di tutte le persone; e l’universalismo della legge (di quella morale, certo – ma in linea di principio anche del diritto, sovra statuale e sovranazionale). Sono i due principi che dopo la guerra ponemmo a fondamento della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Essere Umano, e delle costituzioni delle Repubbliche rifondate, compresa la nostra. E naturalmente anche alla base dell’Unione Europea.

Heidegger costruì il suo pensiero sulla negazione di questi due principi, e sulla loro sostituzione con due principi opposti: la concezione destinale della storia, con la rimozione dell’autonomia e della responsabilità morale degli individui; e l’adozione di un principio di comunità, radice e destino come esplicitamente più fondamentale di quello di personalità, e sulla base del quale gli fu possibile esaltare il Führerprinzip e i legami della terra e del sangue, salutando “l’intima grandezza del Nazionalsocialismo”.

Dopo il ’45, Heidegger fu sdoganato, prima in Francia e poi in Italia, e il suo pensiero sofistico dominò sul continente per mezzo secolo ancora. Come fu possibile?

Ora abbiamo forse una risposta, a questa domanda. Fu possibile perché il sofista vinse purtroppo in larga misura anche nella mente di chi per sentimenti, storia personale, adesioni profonde si situava su un altro fronte politico.

Molto peggio della rimozione del suo nazismo fu ed è l’indifferenza, anzi la stessa cancellazione mnestica della differenza fra esserlo e non esserlo, fra vittime e carnefici, fra Illuminismo e Auschwitz, fra ragione e delirio, nel “vortice” dell’interrogare originario, nella sua “profondità abissale”. E questa è opera della sofistica, come opera sua è l’indistinzione fra sofistica e filosofia. La cosa – per la mente – peggiore.

Ognuno degli innumerevoli ripetitori delle formule del massimo sofista del Novecento ha contribuito a diffondere quell’indifferenza e quell’indistinzione. Con i risultati che si sono visti, quanto alla presenza al nostro tempo dei filosofi della mia generazione, al nostro ruolo di coscienza critica e ragione indipendente nello spazio pubblico delle ragioni, di sentinelle della democrazia e di ispiratori di vera ricerca.


NOTE

[1] D. Di Cesare (2014) Heidegger e gli ebrei. I «Quaderni neri», Bollati Boringhieri 2014. Se ne veda un’ ampia recensione a cura di Stefano Cardini: L’antisemitismo metafisico nell’ombra dell’Essere. Heidegger e gli ebrei alla luce dei Quaderni neri, http://www.phenomenologylab.eu/index.php/2014/11/heidegger-quaderni-neri-di-cesare/. La stessa Di Cesare, forse anche in qualità di vice-presidente della “Martin Heidegger Gesellschaft”, è tornata a più riprese in interventi pubblici sul tema di un antisemitismo metafisico che lungi dall’essere una peculiarità di Heidegger sarebbe il basso continuo dell’intera filosofia tedesca (e non solo di quella, l’autrice non dimentica naturalmente di ricordarci Shakespeare e Lutero), e in particolare di quella kantiana.

[2] J. Hersch (1988), tr. it. (2004), Il dibattito su Heidegger: la posta in gioco, in R. Ascarelli, ed., Oltre la persecuzione, Carocci, Roma, ora reperibile anche su http://www.phenomenologylab.eu/index.php/2015/03/heidegger-hersch/. Da vedere anche R. Klibansky (1991), L’Université allemande dans les années trente (Notes autobiographiques), in « Revue de la société de philosophie du Québec », pp. 139-158. Ho riassunto e ripreso le tesi di questi due testimoni oculari in De Monticelli (2004), Il vuoto dentro. Jeanne Hersch e il dibattito su Heidegger e il nazismo, in: R. Ascarelli (a c.di) Donne, memoria, ebraismo, Carocci, Roma, ora disponibile online su Academia.edu.

[3] Ne parla E. Faye (2012), Heidegger - L’introduzione del nazismo nella filosofia, L’Asino d’oro, pp. 52, 67, 465. Si veda anche G. Piana, citato in http://www.phenomenologylab.eu/index.php/2014/01/heidegger-il-vate-delatore/ (Il volume di Giovanni Piana, Conversazioni su “La crisi delle scienze europee” di Husserl, è reperibile presso Lulu.com all’indirizzo:

[4] QN Riflessioni XIV, all’indomani dell’offensiva tedesca a est, annunciata da Hitler il 22 giugno 1941; DDC 101.

[5] E. Husserl (1923), tr. it. L’idea di Europa (Cinque saggi sul rinnovamento), trad. it. C. Sinigaglia, Cortina, Milano 1999, pp. 71-110

[6] Husserl (1923), trad. it. L’idea d’Europa, cit., p. 91, corsivo nostro.

[7] Di Cesare (2014), p. 100

[8] Ibid., p.92, corsivo nostro.

[9] Ibid., p. 92

[10] Ibid., p. 92, corsivo nostro.

[11] Heidegger (1939-41), Ueberlegungen XII-XV, Schwartze Hefte pp. 46-47, cit. da Di Cersare (2014), cit., p. 154

[12] Ibid., p. 154

[13] L’espressione si trova (fra l’altro) nei Seminari ’34-’35, che hanno dato nuovo materiale alla ricerca di E. Faye, (2007) Heidegger. L’introduzione del nazismo nella filosofia, L’asino d’oro. L’abbiamo ritrovata nel delizioso romanzo di Josè Pablo Feinmann, L’ombra di Heidegger, Neri Pozza Editore 2007, p. 99.

[14] Di Cesare (2014), p. 98

[15] Zhock (2014), La deludente verità dell’antisemitismo di Heidegger, http://mimesis-scenari.it/2015/01/09/la-deludente-verita-dellantisemitismo-di-heidegger/

[16] Di Cesare, “Shoah, ecco l’anno nero di Heidegger”, “Corriere della Sera”, 9/02/2015

[17] Faye (2012), 79, 27.

[18] “Corriere della sera” 9/02/2015, art. cit.

[19] Di Cesare, “Heidegger: ‘Gli ebrei si sono auto-annientati’”, “Corriere della Sera”, 8/02/2015. E infatti, nell’articolo già citato del giorno successivo, l’autrice non lesina critiche al povero Günter Figal, che sotto lo choc della pubblicazione dei Quaderni neri, si è dimesso dalla carica di Presidente della Società Martin Heidegger.

[20] Di Cesare (2014): si può essere presi “dalla pulsione giustizialista” (p. 17); oppure da “un mediocre revanscismo e una forte pulsione reazionaria” (p.18) : in tal modo si “depotenzia la filosofia di Heidegger nella sua carica rivoluzionaria” (p. 28), e ci si attesta “integralisti”, sia pure del “liberalismo”.

[21] Di Cesare (2014), p. vii

[22] Numerosi documenti sulla sua attività in questo senso si trovano in Faye (2007); da Di Cesare (2014) possiamo citarne uno, la lettera di denuncia di Richard Hönigswald, “che ha sostenuto una filosofia tagliata su misura per il liberalismo”, con il quale “l’attenzione viene sviata dall’uomo nel suo radicamento storico e in quella sua tradizione di popolo che proviene da suolo e sangue. A ciò si è accompagnato un consapevole rifiuto di ogni interrogare metafisico” (ibid. p. 95). Pare, ci fa notare l’autrice, che Heidegger stesso aspirasse a quella cattedra a Monaco, “per avvicinarsi a Hitler”. In ogni caso Hönigswald ne fu rimosso nel ’33, per essere poi, durante la Notte dei cristalli del ’38, preso e internato a Dachau.

[23] Cf. un’intervista di D. Gentili a R. Esposito, G. Marramao su questa nozione, http://www.losguardo.net/public/archivio...

[24] Cosa che D. Di Cesare fa citando (p. 42) una non felice frase kantiana sull’”eutanasia dell’ebraismo”, senza però metterla nel suo contesto, che è quello della previsione di una spiritualizzazione progressiva di una religione ancora lontana dallo status di “pura religione morale”, come lo è del resto il cattolicesimo romano. Ringrazio Stefano Bacin per la segnalazione: Cf. Marcus Willaschek, Jürgen Stolzenberg, Georg Mohr, Stefano Bacin (Hg.), Kant-Lexikon, Berlin–Boston, De Gruyter, 2015

[25] Ci perdoni l’autrice, ma questa frase è di un’arbitrarietà inaccettabile: “Certo, per leggere un trattato di logica non è necessario occuparsi dell’antisemitismo dell’autore, sebbene in Frege sussista più di un nesso fra il Reich logico, quello teologico e quello politico” (Di Cesare 2014, p. 8).

[26] Per una esposizione elementare dell’analisi carnapiana del linguaggio di Heidegger si può vedere De Monticelli (2006), Esercizi di pensiero per apprendisti filosofi, Bollati Boringhieri, Torino, Parte prima L’Essere, il Nulla e la logica.

[27] Ibid., p. 26, corsivo nostro.


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