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Da Libro bianco.

Todtnauberg (Freiburg) - 25 luglio 1967: Quando Heidegger e Celan andarono a spasso nell'Inferno

huffingtonpost.it, 27 luglio 2015

http://www.huffingtonpost.it/cesare-cata/quando-heidegger-e-celan-andarono-a-spasso-nellinferno_b_7877476.html

Cesare Catà


All'uomo che sta viaggiando in treno verso Freiburg quel tragitto deve sembrare la strada per l'inferno. Lui c'era già stato, all'inferno. E aveva deciso, con tutto se stesso, che non ci sarebbe più tornato. Poco più di vent'anni prima, appena una ragazzo allora, era stato prelevato dalla sua casa di Cernivci, in Bucovina, e trasportato, come fosse bestiame, in un campo di concentramento. Prima di essere deportato, quel ragazzo ebreo era uno studioso di lettere e medicina che amava la filosofia, soprattutto Nietzsche, Goethe, Rilke; il ragazzo parlava correntemente, oltre il russo, il tedesco, il rumeno e lo yiddish, usati in casa, anche l'inglese, l'italiano, il francese. Sopravvissuto alla guerra, vivrà prima a Vienna e poi a Parigi, tradurrà e scriverà poesie. Di più: darà voce all'ansia più profonda del Novecento e, in ultima analisi, mostrerà che era falsa la famosa idea di Adorno secondo cui, dopo Auschwitz, fosse impossibile fare poesia.

Quest'uomo, che firma le sue opere col nome di Paul Celan, fa poesia dell'indicibile. Fa poesia dopo Auschwitz. "Mai più, in Germania": se l'era detto tanto tempo prima. I conti con i fantasmi Celan decise di farli sulla pagina bianca. È strano pensare che quest'uomo, ossessionato dalla sua esperienza nei campi di sterminio, abbia scelto - lui che padroneggiava naturalmente varie lingue - di scrivere ogni suo verso in tedesco.

Perché? Perché soltanto nella medesima lingua in cui era stata ordinata la soluzione finale era possibile far fronte a quell'orrore. Solo in tedesco era possibile quella catabasi verso il silenzio degli annichiliti, verso la nullafacenza di Dio, che Celan pretende con la sua opera. Celan sa che ogni poeta, per essere davvero tale, deve scendere laggiù, negli abissi, come Orfeo. E laggiù, lui, ci può scendere soltanto in tedesco. Ma essere fisicamente in Germania, ascoltare ancora dal vivo quei suoni, è troppo. Soprattutto se pensiamo che, in quel momento, Paul Celan è stato ricoverato da sua moglie Gisèle Lestrange, pittrice parigina, in una clinica psichiatrica francese per i suoi attacchi di panico, schizofrenia e paranoia.

E allora perché, il 24 luglio del 1967, il poeta viaggia su di un treno alla volta di Freiburg? La risposta più immediata è che è stato chiamato dall'Università della città a tenere lì una lettura delle sue poesie. Ma non basta. Non avrebbe accettato se non ci fosse dell'altro. E questo altro che lo ha fatto decidere di varcare le barriere dell'inferno ha un nome e un cognome. Si chiama Martin Heidegger. I due si scrivono da anni. Heidegger, il filosofo che più di ogni altro avrebbe influenzato la cultura del Novecento, è tutto ciò che Celan non può essere: un Tedesco che crede al legame dell'uomo con la sua terra, radicatissimo; ma, soprattutto, Heidegger è profondamente legato, anche se in modo unico e particolare, al Nazionalsocialismo.

Però, è anche il filosofo che più di ogni altro ha creduto e detto che il pensiero non può non essere un ascolto della poesia, della poesia tedesca in particolare: Holderlin, Rilke, Stefan George; per questo, a Heidegger interessava l'opera di Celan: era affascinato da colui avrebbe potuto essere il continuatore di quella linea letteraria, se solo avesse superato l'impostazione "confessionale" dei suoi versi. E Celan, in un misto d'amore-odio, vedeva in Heidegger il più grande maestro del pensiero contemporaneo. Vincendo ognuno le proprie resistenze, decidono di incontrarsi. La lettura di Celan nell'Università dove Heidegger è un mostro sacro ne è l'occasione.

Il pomeriggio del 25 luglio l'Auditorium dell'Università era strapieno. Salutato con rispetto sacrale dagli studenti e con costruito distacco dai colleghi, Heidegger in prima fila ascolta con molta attenzione le poesie lette da Celan. Quella sera i due si vedono in albergo. Ma Celan reagisce male. "Non mi fotografate con quell'uomo!", grida ai giornalisti mentre Heidegger gli stringe la mano. E si apparta in camera. Il filosofo non fa una piega.

Il vero incontro è programmato per il mattino dopo. Heidegger aspetta il poeta nella sua "mitica" Baita nella Foresta Nera, a Todtnauberg, appena sopra Freiburg. Celan arriva in orario. Difficile immaginare lo stato del suo cuore, in quel momento, di fronte al terribile maestro che non ha mai rinnegato quella che lui chiamava "l'intima verità e grandezza del Nazionalsocialismo".

I due cominciano a passeggiare tra i sentieri. Una passeggiata epocale, come se in quel 26 luglio la filosofia e la poesia si trovassero fisicamente faccia a faccia, come se gli orrori del Novecento dovessero finalmente dar conto di loro stessi. I due attendono quel momento da anni, ognuno per ragioni diversissime. Ed ecco cosa accadde: nelle circa tre ore della loro passeggiata, sono stati per la maggior parte del tempo - zitti. Quando hanno parlato, si è discusso del clima, di piante, di espressioni del dialetto del Baden. Di niente. Come mai? Troppo doloroso mettere a tema quello che quei due geni avevano da dirsi? Oppure entrambi avevano bisogno del silenzio per esprimere quello che volevano dire? Può darsi.

Fatto sta che di lì a pochi mesi Heidegger e Celan daranno di quel tacere interpretazioni opposte: Celan (lo descrive in una sua poesia chiamata proprio Todtnauberg) ci vedrà una sorta di pentimento di Heidegger per le sue scelte politiche (cosa mai avvenuta); e Heidegger (glielo dirà in una lettera) la decisione di una svolta, in cui Celan finalmente avrebbe fatto una poesia non più intimistica, ma epica (cosa, anche questa, mai successa). Passeranno appena due anni da quella passeggiata silenziosa, e i fantasmi braccheranno Paul Celan: il poeta si uccide, cinquantenne, buttandosi nella Senna dal ponte Mirabeau a Parigi. Del suo viaggio verso l'inferno, a Freiburg, ricorderà sempre come la cosa più piacevole di quelle ore terribili fosse stata camminare per la città e vedere, ad ogni vetrina di ogni libreria e di ogni negozio, i suoi libri esposti in bella mostra. Non seppe mai che, il mattino precedente, un influente professore si era preso la briga di telefonare a ogni librario di Freiburg, chiedendo il favore di esporre in vetrina, il più visibilmente possibile, tutte le opere di Paul Celan - perché credeva che ciò avrebbe giovato al suo spirito sofferente. Quel professore si chiamava Martin Heidegger.


Voci utilizzate nell'articolo

Assenza di autocritica

Diniego a Celan

Metodi applicati

Onniscienza biografica

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