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Da Libro bianco.

Faye contro Heidegger: un nano contro un gigante

Faye tenta di dimostrare che tutta la filosofia di Heidegger non è altro che una semplice trascrizione del pensiero nazista. Costruisce ponti, connessioni, parallelismi più o meno fondati e di dubbia validità tra il “Mein Kampf” ed “Essere e tempo”. Una lettura piuttosto pittoresca.


lintellettualedissidente.it, 27 luglio 2015

http://www.lintellettualedissidente.it/filosofia/faye-contro-heidegger-un-nano-contro-un-gigante/


Matteo Persico


Che Emmanuel Faye non avesse una grandissima considerazione di Heidegger era già chiaro da tempo, fin dalla pubblicazione de “L’introduzione del nazismo nella filosofia”: in questo saggio, pubblicato nel 2005 in Francia, Faye tenta con scarso successo, per tutte le 499 pagine che vanno a comporre la pubblicazione, di dimostrare che tutta la filosofia di Heidegger non è altro che una semplice trascrizione del pensiero nazista. Per farlo, costruisce ponti, connessioni, parallelismi più o meno fondati e di dubbia validità tra il “Mein Kampf” ed “Essere e tempo”, affermando che ciò che il fecondo intelletto di Heidegger aveva prodotto era in realtà già stato detto e ribadito da Hitler. Una lettura piuttosto pittoresca. Faye non ha mai smentito le proprie teorie espresse nel lontano 2005. Anzi, sembra che anche lui sia desideroso di inserirsi nel dibattito in corso riguardo i “Quaderni neri”. Il 21 luglio infatti, sul quotidiano “Il Corriere della Sera”, è stato pubblicato un articolo scritto dallo stesso Faye in cui ne ha veramente per tutti. In primis, non rinuncia, come al solito, ad un ambizioso attacco alla figura di Heidegger (attacco fine a sé stesso, dal momento che raramente è accompagnato da argomentazioni); in secondo luogo ha attaccato Von Herrmann, reo a suo dire, di aver manipolato i testi di Heidegger per decenni; e per finire ha perfino criticato Donatella Di Cesare e Peter Trawny , quei filosofi che all’interno di questa diatriba dovrebbero essere a lui più vicini.

Nessuno è riuscito a salvarsi dalla cieca furia di Emmanuel Faye. Gli attacchi diretti prima ad Heidegger, che contengono solo accuse di razzismo nel pensiero del filosofo tedesco e di antisemitismo, e poi quelli a Von Herrmann, quanto mai sterili e banali, non sono da valutare ed esaminare con troppa attenzione. Sarebbe già uno sgarbo al concetto stesso di “Filosofia” mettere in risalto certe affermazioni. Ciò che invece può risultare molto interessante è ciò che Faye rimprovera alla Di Cesare e a Trawny: secondo il “nostro” Faye, essi sono eccessivamente lassisti e troppo moderati nell’affrontare l’antisemitismo del filosofo tedesco e il razzismo quasi metafisico del suo pensiero, e non capiscono che le figure di Heidegger e di Hitler sono perfettamente sovrapponibili. La risposta della Di Cesare non si è fatta attendere, poco dopo la pubblicazione dell’articolo ha infatti scritto su Facebook:”Oggi c’è sul Corriere una butade del solito Faye che non ha nulla da dire se non che ripetere – udite, udite – che Heidegger era nazista. Quale novità! Farebbe meglio a leggere i “Quaderni neri” per capire che la questione non è così superficiale, che Heidegger andava ben al di là di Hitler, che la mia riflessione è ben più critica della sua altisonante e sarcastica condanna. A Faye, e ai suoi accoliti, non interessa nulla né dell’antisemitismo, né del popolo ebraico, né della Shoah.”

Arrivati a questo punto, in cui il confronto dialettico è divenuto scontro da “tutti contro tutti”, chi ha ragione? Certamente non Faye, che interpreta Heidegger come la pura incarnazione del nazismo, ma allo stesso tempo nemmeno il binomio Di Cesare/ Trawny, i quali riconosco il nazismo di Heidegger ma cercano di rielaboralo per salvare il grande filosofo dalla dannazione eterna. L’errore di entrambi è il dare per scontato, in maniera quasi intuitiva, il razzismo di Heidegger. Chiunque abbia mai letto una sua opera sa che le accuse mosse al popolo ebraico erano in realtà accuse lanciate contro il modernismo. Heidegger aveva visto nel popolo ebraico un “germe semita”, ma non si trattava di un insulto razzista, di un giudizio che classificava i giudei come dei batteri letali di cui era necessario disfarsi: essi erano germi in quanto portatori del “germe modernista”, ma non lo erano nella propria essenza, a livello biologico e culturale come vorrebbe il razzismo. Heidegger appoggiò erroneamente il nazismo non perché avesse un interesse razzista di annientamento di una razza inferiore, quanto piuttosto perché vide nel partito nazionalsocialista l’ultimo baluardo capace di fermare l’inarrestabile ascesa del modernismo. Heidegger, come riporta anche Gianni Vattimo in un articolo scritto per “La Stampa” nel 2012, non pensò mai di possedere la verità assoluta e nemmeno che il nazismo fosse il bene assoluto, ma fosse la soluzione più utile nel contesto storico di quel periodo, ossia il giusto mezzo per fermare il vero “male assoluto”, il modernismo e la tecnologia. Chi invece pensa di possedere la verità assoluta, chi ha questa superbia sono i nostri pseudo-intellettuali contemporanei, studiosi tracotanti proprio come il nostro caro Faye.

Concludiamo con un’ultima domanda: perché il “Corriere della Sera” dedica tutto questo spazio, e non è la prima volta, a Emmanuel Faye? C’è un interesse da parte di questo giornale, che spesso ha attaccato apertamente Heidegger, a relegarlo a semplice gregario della dottrina nazista? Ciascuno tragga le proprie conclusioni.


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