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In una lettera indirizzata al figlio Martin, Dieter Müller, protagonista di questo romanzo epistolare di Feinmann, ricostruisce la propria adesione al nazismo sulle orme di Heidegger, di cui è stato prima scolaro e poi devoto e sottomesso collega a Friburgo. Quando Heidegger abbandona il rettorato, Müller è costretto a insegnare secondo le prescrizioni del partito e le direttive di Rosenberg. Passato in Argentina, nel 1948 apprende da rifugiati nazisti la verità sui campi di sterminio e decide di suicidarsi. | In una lettera indirizzata al figlio Martin, Dieter Müller, protagonista di questo romanzo epistolare di Feinmann, ricostruisce la propria adesione al nazismo sulle orme di Heidegger, di cui è stato prima scolaro e poi devoto e sottomesso collega a Friburgo. Quando Heidegger abbandona il rettorato, Müller è costretto a insegnare secondo le prescrizioni del partito e le direttive di Rosenberg. Passato in Argentina, nel 1948 apprende da rifugiati nazisti la verità sui campi di sterminio e decide di suicidarsi. | ||
− | Servendosi delle vicende attribuite a Müller, Feinmann suggerisce che l'adesione di Heidegger al nazismo non è stato un episodio marginale: vicino alle SA di Röhm e al nazionalsocialismo rivoluzionario, egli avrebbe rinunciato a diventare il filosofo del nazismo dopo la sua "normalizzazione". E questa "involuzione" lo avrebbe indotto ad abbandonare l'interpretazione dell'esistenza come apertura e possibilità, pur nell'incombenza della morte, per fame il dominio della tecnica, che induce all'oblio dell'essere autentico. Nella seconda parte del romanzo Martin Müller narra la propria visita a Heidegger dopo la guerra e il vano tentativo di ottenere da lui un segno di resipiscenza; ma è anche l'occasione per parlare della riscoperta di Heidegger. Nel 1943 Dieter aveva tenuto conferenze a Parigi, diffondendo le idee di Heidegger in Francia, dove Sartre le riprendeva, facendo regredire Heidegger alla funzione di precursore dell'esistenzialismo. In realtà era il passo decisivo per farlo diventare il filosofo della sinistra, il sostituto di Marx. | + | Servendosi delle vicende attribuite a Müller, [[Acritica delle fonti|Feinmann suggerisce che]] l'adesione di Heidegger al nazismo non è stato un episodio marginale: [[Simpatia per le SA|vicino alle SA di Röhm]] e al nazionalsocialismo rivoluzionario, egli avrebbe [[Nazismo privato|rinunciato a diventare il filosofo del nazismo]] dopo la sua "normalizzazione". E questa "involuzione" lo avrebbe indotto ad abbandonare l'interpretazione dell'[[Essere per la morte|esistenza come apertura e possibilità, pur nell'incombenza della morte]], per fame il dominio della tecnica, che induce all'oblio dell'essere autentico. Nella seconda parte del romanzo Martin Müller narra la propria visita a Heidegger dopo la guerra e il vano tentativo di ottenere da lui un segno di resipiscenza; ma è anche l'occasione per parlare della riscoperta di Heidegger. Nel 1943 Dieter aveva tenuto conferenze a Parigi, diffondendo le idee di Heidegger in Francia, dove Sartre le riprendeva, facendo regredire Heidegger alla funzione di precursore dell'esistenzialismo. In realtà era il passo decisivo per farlo diventare il filosofo della sinistra, il sostituto di Marx. |
− | Feinmann rende bene il rapporto tra l'esaltazione heideggeriana della terra e della comunità e il nazismo, ma sembra suggerire che Heidegger resta pur sempre il più grande filosofo del Novecento per l'interpretazione che ha dato dell'esistenza e per le domande poste sull'essere, prima tra tutte quella sul perché c'è qualcosa e non il nulla. Il concetto di "grande filosofia" ricorre spesso nel libro, come per isolare ciò che della filosofia heideggeriana è rimasto immune dal nazismo. Eppure Feinmann ha tracciato un quadro tutt'altro che attraente del "grande pensatore", a cominciare dalla sua ingenerosa vicenda con Hannah Arendt; né il suo coinvolgimento con il nazismo ha avuto momenti di effettiva grandezza. Avrebbe potuto aggiungere che anche le "grandi domande" sono soprattutto roba di scuola, formulate, come le risposte, con materiali di uso corrente. L’originalità di Heidegger è consistita nel rendere quelle cose popolari tra gli intellettuali, spesso esprimendole con formule criptiche o minacciose, in un dialetto tedesco inventato e in un linguaggio filosofico aspro, che sollecitava non sviluppi autonomi, ma imitazioni e glosse. | + | Feinmann rende bene il rapporto tra l'esaltazione heideggeriana della terra e della comunità e il nazismo, ma sembra suggerire che Heidegger resta pur sempre il più grande filosofo del Novecento per l'interpretazione che ha dato dell'esistenza e per le domande poste sull'essere, prima tra tutte quella sul perché c'è qualcosa e non il nulla. Il concetto di "grande filosofia" ricorre spesso nel libro, come per isolare ciò che della filosofia heideggeriana è rimasto immune dal nazismo. Eppure Feinmann ha tracciato un quadro tutt'altro che attraente del "grande pensatore", a cominciare dalla sua ingenerosa vicenda con Hannah Arendt; né il suo coinvolgimento con il nazismo ha avuto momenti di effettiva grandezza. Avrebbe potuto aggiungere che anche le "grandi domande" sono soprattutto roba di scuola, formulate, come le risposte, con materiali di uso corrente. L’originalità di Heidegger è consistita nel rendere quelle cose popolari tra gli intellettuali, spesso [[Oscurità|esprimendole con formule criptiche o minacciose]], in un dialetto tedesco inventato e in un linguaggio filosofico aspro, che sollecitava non sviluppi autonomi, ma imitazioni e glosse. |
Il vero paradosso della fortuna tarda di Heidegger è costituito dal fatto che essa gli è stata assicurata dai temi della sua filosofia che Feinmann presenta come affini al nazismo più violento: il rifiuto del sapere scientifico e tecnico, l'interpretazione della modernità come oblio dell'essere, un ambiguo ricupero di Nietzsche, la preferenza concessa all'interpretazione rispetto alla conoscenza. Feinmann aggiunge un'osservazione velenosa: Heidegger ha sostituito Marx. Ha ragione: non soltanto perché a Heidegger si sono rivolti eredi delusi del marxismo, ma perché egli è diventato, come era Marx, l'autore da citare e glossare, invece di cercar di capire ciò che stava accadendo nel mondo. | Il vero paradosso della fortuna tarda di Heidegger è costituito dal fatto che essa gli è stata assicurata dai temi della sua filosofia che Feinmann presenta come affini al nazismo più violento: il rifiuto del sapere scientifico e tecnico, l'interpretazione della modernità come oblio dell'essere, un ambiguo ricupero di Nietzsche, la preferenza concessa all'interpretazione rispetto alla conoscenza. Feinmann aggiunge un'osservazione velenosa: Heidegger ha sostituito Marx. Ha ragione: non soltanto perché a Heidegger si sono rivolti eredi delusi del marxismo, ma perché egli è diventato, come era Marx, l'autore da citare e glossare, invece di cercar di capire ciò che stava accadendo nel mondo. | ||
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Josè Pablo Feinmann, L’ombra di Heidegger, Neri Pozza 2007, p. 176, Euro 15 | Josè Pablo Feinmann, L’ombra di Heidegger, Neri Pozza 2007, p. 176, Euro 15 | ||
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Indice
L'ombra di Heidegger
L’ombra di Heidegger, un saggio che sottolinea la piena adesione al nazismo del filosofo tedesco
Giudizio universale, Ottobre 2007
Carlo Augusto Viano
In una lettera indirizzata al figlio Martin, Dieter Müller, protagonista di questo romanzo epistolare di Feinmann, ricostruisce la propria adesione al nazismo sulle orme di Heidegger, di cui è stato prima scolaro e poi devoto e sottomesso collega a Friburgo. Quando Heidegger abbandona il rettorato, Müller è costretto a insegnare secondo le prescrizioni del partito e le direttive di Rosenberg. Passato in Argentina, nel 1948 apprende da rifugiati nazisti la verità sui campi di sterminio e decide di suicidarsi.
Servendosi delle vicende attribuite a Müller, Feinmann suggerisce che l'adesione di Heidegger al nazismo non è stato un episodio marginale: vicino alle SA di Röhm e al nazionalsocialismo rivoluzionario, egli avrebbe rinunciato a diventare il filosofo del nazismo dopo la sua "normalizzazione". E questa "involuzione" lo avrebbe indotto ad abbandonare l'interpretazione dell'esistenza come apertura e possibilità, pur nell'incombenza della morte, per fame il dominio della tecnica, che induce all'oblio dell'essere autentico. Nella seconda parte del romanzo Martin Müller narra la propria visita a Heidegger dopo la guerra e il vano tentativo di ottenere da lui un segno di resipiscenza; ma è anche l'occasione per parlare della riscoperta di Heidegger. Nel 1943 Dieter aveva tenuto conferenze a Parigi, diffondendo le idee di Heidegger in Francia, dove Sartre le riprendeva, facendo regredire Heidegger alla funzione di precursore dell'esistenzialismo. In realtà era il passo decisivo per farlo diventare il filosofo della sinistra, il sostituto di Marx.
Feinmann rende bene il rapporto tra l'esaltazione heideggeriana della terra e della comunità e il nazismo, ma sembra suggerire che Heidegger resta pur sempre il più grande filosofo del Novecento per l'interpretazione che ha dato dell'esistenza e per le domande poste sull'essere, prima tra tutte quella sul perché c'è qualcosa e non il nulla. Il concetto di "grande filosofia" ricorre spesso nel libro, come per isolare ciò che della filosofia heideggeriana è rimasto immune dal nazismo. Eppure Feinmann ha tracciato un quadro tutt'altro che attraente del "grande pensatore", a cominciare dalla sua ingenerosa vicenda con Hannah Arendt; né il suo coinvolgimento con il nazismo ha avuto momenti di effettiva grandezza. Avrebbe potuto aggiungere che anche le "grandi domande" sono soprattutto roba di scuola, formulate, come le risposte, con materiali di uso corrente. L’originalità di Heidegger è consistita nel rendere quelle cose popolari tra gli intellettuali, spesso esprimendole con formule criptiche o minacciose, in un dialetto tedesco inventato e in un linguaggio filosofico aspro, che sollecitava non sviluppi autonomi, ma imitazioni e glosse.
Il vero paradosso della fortuna tarda di Heidegger è costituito dal fatto che essa gli è stata assicurata dai temi della sua filosofia che Feinmann presenta come affini al nazismo più violento: il rifiuto del sapere scientifico e tecnico, l'interpretazione della modernità come oblio dell'essere, un ambiguo ricupero di Nietzsche, la preferenza concessa all'interpretazione rispetto alla conoscenza. Feinmann aggiunge un'osservazione velenosa: Heidegger ha sostituito Marx. Ha ragione: non soltanto perché a Heidegger si sono rivolti eredi delusi del marxismo, ma perché egli è diventato, come era Marx, l'autore da citare e glossare, invece di cercar di capire ciò che stava accadendo nel mondo.
Libro
Josè Pablo Feinmann, L’ombra di Heidegger, Neri Pozza 2007, p. 176, Euro 15
L’autore: nato a Buenos Aires nel 1943, è professore universitario di filosofia. Ha scritto saggi, romanzi, opere teatrali e sceneggiature cinematografiche.
I paradossi di Heidegger/1: era ossessionato dalla prospettiva che la cultura tedesca fosse soppressa dal bolscevismo o dall’americanismo; ha finito con il diventare caro alla cultura americana e agli eredi di coloro che avevano sperato nel trionfo del comunismo.
I paradossi di Heidegger/2: ha sempre mostrato disprezzo per la cultura diffusa e l’anonimo mondo del “si”, del “si dice”, ed è diventato la merce principale della filosofia di massa e della predica giornalistica.
I paradossi di Heidegger/3: Non tutta la filosofia di Heidegger esprime la rivoluzione conservatrice nazista, ma questa parte è quella che, dopo la fine del nazismo, ha costituito la sua fortuna.
Voci utilizzate nell'articolo
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