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Quel che Sartre mi ha insegnato

In che modo la filosofia di Sartre ha avuto un ruolo nel corso del suo sviluppo intellettuale, se ne ha avuto uno?


La Repubblica, 28 ottobre 2005


Richard Wolin


«Quando ero studente, negli anni successivi alla seconda guerra mondiale, conobbi Sartre il drammaturgo. Era prima che finissi il liceo (1949). Fu allora che, per esempio, vidi la favolosa messa in scena di Le mosche, diretto da Grundgens, con Flickenschild nel ruolo principale. In Germania questo dramma stimolò profonde interpretazioni metafisiche. Ma furono le altre opere, per esempio La porta chiusa, a darci la possibilità, fin da allora, di fare la conoscenza del Sartre politico. A quel tempo, Sartre era veramente di moda: le sue idee, ma ancora di più, il pathos delle sue idee, erano praticamente onnipresenti. Da giovane studente, intorno al 1950, ho fatto la conoscenza di Sartre filosofo e de Il secondo sesso di Simone de Beauvoir, che nei nostri limitati circoli accademici provocò accese discussioni. La mia interpretazione di L'essere e il nulla fu molto importante per la mia comprensione di Essere e tempo. Sartre ci aiutò a leggere il primo Heidegger - il solo Heidegger che conoscevamo all' epoca - come un' opera di filosofia trascendentale. Si poteva interpretare questo libro, seguendo Sartre, come una filosofia umanistica della libertà (...)».

In anni recenti, il ruolo del tradizionale «intellettuale universale», del quale Sartre fu forse l' incarnazione ideale nel nostro secolo, è stato sempre più attaccato, per esempio da Foucault, che al suo posto propose una teoria dell' «intellettuale specifico». Qual è la sua posizione in relazione a questo dibattito sul ruolo dell' intellettuale nella società contemporanea?

«Certamente, Foucault criticava aspramente la percezione di Sartre di se stesso come di un intellettuale politico; ma, in retrospettiva, bisogna dire che i due vedevano un ruolo del tutto simile per gli intellettuali. Foucault giustamente accentuò la demistificazione dell' intellettuale; chiarì che oggi i filosofi e i letterati condividono questo ruolo con altri esperti che si fanno avanti nella sfera pubblica: sono tutti diventati "intellettuali specifici" che nel tempo libero mettono in campo la loro esperienza professionale nei dibattiti pubblici. Quindi nessuno può considerarsi un portavoce privilegiato. In Germania, al contrario, abbiamo il problema di contrastare un' ostilità profondamente radicata nei confronti degli intellettuali; quindi, oggi, la triste eredità di una tradizione culturale conservatrice e pedante semplicemente si nasconde dietro al giustificabile scetticismo nei confronti di quel tipo di intellettuali faziosi che fanno affidamento sulle certezze della filosofia della storia (...)».

Anche se nel mondo rimane vivo l'interesse intorno al lavoro di Sartre, in Francia questo interesse sembra essersi ridotto grazie al successo di altri modelli intellettuali: strutturalismo, poststrutturalismo, anarchismo filosofico eccetera. Crede che questo andare "oltre" Sartre e la fusione di marxismo ed esistenzialismo che egli cercava di realizzare si sia spinto troppo in là? E, se è così, quali, secondo lei, sono gli aspetti della filosofia di Sartre che vale la pena di conservare?

«Durante i primi tre decenni del dopoguerra, gli orologi degli intellettuali giravano in direzioni diverse. In Germania, lo strutturalismo ebbe un' influenza tarda e relativamente minore. La fondamentale teoria sociale di Adorno era vista come un' alternativa all' antropologia fenomenologica e più tardi come un' alternativa al marxismo fenomenologico di Sartre. Di conseguenza, per noi il ritorno a Nietzsche e al più tardo Heidegger, che dalla metà degli anni Settanta è stato recepito come una critica radicale della ragione, si verifica in una costellazione diversa. Sotto questo aspetto, la Dialettica dell' illuminismo conteneva un nocciolo duro di pessimismo filosofico sul quale si poterono fondare le interpretazioni «post-moderne» - il che non permette a nessuno di assimilare Adorno a Heidegger e Derrida. Il lavoro di Sartre non si presta ad essere adattato alle tendenze decostruzioniste. Per questo discorso, rappresenta un avversario che non è facilmente assimilabile. I suoi scritti contengono idee che non solo non sono state sorpassate ma che guardano anche ad approcci storicisti e contestualisti che oggi sono tanto diffusi (...)».

Come sa, dopo la recente pubblicazione in Francia del libro di Victor Farias, Heidegger e il nazionalsocialismo, c'è stata una vivace speculazione sulle basi filosofiche del nazismo di Heidegger. Ma il fatto che persone quali Sartre e Marcuse - per citarne solo due - abbiamo ricevuto la loro ispirazione filosofica dalla grande opera del 1927 di Heidegger, Essere e tempo, non ci porta a concludere che non c'è una relazione necessaria tra il tipo di Existenzphilosophie di Heidegger e il nazionalsocialismo? Dopo tutto, Sartre poté prendere queste stesse premesse filosofiche e renderle utilizzabili per una serie estremamente diversa di fini politici.

«Sono dell' opinione che la sostanza di Essere e tempo non sia ancora influenzata dalla posizione ideologica che, dal 1929, si è impressa con più forza sul lavoro di Heidegger. Naturalmente, si trovano anche in questo libro tracce di un approccio alla critica culturale che era allora diffuso tra i letterati tedeschi - per esempio, nell' analisi della "pubblicità", dell' "esistenza autentica" e così via. Quindi Marcuse e Sartre (che era allora un intellettuale del tutto a-politico) poterono imparare quello che tutti noi possiamo ancora imparare da questo notevole lavoro. Forse, a quel tempo, Sartre non conosceva abbastanza bene il tedesco per poter individuare le discutibili sfumature politiche nello stile espressionistico di Heidegger. Dopo il 1933, Marcuse prese energicamente le distanze da quello che una volta era stato il suo maestro; fu quello che, nella generazione più anziana della Scuola di Francoforte, fu più vicino a Sartre. Dopo la guerra, Sartre poté esercitare una grande influenza perché la sua versione della Existenzphilosophie di Heidegger si collocava in un contesto completamente diverso, e perché rimaneva del tutto non toccato dal tropo intellettuale della «messa in opera della verità», nei quali termini Heidegger, dopo il 1933, stilizzava il Fuhrer e il Duce come semidei della "storia dell'Essere" e li paragonava ai grandi poeti e pensatori». (traduzione di Irene Ranzato)



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