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Heidegger, cattivo Maestro anti - occidente

Avvenire, 28 ottobre 2008


Andrea Galli


È curioso, alle volte, il destino. Uno aiuta gli ebrei a sfuggire alla persecuzione nazista e diventa il «Papa di Hitler». Un altro si propone come guida filosofico-spirituale del Terzo Reich, fa sfoggio di un radicale antisemitismo, arrivando alle delazione nei confronti di colleghi ebrei, che verranno per questo allontanati dall’università, e a teorizzare l’«annientamento totale» del «nemico asiatico», cioè ebraico, e diventa il più grande filosofo del XX secolo. È una considerazione che torna alla mente seguendo le estenuanti polemiche sui «silenzi» di Pio XII e leggendo contemporaneamente l’ultimo lavoro di Víctor Farías, lo storico e filosofo cileno che venti anni or sono ebbe il merito di squarciare il velo di un segreto fino allora ben custodito, quello dei rapporti di Martin Heidegger con il regime nazionalsocialista.

Farías ne «L’eredità di Heidegger nel neonazismo, nel neofascismo e nel fondamento islamico», che esce oggi in anteprima per un’editrice italiana, Medusa, coglie nuovamente nel segno per quanto riguarda il proposito di fondo, fare un quadro delle ricadute nefaste del pensiero di Heidegger. Meno, purtroppo, nelle conclusioni. Un’occasione mancata. Con il piglio di un Simon Wiesenthal dell’heideggeri­smo Víctor Farías (Wiesenthal di cui Farías è stato amico) il detective cileno si è messo sulle tracce di un nugolo di pensatori antimoderni o reazionari che si sono abbeverati alle teorie dell’oracolo della Selva Nera, con esiti spesso inquietanti. Dal tedesco Rudolf Bahro, ecologista radicale e teorico dell’avvento di un «Adolf verde», ai protagonisti neopagani della Nouvelle droite francese, Alain de Benoist in testa, al sociologo argentino antisemita Norberto Ceresole, già consigliere di Hugo Chávez, fino ai teorici della Repubblica islamica iraniana – ed è questa la parte più intrigante del libro – come Reza Davari Ardakani e Ahmad Fardid, quest’ultimo, morto nel 1994, leader di un gruppo di intellettuali e mullah ai tempi della rivoluzione islamica conosciuti come «gli heideggeriani». Con cui avrebbe avuto a che fare, in qualche modo, lo stesso Ahmadinejad.

Una disamina sostenuta da due convinzioni. La prima, condivisibile, che seguendo il vegliardo di Todtnauberg sui suoi «sentieri interrotti» si arrivi a un’ostilità nei confronti della civiltà giudaico-cristiana – causa della decadenza e dell’oscuramento spirituale dell’Occidente – che può facilmente sfociare in un antigiudaismo e in un anticristianesimo à la Alfred Rosenberg. La seconda, incredibilmente naïf, che la fascinazione per Heidegger abbia come conseguenza «l’accettazione del totalitarismo e la negazione dei principi che garantiscono la convivenza democratica e civilizzata». Da lì il setacciare compulsivo dello studioso cileno nel catalogo degli estremismi di diverso segno e latitudine, alla ricerca di virtuali svastiche e camice brune fra i cultori di «Essere e tempo».

Non rendendosi conto, forse, che se Heidegger è diventato il filosofo del XX secolo è perché una repulsione verso il monoteismo biblico, un anelito a riallacciarsi ad un mondo arcaico numinoso e ferino e una spinta anti-umanistica, o meglio dis-umanizzante, animano fior fior di democratici e liberali. E di civili accademici. Non solo i «nazisti dell’Illinois», tanto odiati anche da John Belushi.


Voci utilizzate nell'articolo

Antisemitismo

Colleghi e studenti ebrei

Foresta nera

Nazismo spirituale


Metodi applicati

Promozione sul campo


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