Differenze tra le versioni di "Intervista allo Spiegel"

Da Libro bianco.
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Martin Heidegger intervistato dallo ''Spiegel''
 
Martin Heidegger intervistato dallo ''Spiegel''
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Martin Heidegger intervistato dallo Spiegel (107)
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Spiegel: Professor Heidegger, abbiamo sempre constatato che, sulla sua opera filosofica, grava
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un’ombra, a causa di avvenimenti della sua vita che non hanno avuto una lunga durata e che non
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sono mai stati veramente chiariti, sia perché Lei era troppo orgoglioso per farlo, sia perché non ha
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mai ritenuto opportuno esprimersi al riguardo.
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Heidegger: Sta parlando del 1933?
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Spiegel: Sì, prima e dopo. Vorremmo porre la cosa in un contesto più ampio e da lì giungere ad
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alcune questioni che sembrano importanti, per esempio: che possibilità c’è, a partire dalla
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filosofia, di agire sulla realtà, anche sulla realtà politica? Esiste ancora una tale possibilità? E, se
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sì, qual è?
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Heidegger: Sono davvero delle questioni importanti; mi chiedo se riuscirò a rispondere a tutte. Ma,
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prima di ogni cosa, devo dire che, negli anni precedenti al mio rettorato, non svolsi mai attività
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politica. Durante il semestre invernale 1932/33, ero in congedo, e, per la maggior parte del tempo,
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rimasi nella mia baita.
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Spiegel: Com’è accaduto allora che Lei sia diventato rettore dell’Università di Friburgo?
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Heidegger: Nel dicembre 1932, il mio vicino, von Möllendorff, ordinario di anatomia, era stato
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eletto rettore. Nella <264> nostra Università, il nuovo rettore entra in carica il 15 aprile. Durante il
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semestre invernale 1932/33, parlammo spesso della situazione, non solo di quella politica, ma in
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particolare di quella delle Università e di quella, per certi versi senza speranza, degli studenti. Il mio
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parere era questo: per quanto io sia in grado di valutare le cose, resta, come unica possibilità, quella
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di tentare, con le forze costruttive ancora veramente vive, di cogliere l’elemento promettente
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dell’odierna evoluzione.
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Spiegel: Lei dunque vedeva una relazione fra la situazione dell’Università tedesca e la situazione
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politica generale in Germania?
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Heidegger: Seguii gli avvenimenti politici fra il gennaio e il marzo 1933; in quell’occasione, ne
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parlai anche con dei colleghi più giovani. Ma il mio lavoro, allora, era dedicato ad un’ampia
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interpretazione del pensiero presocratico. All’inizio del semestre estivo, feci ritorno a Friburgo. Nel
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frattempo, il 15 aprile, il professor von Möllendorff aveva assunto la carica di rettore. Ma, già due
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settimane più tardi, il ministro della cultura del Baden, Wacker, lo aveva sollevato dall’incarico. Il
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pretesto per questa decisione, sicuramente benvenuto, fu fornito dal divieto, emanato dal rettore, di
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affiggere, in Università, il c.d. “manifesto sugli Ebrei”.(108)
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Spiegel: Von Möllendorff era un socialdemocratico. Cosa fece dopo essere stato sollevato
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dall’incarico di rettore?
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Heidegger: Il giorno stesso della sua destituzione, von Möllendorff venne da me e mi disse:
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«Heidegger, ora è Lei che deve assumere il rettorato». Gli feci notare che mi mancava ogni
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esperienza in campo amministrativo. L’allora prorettore Sauer (teologo) fece anch’egli pressioni
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affinché mi candidassi alle elezioni del nuovo rettore; sembrava infatti vi fosse il pericolo che,
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altrimenti, potesse essere nominato rettore un funzionario. Alcuni colleghi più giovani, con i quali,
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già da parecchi anni, discutevo di questioni riguardanti <265> l’organizzazione dell’Università,
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fecero di tutto per convincermi ad assumere il rettorato. Esitai a lungo. Alla fine, mi dichiarai
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disposto ad assumere la carica unicamente nell’interesse dell’Università, qualora avessi potuto
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essere certo dell’unanime approvazione del Plenum. Intanto i dubbi riguardo alla mia idoneità al
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rettorato restarono, sicché, ancora la mattina del giorno fissato per le elezioni, mi recai in rettorato e
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dichiarai a von Möllendorff e al prorettore Sauer che non potevo assumere l’incarico. A ciò i miei
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due colleghi risposero che l’elezione era stata preparata in modo che ora non potevo più ritirare la
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mia candidatura.
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Spiegel: A questo punto, Lei si dichiarò definitivamente disponibile ad accettare l’incarico. Che
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forma assunse allora il suo rapporto coi nazionalsocialisti?
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Heidegger: Due giorni dopo il mio insediamento, il “capo degli studenti nazionalsocialisti” venne
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in rettorato con due compagni pretendendo nuovamente che venisse affisso il “manifesto sugli
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ebrei”.(109) Rifiutai. I tre studenti se ne andarono, sottolineando che il mio divieto sarebbe stato
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comunicato alla direzione nazionale degli studenti nazionalsocialisti. Qualche giorno dopo fui
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chiamato al telefono direttamente dal capogruppo delle SA, dr Baumann, dell’ufficio incaricato
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dell’istruzione superiore (che faceva parte della direzione centrale delle SA stesse). Il dr Baumann
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pretendeva che venisse affisso il suddetto manifesto come era già stato fatto in altre Università. In
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caso di rifiuto, avrei rischiato la deposizione se non addirittura la chiusura dell’Ateneo. Rifiutai e
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cercai di fare in modo che il ministro della cultura del Baden appoggiasse il mio divieto. Questi
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rispose che non poteva fare nulla contro le SA. Ciò nonostante, non ritirai il mio divieto.
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Spiegel: Fino ad ora, non si sapeva che le cose fossero andate così.
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Heidegger: Il motivo principale che mi spinse ad assumere il rettorato è già enunciato nella mia
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lezione inaugurale <266> Che cos’è la metafisica?, pronunciata a Friburgo nel 1929; a pagina 8 si
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legge: «Gli ambiti delle scienze giacciono l’uno lontano dall’altro. I modi in cui trattano
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rispettivamente i loro oggetti sono fondamentalmente diversi. Questa sconnessa molteplicità di
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discipline può oggi ottenere un senso di coerenza e di unità soltanto attraverso l’organizzazione
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tecnica delle Università e delle Facoltà e grazie alla finalizzazione pratica delle materie. Il
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radicamento dei saperi scientifici nel loro fondamento essenziale è invece cosa morta». Ciò che
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tentai di fare, nel periodo di tempo in cui restai in carica, rispetto a questo stato in cui si trovano le
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Università – nel frattempo degenerato fino all’estremo – è esposto nel mio Discorso di rettorato.
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Spiegel: Cerchiamo di capire in che modo e in che misura questa sua affermazione del 1929
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corrisponde a ciò che Lei disse nel 1933 nella Sua prolusione rettorale. Stralciamo qui una frase
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dal suo contesto: «La “libertà accademica”, che è stata così tanto cantata, è espulsa
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dall’Università tedesca; infatti, tale libertà non era genuina perché era soltanto negativa».
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Crediamo di poter supporre che questa frase esprima almeno una parte delle concezioni dalle quali
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ancora oggi Lei non si allontana.
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Heidegger: Sì. La penso ancora così. Infatti quella “libertà accademica” era in fondo una libertà
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puramente negativa; la libertà dalla preoccupazione di aprirsi alla riflessione e alla meditazione
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richieste dagli studi scientifici. Del resto la frase da Lei estrapolata non dovrebbe essere letta
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isolatamente, ma all’interno del suo contesto; risulterebbe allora chiaro quello che volevo fare
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intendere, parlando di “libertà negativa”.
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Spiegel: Bene, questo si capisce. Tuttavia crediamo di percepire un tono nuovo nel suo Discorso di
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rettorato, là dove Lei, quattro mesi dopo la nomina di Hitler a cancelliere del Reich, parla della
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«grandezza e magnificenza di questo scardinamento che è anche il cardine di un avvio».
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Heidegger: Sì, e ne ero anche convinto. <267>
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Spiegel: Potrebbe illustrarlo un po’ più diffusamente?
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Heidegger: Volentieri. A quell’epoca, non vedevo altra alternativa. Data la confusione generale
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delle opinioni e delle tendenze politiche rappresentate da trentadue partiti, si trattava di trovare una
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posizione nazionale e soprattutto sociale, qualcosa nel senso del tentativo di Friedrich
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Naumann.(110) Potrei citare qui, tanto per fare un esempio, un saggio di Eduard Spranger(111) che va
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ben oltre il mio Discorso di rettorato.
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Spiegel: Quando ha cominciato ad occuparsi della situazione politica? I trentadue partiti c’erano
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già da parecchio tempo. E nel 1930 i disoccupati erano già milioni.
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Heidegger: A quell’epoca, ero ancora interamente assorbito dai problemi sviluppati in “Essere e
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tempo” (1927) e negli scritti e conferenze che seguirono: questioni fondamentali del pensiero che
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riguardano, mediatamente, anche le questioni nazionali e sociali. Per me, in quanto docente
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dell’Università, si poneva immediatamente la questione del senso dei saperi scientifici e, con essa,
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quella della determinazione del compito dell’Università. Questa preoccupazione è espressa nel
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titolo del mio Discorso di rettorato: «La quadratura in se stessa dell’Università tedesca». Nessuno,
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nei discorsi di rettorato dell’epoca, ha mai azzardato un tale titolo. Ma chi, fra coloro che
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polemizzano contro questo discorso, l’ha letto attentamente, l’ha meditato e interpretato a partire
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dalla situazione dell’epoca?
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Spiegel: Selbstbehauptung der deutschen Universität – Quadratura in se stessa dell’Università
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tedesca – in un mondo così turbolento, questa formula non dà l’impressione di essere un po’ fuori
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luogo?
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Heidegger: Perché mai? La “quadratura dell’Università” va contro la cosiddetta “scienza politica”,
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che già allora s’invocava nel Partito e nelle organizzazioni studentesche nazionalsocialiste. Questa
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espressione, «scienza politica», aveva allora un significato ben diverso da quello odierno; non
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<268> indicava la politologia, ma voleva dire questo: la scienza in quanto tale, il suo senso e il suo
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valore sono stimati in base all’utilità che hanno, di fatto, per il popolo. La posizione contraria a
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questa politicizzazione della scienza(112) viene appunto espressa nel Discorso di rettorato.
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Spiegel: Vediamo se abbiamo capito bene. Rendendo partecipe l’Università di quello che Lei
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allora sentiva come uno “scardinamento avviante”, Lei voleva far sì che l’Università facesse
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quadrato in se stessa contro delle correnti che, altrimenti, avrebbero preso il sopravvento e che
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non le avrebbero più lasciato il suo carattere peculiare.
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Heidegger: Certo. Ma, di fronte all’organizzazione esclusivamente tecnica dell’Università, la sua
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quadratura in se stessa doveva, al tempo stesso, porsi il compito di riguadagnare un senso nuovo a
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partire da una meditazione sulla tradizione del pensiero occidentale europeo.
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Spiegel: Professore, dobbiamo intendere che Lei allora pensava di poter ottenere un risanamento
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dell’Università collaborando con i nazionalsocialisti?
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Heidegger: Questa formulazione non è esatta. Non parlerei di una “collaborazione con i
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nazionalsocialisti”. L’Università doveva rinnovarsi a partire da un inquadramento senziente di sé e
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assumere, in tal modo, una posizione salda di fronte al pericolo della politicizzazione del sapere
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scientifico – nel senso che ho detto prima.
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Spiegel: Proprio per questo, nel suo Discorso di rettorato, ha proclamato questi tre capisaldi:
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“Servizio del lavoro”, “Servizio di difesa”, “Servizio del sapere”. In tal modo, secondo quel che
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Lei pensava allora, il “servizio del sapere” sarebbe stato elevato allo stesso rango degli altri, cioè
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ad una posizione che i nazionalsocialisti non gli avevano concesso?
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Heidegger: [Nel discorso] Non si tratta di “capisaldi”. Se Lei legge attentamente, il servizio del
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sapere, in questa <269> enumerazione, occupa sì il terzo posto, ma, in base al senso, si colloca al
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primo posto. Da meditare resta il fatto che lavoro e difesa, come ogni agire umano, si fondano su un
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sapere e da esso vengono illuminati.
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Spiegel: Tuttavia – e con ciò mettiamo fine a queste fastidiose citazioni – dobbiamo ancora
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riportare una frase che non riusciamo ad immaginare Lei possa sottoscrivere ancora oggi.
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Nell’autunno 1933, Lei ha detto: «Che le regole del vostro essere non siano né formule dottrinali
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né “idee. Il Führer stesso, e lui solo, è la realtà tedesca di oggi, ma è anche la realtà di domani e
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quindi la sua legge.»
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Heidegger: Queste frasi non si trovano nel discorso di rettorato, ma solo nella Freiburger
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Studentenzeitung e furono scritte all’inizio del semestre invernale 1933-1934. Quando assunsi il
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rettorato, avevo ben chiaro che non ce l’avrei fatta senza compromessi. Le frasi citate, oggi non le
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scriverei più. Cose del genere non le dicevo già più nel 1934. Ma, ancora oggi, e oggi più che mai,
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ripeterei il discorso della «quadratura in se stessa dell’Università tedesca», naturalmente senza
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alcun riferimento al nazionalismo. La società ha preso il posto del “popolo”. In ogni caso, il
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discorso oggi sarebbe un parlare al vento, esattamente come allora.
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Spiegel: Possiamo porle un’altra domanda interlocutoria? In questo nostro colloquio, è risultato
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fino ad ora chiaro che il suo comportamento nel 1933 si muoveva fra due poli. Per prima cosa, Lei
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dovette dire certe cose ad usum Delphini. E questo era il primo polo. L’altro polo era invece più
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positivo; Lei lo esprime così: «Avevo la sensazione che lì vi fosse qualcosa di nuovo, che si
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trattasse di uno scardinamento su cui potesse incardinarsi un avvio».
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Heidegger: E’ proprio così.
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Spiegel: Fra questi due poli vi fu – ciò si spiega assolutamente a partire dalla situazione... <270>
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Heidegger: Certo. Ma devo sottolineare che l’espressione ad usum Delphini dice troppo poco.
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Allora, credevo fermamente che nel dibattito dirimente con il nazionalsocialismo si sarebbe potuto
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aprire un nuovo cammino, l’unico cammino ancora possibile verso un rinnovamento.
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Spiegel: Lei sa che, a questo proposito, Le sono stati mossi dei rimproveri riguardo alla sua
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collaborazione col NSDAP e le sue associazioni, rimproveri che, ancora oggi, per il vasto
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pubblico, restano senza risposta. Per esempio, Le è stato rimproverato di aver preso parte a dei
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roghi di libri organizzati dagli studenti o dalla Hitler-Jugend.
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Heidegger: Io ho vietato il rogo di libri che doveva aver luogo davanti all’Università.
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Spiegel: Poi Le è stato rimproverato di aver fatto eliminare libri di autori ebrei dalla biblioteca
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dell’Università e da quella del Seminario filosofico.
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Heidegger: Come direttore del Seminario, potevo disporre solo di quella biblioteca. Non ho ceduto
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alle ripetute pressioni affinché facessi ritirare i libri di autori ebrei. Coloro che parteciparono ai miei
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seminari, possono oggi testimoniare che non solo non furono eliminati i libri di autori ebrei, ma che
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questi autori, soprattutto Husserl, continuarono ad essere citati, trattati e commentati proprio come
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prima del 1933.
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Spiegel: Ne prendiamo atto. Ma come spiega Lei il sorgere di simili voci? Si tratta di malignità?
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Heidegger: Per quel che so della loro provenienza, sarei incline a crederlo; ma i motivi della
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calunnia sono più profondi. L’assunzione dell’incarico di rettore è stato probabilmente solo un
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pretesto, non il motivo determinante. Per questa ragione, probabilmente, la polemica si riaccenderà
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sempre di nuovo ogni volta che vi sarà un pretesto. <271>
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Spiegel: Si dice che i suoi rapporti, senza dubbio non con tutti, ma con alcuni di questi studenti
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ebrei siano stati molto cordiali anche dopo il ’33. E’ così vero?
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Heidegger: Dopo il 1933, il mio atteggiamento è rimasto immutato. Una delle mie prime e più
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dotate allieve, Helene Weiß, più tardi emigrata in Scozia, ha superato il suo esame di dottorato a
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Basilea – quando qui a Friburgo non era più possibile sostenerlo – con un lavoro molto importante
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su Causalità e casualità nella filosofia di Aristotele, stampato a Basilea nel 1942. Alla fine della
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premessa l’autrice scrive: «Il saggio d’interpretazione fenomenologica, che presentiamo qui nella
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sua prima parte, è stato possibile grazie alle interpretazioni ancora inedite della filosofia greca di
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Martin Heidegger.» Ecco qui un esemplare con dedica inviatomi dall’autrice nel 1948. Ho fatto
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visita molte volte alla dottoressa Weiß a Basilea, fino a poco prima che morisse.
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Spiegel: Lei è stato amico di Jaspers per molto tempo. Tuttavia, dopo il ‘33, il rapporto di amicizia
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cominciò a incrinarsi. Molti attribuiscono questa rottura al fatto che la moglie di Jaspers fosse
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ebrea. Vuole dire qualcosa in proposito?
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Heidegger: Ciò che Lei qui riferisce è una menzogna. Fui in amicizia con Karl Jaspers fin dal 1919.
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Ho fatto visita a lui e a sua moglie nel semestre estivo del 1933, in occasione di una conferenza
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tenuta ad Heidelberg. Karl Jaspers mi ha spedito tutte le sue pubblicazioni degli anni tra il 1934 e il
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1938 «con [i suoi] cordiali saluti». Ecco qui gli scritti.
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Spiegel: E’ vero c’è scritto «con cordiali saluti». Certo, i saluti non sarebbero stati affatto
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“cordiali” se prima ci fosse stato un urto o un offuscamento dei rapporti. Un’altra domanda dello
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stesso genere: Lei è stato allievo del suo predecessore ebreo alla cattedra di filosofia
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dell’Università di Friburgo, Edmund Husserl. Fu lui a raccomandarLa alla Facoltà come proprio
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successore nell’ordinariato. Il Suo rapporto con lui deve <272> necessariamente essere stato
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improntato alla gratitudine e alla riconoscenza.
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Heidegger: Lei conosce certamente la dedica di Essere e tempo.
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Spiegel: Naturalmente.
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Heidegger: Nel 1929, sono stato curatore degli scritti per i suoi settant’anni, e, durante la festa, a
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casa sua, ho pronunciato il discorso riprodotto nel bollettino dell’Università dello stesso mese
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(maggio 1929).
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Spiegel: E ciononostante i vostri rapporti si offuscarono. Lei oggi può e vuole dirci a cosa ciò fu
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dovuto?
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Heidegger: Le differenze riguardo al fondamento stesso delle questioni si accentuarono. All’inizio
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degli anni ’30, Husserl liquidò pubblicamente me e Max Scheler, e in un modo che non poteva
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essere più chiaro. Che cosa avesse spinto Husserl a prendere così pubblicamente una posizione
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contro il mio pensiero non sono mai riuscito mai a saperlo.
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Spiegel: In che occasione accadde?

Versione delle 17:20, 16 feb 2011

Martin Heidegger intervistato dallo Spiegel


Martin Heidegger intervistato dallo Spiegel (107) Spiegel: Professor Heidegger, abbiamo sempre constatato che, sulla sua opera filosofica, grava un’ombra, a causa di avvenimenti della sua vita che non hanno avuto una lunga durata e che non sono mai stati veramente chiariti, sia perché Lei era troppo orgoglioso per farlo, sia perché non ha mai ritenuto opportuno esprimersi al riguardo. Heidegger: Sta parlando del 1933? Spiegel: Sì, prima e dopo. Vorremmo porre la cosa in un contesto più ampio e da lì giungere ad alcune questioni che sembrano importanti, per esempio: che possibilità c’è, a partire dalla filosofia, di agire sulla realtà, anche sulla realtà politica? Esiste ancora una tale possibilità? E, se sì, qual è? Heidegger: Sono davvero delle questioni importanti; mi chiedo se riuscirò a rispondere a tutte. Ma, prima di ogni cosa, devo dire che, negli anni precedenti al mio rettorato, non svolsi mai attività politica. Durante il semestre invernale 1932/33, ero in congedo, e, per la maggior parte del tempo, rimasi nella mia baita. Spiegel: Com’è accaduto allora che Lei sia diventato rettore dell’Università di Friburgo? Heidegger: Nel dicembre 1932, il mio vicino, von Möllendorff, ordinario di anatomia, era stato eletto rettore. Nella <264> nostra Università, il nuovo rettore entra in carica il 15 aprile. Durante il semestre invernale 1932/33, parlammo spesso della situazione, non solo di quella politica, ma in particolare di quella delle Università e di quella, per certi versi senza speranza, degli studenti. Il mio parere era questo: per quanto io sia in grado di valutare le cose, resta, come unica possibilità, quella di tentare, con le forze costruttive ancora veramente vive, di cogliere l’elemento promettente dell’odierna evoluzione. Spiegel: Lei dunque vedeva una relazione fra la situazione dell’Università tedesca e la situazione politica generale in Germania? Heidegger: Seguii gli avvenimenti politici fra il gennaio e il marzo 1933; in quell’occasione, ne parlai anche con dei colleghi più giovani. Ma il mio lavoro, allora, era dedicato ad un’ampia interpretazione del pensiero presocratico. All’inizio del semestre estivo, feci ritorno a Friburgo. Nel frattempo, il 15 aprile, il professor von Möllendorff aveva assunto la carica di rettore. Ma, già due settimane più tardi, il ministro della cultura del Baden, Wacker, lo aveva sollevato dall’incarico. Il pretesto per questa decisione, sicuramente benvenuto, fu fornito dal divieto, emanato dal rettore, di affiggere, in Università, il c.d. “manifesto sugli Ebrei”.(108) Spiegel: Von Möllendorff era un socialdemocratico. Cosa fece dopo essere stato sollevato dall’incarico di rettore? Heidegger: Il giorno stesso della sua destituzione, von Möllendorff venne da me e mi disse: «Heidegger, ora è Lei che deve assumere il rettorato». Gli feci notare che mi mancava ogni esperienza in campo amministrativo. L’allora prorettore Sauer (teologo) fece anch’egli pressioni affinché mi candidassi alle elezioni del nuovo rettore; sembrava infatti vi fosse il pericolo che, altrimenti, potesse essere nominato rettore un funzionario. Alcuni colleghi più giovani, con i quali, già da parecchi anni, discutevo di questioni riguardanti <265> l’organizzazione dell’Università, fecero di tutto per convincermi ad assumere il rettorato. Esitai a lungo. Alla fine, mi dichiarai disposto ad assumere la carica unicamente nell’interesse dell’Università, qualora avessi potuto essere certo dell’unanime approvazione del Plenum. Intanto i dubbi riguardo alla mia idoneità al rettorato restarono, sicché, ancora la mattina del giorno fissato per le elezioni, mi recai in rettorato e dichiarai a von Möllendorff e al prorettore Sauer che non potevo assumere l’incarico. A ciò i miei due colleghi risposero che l’elezione era stata preparata in modo che ora non potevo più ritirare la mia candidatura. Spiegel: A questo punto, Lei si dichiarò definitivamente disponibile ad accettare l’incarico. Che forma assunse allora il suo rapporto coi nazionalsocialisti? Heidegger: Due giorni dopo il mio insediamento, il “capo degli studenti nazionalsocialisti” venne in rettorato con due compagni pretendendo nuovamente che venisse affisso il “manifesto sugli ebrei”.(109) Rifiutai. I tre studenti se ne andarono, sottolineando che il mio divieto sarebbe stato comunicato alla direzione nazionale degli studenti nazionalsocialisti. Qualche giorno dopo fui chiamato al telefono direttamente dal capogruppo delle SA, dr Baumann, dell’ufficio incaricato dell’istruzione superiore (che faceva parte della direzione centrale delle SA stesse). Il dr Baumann pretendeva che venisse affisso il suddetto manifesto come era già stato fatto in altre Università. In caso di rifiuto, avrei rischiato la deposizione se non addirittura la chiusura dell’Ateneo. Rifiutai e cercai di fare in modo che il ministro della cultura del Baden appoggiasse il mio divieto. Questi rispose che non poteva fare nulla contro le SA. Ciò nonostante, non ritirai il mio divieto. Spiegel: Fino ad ora, non si sapeva che le cose fossero andate così. Heidegger: Il motivo principale che mi spinse ad assumere il rettorato è già enunciato nella mia lezione inaugurale <266> Che cos’è la metafisica?, pronunciata a Friburgo nel 1929; a pagina 8 si legge: «Gli ambiti delle scienze giacciono l’uno lontano dall’altro. I modi in cui trattano rispettivamente i loro oggetti sono fondamentalmente diversi. Questa sconnessa molteplicità di discipline può oggi ottenere un senso di coerenza e di unità soltanto attraverso l’organizzazione tecnica delle Università e delle Facoltà e grazie alla finalizzazione pratica delle materie. Il radicamento dei saperi scientifici nel loro fondamento essenziale è invece cosa morta». Ciò che tentai di fare, nel periodo di tempo in cui restai in carica, rispetto a questo stato in cui si trovano le Università – nel frattempo degenerato fino all’estremo – è esposto nel mio Discorso di rettorato. Spiegel: Cerchiamo di capire in che modo e in che misura questa sua affermazione del 1929 corrisponde a ciò che Lei disse nel 1933 nella Sua prolusione rettorale. Stralciamo qui una frase dal suo contesto: «La “libertà accademica”, che è stata così tanto cantata, è espulsa dall’Università tedesca; infatti, tale libertà non era genuina perché era soltanto negativa». Crediamo di poter supporre che questa frase esprima almeno una parte delle concezioni dalle quali ancora oggi Lei non si allontana. Heidegger: Sì. La penso ancora così. Infatti quella “libertà accademica” era in fondo una libertà puramente negativa; la libertà dalla preoccupazione di aprirsi alla riflessione e alla meditazione richieste dagli studi scientifici. Del resto la frase da Lei estrapolata non dovrebbe essere letta isolatamente, ma all’interno del suo contesto; risulterebbe allora chiaro quello che volevo fare intendere, parlando di “libertà negativa”. Spiegel: Bene, questo si capisce. Tuttavia crediamo di percepire un tono nuovo nel suo Discorso di rettorato, là dove Lei, quattro mesi dopo la nomina di Hitler a cancelliere del Reich, parla della «grandezza e magnificenza di questo scardinamento che è anche il cardine di un avvio». Heidegger: Sì, e ne ero anche convinto. <267> Spiegel: Potrebbe illustrarlo un po’ più diffusamente? Heidegger: Volentieri. A quell’epoca, non vedevo altra alternativa. Data la confusione generale delle opinioni e delle tendenze politiche rappresentate da trentadue partiti, si trattava di trovare una posizione nazionale e soprattutto sociale, qualcosa nel senso del tentativo di Friedrich Naumann.(110) Potrei citare qui, tanto per fare un esempio, un saggio di Eduard Spranger(111) che va ben oltre il mio Discorso di rettorato. Spiegel: Quando ha cominciato ad occuparsi della situazione politica? I trentadue partiti c’erano già da parecchio tempo. E nel 1930 i disoccupati erano già milioni. Heidegger: A quell’epoca, ero ancora interamente assorbito dai problemi sviluppati in “Essere e tempo” (1927) e negli scritti e conferenze che seguirono: questioni fondamentali del pensiero che riguardano, mediatamente, anche le questioni nazionali e sociali. Per me, in quanto docente dell’Università, si poneva immediatamente la questione del senso dei saperi scientifici e, con essa, quella della determinazione del compito dell’Università. Questa preoccupazione è espressa nel titolo del mio Discorso di rettorato: «La quadratura in se stessa dell’Università tedesca». Nessuno, nei discorsi di rettorato dell’epoca, ha mai azzardato un tale titolo. Ma chi, fra coloro che polemizzano contro questo discorso, l’ha letto attentamente, l’ha meditato e interpretato a partire dalla situazione dell’epoca? Spiegel: Selbstbehauptung der deutschen Universität – Quadratura in se stessa dell’Università tedesca – in un mondo così turbolento, questa formula non dà l’impressione di essere un po’ fuori luogo? Heidegger: Perché mai? La “quadratura dell’Università” va contro la cosiddetta “scienza politica”, che già allora s’invocava nel Partito e nelle organizzazioni studentesche nazionalsocialiste. Questa espressione, «scienza politica», aveva allora un significato ben diverso da quello odierno; non <268> indicava la politologia, ma voleva dire questo: la scienza in quanto tale, il suo senso e il suo valore sono stimati in base all’utilità che hanno, di fatto, per il popolo. La posizione contraria a questa politicizzazione della scienza(112) viene appunto espressa nel Discorso di rettorato. Spiegel: Vediamo se abbiamo capito bene. Rendendo partecipe l’Università di quello che Lei allora sentiva come uno “scardinamento avviante”, Lei voleva far sì che l’Università facesse quadrato in se stessa contro delle correnti che, altrimenti, avrebbero preso il sopravvento e che non le avrebbero più lasciato il suo carattere peculiare. Heidegger: Certo. Ma, di fronte all’organizzazione esclusivamente tecnica dell’Università, la sua quadratura in se stessa doveva, al tempo stesso, porsi il compito di riguadagnare un senso nuovo a partire da una meditazione sulla tradizione del pensiero occidentale europeo. Spiegel: Professore, dobbiamo intendere che Lei allora pensava di poter ottenere un risanamento dell’Università collaborando con i nazionalsocialisti? Heidegger: Questa formulazione non è esatta. Non parlerei di una “collaborazione con i nazionalsocialisti”. L’Università doveva rinnovarsi a partire da un inquadramento senziente di sé e assumere, in tal modo, una posizione salda di fronte al pericolo della politicizzazione del sapere scientifico – nel senso che ho detto prima. Spiegel: Proprio per questo, nel suo Discorso di rettorato, ha proclamato questi tre capisaldi: “Servizio del lavoro”, “Servizio di difesa”, “Servizio del sapere”. In tal modo, secondo quel che Lei pensava allora, il “servizio del sapere” sarebbe stato elevato allo stesso rango degli altri, cioè ad una posizione che i nazionalsocialisti non gli avevano concesso? Heidegger: [Nel discorso] Non si tratta di “capisaldi”. Se Lei legge attentamente, il servizio del sapere, in questa <269> enumerazione, occupa sì il terzo posto, ma, in base al senso, si colloca al primo posto. Da meditare resta il fatto che lavoro e difesa, come ogni agire umano, si fondano su un sapere e da esso vengono illuminati. Spiegel: Tuttavia – e con ciò mettiamo fine a queste fastidiose citazioni – dobbiamo ancora riportare una frase che non riusciamo ad immaginare Lei possa sottoscrivere ancora oggi. Nell’autunno 1933, Lei ha detto: «Che le regole del vostro essere non siano né formule dottrinali né “idee. Il Führer stesso, e lui solo, è la realtà tedesca di oggi, ma è anche la realtà di domani e quindi la sua legge.» Heidegger: Queste frasi non si trovano nel discorso di rettorato, ma solo nella Freiburger Studentenzeitung e furono scritte all’inizio del semestre invernale 1933-1934. Quando assunsi il rettorato, avevo ben chiaro che non ce l’avrei fatta senza compromessi. Le frasi citate, oggi non le scriverei più. Cose del genere non le dicevo già più nel 1934. Ma, ancora oggi, e oggi più che mai, ripeterei il discorso della «quadratura in se stessa dell’Università tedesca», naturalmente senza alcun riferimento al nazionalismo. La società ha preso il posto del “popolo”. In ogni caso, il discorso oggi sarebbe un parlare al vento, esattamente come allora. Spiegel: Possiamo porle un’altra domanda interlocutoria? In questo nostro colloquio, è risultato fino ad ora chiaro che il suo comportamento nel 1933 si muoveva fra due poli. Per prima cosa, Lei dovette dire certe cose ad usum Delphini. E questo era il primo polo. L’altro polo era invece più positivo; Lei lo esprime così: «Avevo la sensazione che lì vi fosse qualcosa di nuovo, che si trattasse di uno scardinamento su cui potesse incardinarsi un avvio». Heidegger: E’ proprio così. Spiegel: Fra questi due poli vi fu – ciò si spiega assolutamente a partire dalla situazione... <270> Heidegger: Certo. Ma devo sottolineare che l’espressione ad usum Delphini dice troppo poco. Allora, credevo fermamente che nel dibattito dirimente con il nazionalsocialismo si sarebbe potuto aprire un nuovo cammino, l’unico cammino ancora possibile verso un rinnovamento. Spiegel: Lei sa che, a questo proposito, Le sono stati mossi dei rimproveri riguardo alla sua collaborazione col NSDAP e le sue associazioni, rimproveri che, ancora oggi, per il vasto pubblico, restano senza risposta. Per esempio, Le è stato rimproverato di aver preso parte a dei roghi di libri organizzati dagli studenti o dalla Hitler-Jugend. Heidegger: Io ho vietato il rogo di libri che doveva aver luogo davanti all’Università. Spiegel: Poi Le è stato rimproverato di aver fatto eliminare libri di autori ebrei dalla biblioteca dell’Università e da quella del Seminario filosofico. Heidegger: Come direttore del Seminario, potevo disporre solo di quella biblioteca. Non ho ceduto alle ripetute pressioni affinché facessi ritirare i libri di autori ebrei. Coloro che parteciparono ai miei seminari, possono oggi testimoniare che non solo non furono eliminati i libri di autori ebrei, ma che questi autori, soprattutto Husserl, continuarono ad essere citati, trattati e commentati proprio come prima del 1933. Spiegel: Ne prendiamo atto. Ma come spiega Lei il sorgere di simili voci? Si tratta di malignità? Heidegger: Per quel che so della loro provenienza, sarei incline a crederlo; ma i motivi della calunnia sono più profondi. L’assunzione dell’incarico di rettore è stato probabilmente solo un pretesto, non il motivo determinante. Per questa ragione, probabilmente, la polemica si riaccenderà sempre di nuovo ogni volta che vi sarà un pretesto. <271> Spiegel: Si dice che i suoi rapporti, senza dubbio non con tutti, ma con alcuni di questi studenti ebrei siano stati molto cordiali anche dopo il ’33. E’ così vero? Heidegger: Dopo il 1933, il mio atteggiamento è rimasto immutato. Una delle mie prime e più dotate allieve, Helene Weiß, più tardi emigrata in Scozia, ha superato il suo esame di dottorato a Basilea – quando qui a Friburgo non era più possibile sostenerlo – con un lavoro molto importante su Causalità e casualità nella filosofia di Aristotele, stampato a Basilea nel 1942. Alla fine della premessa l’autrice scrive: «Il saggio d’interpretazione fenomenologica, che presentiamo qui nella sua prima parte, è stato possibile grazie alle interpretazioni ancora inedite della filosofia greca di Martin Heidegger.» Ecco qui un esemplare con dedica inviatomi dall’autrice nel 1948. Ho fatto visita molte volte alla dottoressa Weiß a Basilea, fino a poco prima che morisse. Spiegel: Lei è stato amico di Jaspers per molto tempo. Tuttavia, dopo il ‘33, il rapporto di amicizia cominciò a incrinarsi. Molti attribuiscono questa rottura al fatto che la moglie di Jaspers fosse ebrea. Vuole dire qualcosa in proposito? Heidegger: Ciò che Lei qui riferisce è una menzogna. Fui in amicizia con Karl Jaspers fin dal 1919. Ho fatto visita a lui e a sua moglie nel semestre estivo del 1933, in occasione di una conferenza tenuta ad Heidelberg. Karl Jaspers mi ha spedito tutte le sue pubblicazioni degli anni tra il 1934 e il 1938 «con [i suoi] cordiali saluti». Ecco qui gli scritti. Spiegel: E’ vero c’è scritto «con cordiali saluti». Certo, i saluti non sarebbero stati affatto “cordiali” se prima ci fosse stato un urto o un offuscamento dei rapporti. Un’altra domanda dello stesso genere: Lei è stato allievo del suo predecessore ebreo alla cattedra di filosofia dell’Università di Friburgo, Edmund Husserl. Fu lui a raccomandarLa alla Facoltà come proprio successore nell’ordinariato. Il Suo rapporto con lui deve <272> necessariamente essere stato improntato alla gratitudine e alla riconoscenza. Heidegger: Lei conosce certamente la dedica di Essere e tempo. Spiegel: Naturalmente. Heidegger: Nel 1929, sono stato curatore degli scritti per i suoi settant’anni, e, durante la festa, a casa sua, ho pronunciato il discorso riprodotto nel bollettino dell’Università dello stesso mese (maggio 1929). Spiegel: E ciononostante i vostri rapporti si offuscarono. Lei oggi può e vuole dirci a cosa ciò fu dovuto? Heidegger: Le differenze riguardo al fondamento stesso delle questioni si accentuarono. All’inizio degli anni ’30, Husserl liquidò pubblicamente me e Max Scheler, e in un modo che non poteva essere più chiaro. Che cosa avesse spinto Husserl a prendere così pubblicamente una posizione contro il mio pensiero non sono mai riuscito mai a saperlo. Spiegel: In che occasione accadde?