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Indice
Quell’Heidegger non è da buttare
DISPUTE
Corriere della Sera, 16 luglio 2006
Pierluigi Panza
Una «H» con i baffetti sta dividendo l’Europa: il suo nome non è Hitler ma Heidegger. Francia e Germania si affrontano, l’Italia media.
Dopo lo storico libro di Victor Farias del 1987, Heidegger et le nazisme, lo scorso autunno l’editore francese Albin Michel ha pubblicato l’ancor più radicale testo di Emmanuel Faye, Heidegger, l’introduction du nazisme dans la philosophie, dove si ricorda che ancora nel ‘38 il filosofo sosteneva politiche di annientamento degli ebrei e che si conclude invitando a liberarsi di lui «per evitare che il nazismo continui a propagarsi attraverso gli scritti di Heidegger».
La risposta tedesca, pur indiretta, appare esplicita: in occasione del trentennale della scomparsa ha inserito come obbligatorio lo studio delle opere di Heidegger nel programma per l’abilitazione all’insegnamento della filosofia nella sezione 2006.
La controrisposta francese è arrivata su Le Point della scorsa settimana con La double face de Heidegger nel quale, Roger-Pol Droit - pur considerando una pluralità di posizioni - lascia intendere che ci furono compromissioni profonde e durature a partire dalla «professione di fede» del ‘33.
E l’Italia? La posizione è di mediazione. Bruno Gravagnuolo su l’Unità (recensendo il libro intervista L’ultimo sciamano a cura di Antonio Gnoli e Franco Volpi) parla di una compromissione «indubitabile», lasciando intendere che ciò non annulla la validità del suo pensiero. Anche Marco Filoni, su il Riformista, è sulla stessa linea e ricorda che il filosofo ebreo Eric Weil invitava alla lettura del Mein Kampf. Insomma: sopravvalutato sì ma non da cancellare. Come dire: con l’acqua sporca non buttiamo anche Essere e tempo.
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