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Da Libro bianco.

Il maestro e la ninfa silvestre

Arriva in Italia il carteggio tra Heidegger e la Arendt. Le lettere testimoniano l'amore impossibile tra il discusso filosofo tedesco e la brillante studentessa ebrea. Un rapporto tra opposti, che scorre sul filo di una profonda passione intellettuale (e fisica)

Il professore si compiaceva di avere per sé il "folletto scatenato", che portava "tra i capelli un sogno fiorito". Poi la rimbrottava: "Voi giovani". E lei rispondeva: "Se Dio vorrà ti amerò di più dopo la morte."


Il Giornale, 25 novembre 2001


Alessandra Iadicicco


Presi separatamente, basterebbero ad attirare l'attenzione dei non addetti ai lavori, come dimostrano le numerose biografie dedicate a entrambi. Lei, la filosofa che era nata a Königsberg come Kant, l'ebrea che si era identificata nell'eroina romantica Rahel Varmhagen, l'intellettuale che a New York fumava sigari e rifletteva sulle Origini del totalitarismo. Lui, lo studioso che tradì presto i suoi maestri e gettò scompiglio nel mondo accademico rivoluzionando la scena filosofica novecentesca, il professore che si lasciò investire da una folata dello spirito del tempo e si accese di entusiasmo per la causa del Reich, l'eremita di Todtnauberg che finì i suoi giorni in solitudine meditando le parole dei poeti dal cuore della Foresta Nera. In più, si innamorarono l'uno dell'altra. I segni uguali e contrari che li presentavano come due opposti, tanto perché l'azione fosse irresistibile e fatale, c'erano tutti. Lei una figlia di Israele, lui il critico della "giudeizzazione dello spirito tedesco". Lei militante tra le file dei sionisti, lui il rettore di un'università nazista. Lei intellettuale engagé, votata alla vita attiva. Lui, a parte l'errore politico (la Dummheit, la "sciocchezza" come la definì in vecchiaia) del 1933, estraneo a qualsiasi impegno politico. Lontanissimi per origine, destino, stile di pensiero, Hannah Arendt e Martin Heidegger si amarono per oltre mezzo secolo. Di loro si è parlato come della seconda coppia filosofica del Novecento dopo Jean Paud Sartre e Simone de Beauvoir. In realtà non furono mai una coppia: il ménage, avviato quando Hannah, diciottenne seguiva i corsi del filosofo a Marburgo, era fatto di appuntamenti nascosti, sotterfugi, intese segrete. E di fascinazione teoretica, dipendenza intellettuale ed emotiva, soggezione al maestro. Tutto cominciò nel febbraio del 1924. Fu allora che Heidegger si decise a invitare nel suo studio la studentessa che aveva notato dall'inizio del semestre. E Hannah era un tipo che si faceva notare. Giovanissima, elegantissima, vestiva alla moda e portava i capelli alla maschietta. Era arrivata all'ateneo marburghese determinata a studiare filosofia con il già celebre professor Heidegger. Pur timida, era entrata in scena con una gran consapevolezza di sé. Si distinse subito per le doti speculative, per intensità, accanimento, intuizione teoretica. La cosa che però colpiva subito di lei era la forza suggestiva dei suoi occhi. "Luminosi, splendenti, sognanti. O profondi, scuri, assenti. C'era qualcosa di impenetrabile in Hannah che sembrava stare nel fondo di questi occhi", raccontava di lei l'amica scrittrice Mary McCarty. Anche il professor Heidegger fu sedotto da quegli occhi. Per due mesi incrociarono i suoi mentre parlava dalla cattedra. Anche lui però deve aver sfoderato tutto il magnetismo che sapeva di possedere. All'epoca trentacinquenne non aveva ancora l'aspetto del montanaro tracagnotto e vagamente nazi con cui appare nelle fotografie della maturità. Era un uomo piccolo, sì, ma fascinoso. Piaceva alle donne, per la gelosia della devotissima consorte, Elfride Petri. E sapeva di piacere. Con una certa sicurezza, convocò a colloquio la giovane alleva. Lei, così la descrive Heidegger, si presentò avvolta "in un impermeabile, il cappello calcato fin sopra i grandi occhi quieti", e rispondeva a monosillabi "a tutte le domande". Qualche giorno dopo le scrisse la prima lettera. "Cara signorina Hannah", iniziava, con rispettosa distanza. "Vorrei appropriarmi nel mio lavoro della purezza della sua essenza. Gioisca, lei che è la bontà in persona. Suo M.H.", concludeva. Dieci giorni dopo le riscriveva con tono più confidenziale, "Cara Hannah", la salutava. "Tuo M.", si firmava. Divennero presto amanti. Fu Heidegger a dettare le regole della relazione. Lei stette al gioco. Bisognava mantenere il segreto: studenti e colleghi non dovevano saperne nulla. Heidegger le inviava messaggi da distruggere immediatamente,("Distruggi questo biglietto"), indicava luogo e ora dell'appuntamento con segnali convenuti ("Se nella mia camera la luce è spenta, allora suona. Se la luce è accesa in camera mia, sono in casa"). In questa prima fase il carteggio degli amanti è unilaterale, a senso unico. "Cara Hannah", "Mia cara Hannah". Lei tace, le sue risposte non sono tra i documenti del lascito heideggeriano. Hannah è però protagonista assoluta delle lettere. Confidente privilegiata del professore che le parla degli autunni montani e delle primavere friburghesi, del maggio e dei lillà, degli inni di Hölderlin e dei versi di George. E poi, troppo filosoficamente (ma lei doveva esserne persuasa, e del tutto incantata) dell'esser-donna, del sempre-soltanto-donarsi femminile, di una pura dedizione di fanciulla. E la dedizione di Hannah, era per Martin una gioia, da cui non dovevano però derivare altre responsabilità. Diciassette anni più grande di lei, padre di due figli, marito di una donna ambiziosa che teneva molto alla reputazione della famiglia, Heidegger si compiaceva di avere per sé, il "folletto scatenato", la "ninfa silvestre", la fanciulla che portava "tra i capelli un sogno fiorito e lo slancio delle montagne sulla fronte". Inequivocabilmente però le si rivolgeva con un "voi giovani", comprendendo la creatura desiderata in un gruppo da cui si autoescludeva. Un'altra era la donna che gli sarebbe stata accanto. Hannah ebbe altre storie, ma il professore lasciava fare. Conosceva il potere che esercitava su di lei. Finché lui decise di troncare il rapporto, nel 1928, e lei ne fu distrutta. "Ti amo come il primogiorno" gli scrisse, "E se Dio vorrà ti amerò di più dopo la morte". Gli eventi, però, l'avrebbero costretta a rifiutare la passione per Heidegger. Nel 1933 assistette incredula alla trasformazione del maestro in un "uomo del sistema". Prima di emigrare a Parigi gli scrisse per chiedergli se davvero "non aiutava i colleghi ebrei, rifiutava i laureandi ebrei". Lui rispose infuriato ("dicerie, calunnie!") con l'ultima lettera prima degli anni Cinquanta. Da allora le strade dei due amanti si separarono. Hannah prese coscienza della propria etnia, si adoperò per il trasferimento degli ebrei in Palestina, nel 1941 emigrò negli Usa. Solo la fine della guerra l'avrebbe riportata in Europa. Seppe (da Jaspers) delle vicissitudini del maestro: il processo per collaborazionismo, la privazione della cattedra, della pensione, della biblioteca personale. Le notizie sull'antico amante bastarono a resuscitare il passato. Nel 1950, a Friburgo per un congresso l'avrebbe rivisto. Lui le lasciò una lettera all'hotel dove alloggiava: "Sarebbe bello se lei potesse venire da me stasera alle otto". Era la rinascita dell'amore. Fu però ancora lui a porre le condizioni: Hannah doveva diventare amica della moglie, gli incontri, più platonici, dovevano avvenire a tre. E' inverosimile, eppure la Arendt, ormai intellettuale di fama, acconsentì all'ambiguo ménage a trois. Le due donne, oltretutto, non si piacevano affatto. Elfride era rigida, severa, oltre che fieramente antisemita. E non sopportava il fumo dei sigari di Hannah. Hannah considerava Frau Heidegger "una donna mortalmente stupida", come scrisse al marito Heinrich Blücher. Heidegger non volle vedere queste difficoltà. Continuò a scrivere lettere tenere alla Arendt, le inviava poesie, fiori impaginati. E allegava sempre i "cordiali saluti" di Elfride. La liaison semiufficiale sarebbe continuata fino alla fine, sublimata nella corrispondenza filosofica, allentata dalla distanza e dalla rarità degli incontri. Fino al 1975, l'anno in cui la Arendt morì (il 4 dicembre). Di lì al 26 maggio del '76 Heidegger avrebbe dovuto aspettare la morte solo pochi mesi.



Voci utilizzate nell'articolo

Foresta nera

Il nazismo di Elfride

Ménage à trois

Entusiasmo

Fascinazione

Colleghi e studenti ebrei


Metodi applicati

Aggettivo squalificativo

Onniscienza biografica


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