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Da Libro bianco.

Su Heidegger l'ombra dei nazi

Avvenire, 14 agosto 2005


Andrea Galli


Nell'agosto del 1933, Martin Heidegger, fresco di nomina a rettore dell'Università di Friburgo, tenne un discorso all'Istituto di anatomia patologica della stessa città. Ai medici riuniti per ascoltarlo, il filosofo - che in quei mesi il quotidiano nazista Der Alemanne definiva «uno dei più efficaci sostenitori, da anni, del partito di Adolf Hitler» - cercò di spiegare come nella Weltanschauung del nuovo regime i concetti di salute e malattia fossero da declinare in modo diverso rispetto alla tradizione: non erano più da riferire alle capacità fisiche del singolo, ma alla funzionalità del singolo rispetto allo Stato nazionalsocialista. «In nessun tempo l'essenza della salute è stata definita allo stesso modo», argomentava Heidegger]]. «Per i greci, ad esempio, "sano" significava né più né meno che l'essere forte e pronto all'azione nell'ambito dello Stato. La medicina non era autorizzata ad occuparsi di chi non soddisfaceva più alle condizioni di tale azione, anche in caso di "malattia"». Il che, per Heidegger, era uno dei punti da cui partire per comprendere l'eugenetica del Terzo Reich. «Un popolo e un'epoca danno a se stessi una legislazione su chi è sano e chi malato in funzione della propria grandezza interiore e dell'ampiezza di comprensione della proprio esserci (Dasein). Il popolo tedesco sta ritrovando la propria essenza e rendendosi degno del proprio grande destino. Adolf Hitler, il nostro grande Führer e Cancelliere, ha creato con la rivoluzione nazionalsocialista uno Stato nuovo, per mezzo del quale il popolo tedesco può essere sicuro della durata e della stabilità della propria storia [...] ogni popolo ha la garanzia della sua autenticità e grandezza nel suo sangue, nella sua terra e nella sua crescita fisica. Se questo bene va perso, o diminuisce considerevolmente, ogni sforzo politico da parte dello Stato, ogni capacità tecnica ed economica, ogni azione spirituale rimane nel lungo termine inutile e senza scopo». Col che Heidegger faceva propria la prospettiva hitleriana secondo cui politica ed economia dipendono in ultima istanza dalla «salute del popolo», intesa in senso strettamente razziale. Come ribadì in un seminario dell'inverno '33-'34, sottolineando che l'espressione «salute del popolo» (Volksgesundheit) era da intendersi esclusivamente nel senso di «rapporto tra sangue e suolo, come unità della razza».

Heidegger, del resto, non solo motivò filosoficamente l'eugenetica nazista, ma si attivò per la sua diffusione: sempre da rettore diede inizio al corso di «teoria della razza», sollecitando l'assegnazione a Friburgo di una cattedra da ordinario in materia. Il 13 aprile 1934, pochi giorni prima che le sue dimissioni da rettore avessero effetto, Heidegger scrisse al Ministero dell'Istruzione del Baden, facendo presente che la sua richiesta datava ormai da diversi mesi. A dire il vero il Nostro aveva già trovato un possibile candidato, il presidente dell'Associazione di medicina nazionalsocialista del Baden. Ma la sua lettera portò a una soluzione più sostanziosa: di lì a poco fu nominato come docente Heinz Riedel, già direttore dell'ufficio della razza delle SS di Friburgo e protetto di Eugen Fischer, grande dottore di questioni razziali del Reich, direttore a Berlino del famigerato Kaiser Wilhelm Institut, dove si formò Josef Mengele. Probabilmente la nomina non fu casuale: Fischer era legato a Heidegger da stima e amicizia, tanto che nel 1944 intervenì personalmente presso i vertici del regime per evitare all'autore di «Essere e tempo» la coscrizione militare. Premura ricambiata da Heidegger, che continuò a scrivere e a rendere visita a Fischer anche dopo la guerra.

I due episodi qui riportati sono estratti dalla mole di dati e fatti che Emmanuel Faye, docente di filosofia all'Università di Parigi X-Nanterre, ha raccolto nelle oltre 500 pagine del suo Heidegger, l'introduction du nazisme dans la philosophie, libro uscito lo scorso marzo in Francia e che da mesi alimenta un ribollio di dibattiti. La querelle non è nuova: è iniziata, com'è noto, nel 1987, quando il cileno Victor Farías ha posto per la prima volta in modo chiaro e argomentato il problema dei rapporti fra Heidegger e il mondo hitleriano, ed è continuata negli anni successivi ad opera di studiosi che hanno gettato altra legna sul fuoco. Il lavoro di Faye dà un contributo, però, del tutto speciale. In parte per la sintesi degli approfondimenti usciti sul tema dall'87 a oggi, disseminati spesso su riviste poco accessibili. Ma soprattutto per la disamina degli ultimi volumi dell'opera omnia heideggeriana, in particolare dei seminari dal '33 al '35 e di altri documenti inediti. Un materiale che ha permesso allo studioso francese puntualizzazioni poco prevedibili. Per esempio sulla bioetica heideggeriana, imperniata su un'idea di selezione della razza «metafisicamente necessaria», critica anche del darwinismo, giudicato troppo "liberale" e incapace di cogliere il fondamento spirituale della razza stessa, il sacro legame tra sangue e suolo. Un'idea di selezione e purificazione razziale che Heidegger condivise, tra gli altri, con Ernst Rothacker, uno dei più noti teorici del Blut und Boden nazista, rettore dell'Università di Bonn e sodale di Goebbels.

Sulle delazioni nei confronti di colleghi ebrei o semplicemente sgraditi, come il neo-kantiano Richard Hönigswald, che su consiglio riservato di Heidegger al Ministero della cultura bavarese, in una lettera del 25 giugno 1933, fu allontanato dall'Università di Monaco. Hönigswald a cui Heidegger probabilmente pensò quando, qualche mese dopo, in una missiva ad Elizabeth Blochmann scrisse: «Parallelamente si prospetta Monaco; è vacante una cattedra di professore ordinario. Con il vantaggio di un ampio raggio d'azione, di non essere così appartata come Friburgo, della possibilità di avvicinare Hitler». Sui roghi di libri «inquinanti», come quello organizzato la notte del solstizio d'estate del 1933 presso l'Università di Friburgo, dove ad arringare i presenti fu appunto Martin Heidegger.

Sull'antisemitismo: se già nel 1929 Heidegger denunciava la "giudaicizzazione" della vita spirituale tedesca, nei seminari del '33-'34 arrivava a teorizzare l' "annientamento totale" del "nemico asiatico", cioè ebraico, e ancora nel 1944 deplorava la presenza del giudeo Heinrich Heine nel gotha della poesia tedesca. Antisemitismo accompagnato da un'ostilità radicale verso il cristianesimo - "infettato" dalle radici giudaiche -, in specifico verso il cattolicesimo, di cui un piccolo esempio furono i tentativi del filosofo tedesco di far interdire l'associazione di studenti cattolici Ripuaria.

Ancora, Faye mostra, in uno dei seminari inediti, quello su «Hegel e lo Stato» del gennaio '34 -'35, come Heidegger si autocandidasse a divenire, dopo Hitler, la guida spirituale del nazismo. E sempre Faye lancia l'ipotesi che, data la reputazione di Heidegger presso i vertici del regime e i suoi legami con alcuni dei teoreti del nazionalsocialismo - Alfred Baeumler, Ludwig Clauß, Oscar Becker e altri - nonché le numerose coincidenze tra alcuni scritti suoi e del Führer, Heidegger sia stato uno dei ghost-writer di Hitler.

Puntualizzazioni che colpiscono e che, tuttavia, non sono in sé il cuore della ricerca di Faye. Che vuole portare il lettore sulla parte più scottante, e per questo più elusa, del problema. Ovvero se l'appassionata adesione dell'autore di «Sein und Zeit» al fenomeno nazista sia dissociabile dalla sua filosofia o ne sia stata la conseguente espressione politica. Se il sogno di un imperialismo tedesco imperniato su una religione della morte e il culto del Blut und Boden, non fosse - si chiede Faye - che il volto oscuro del tentativo heideggeriano di liquidare la tradizione filosofica classico-cristiana e i suoi esiti moderni. E di riallacciare una Germania apocalittica ad una Grecia mitologica e arcaica, numinosa e ferina, allora al centro delle riflessioni naziste e heideggeriane. Un esoterico incontro di civiltà, insomma, i cui sacerdoti per Heidegger sarebbero stati tre: Hölderlin, Nietzsche e Hitler.

A sostegno delle sue tesi Faye porta anche due analisi destinate a far ulteriormente discutere. La prima è una lettura comparata tra la pubblicistica nazista degli anni '20 e '30 e uno scritto come «Essere e tempo», del '27, mostrando la ricorrenza degli stessi stilemi e concetti (nei seminari inediti Hedegger parla del rapporto tra Volk tedesco e Staat nazista come esplicitazione del rapporto fra Seiende e Sein). La seconda analisi è un confronto tra il vertice del pensiero heideggeriano, il Nietzsche del '61, con la sua versione originale, ossia i testi composti dal filosofo tra il '36 e il '46. Se nella versione del '61, infatti, Heidegger avvertiva il lettore di aver apportato solo piccole modifiche formali rispetto agli originali, per Faye avrebbe operato un'accurata espunzione dei passi più compromettenti (come ben 26 pagine di commento alla «Volontà di potenza»). Un lavoro di maquillage, che non sarebbe stato il frutto di un pentimento postumo, ma il tentativo di eliminare riferimenti politico-culturali indigesti, per poter veicolare intatto il contenuto: lo ri-velarsi speculativo della svastika. E questo sì, se il libro arriverà in Italia, non passerà inosservato.


Voci utilizzate nell'articolo

Eugenetica

Antisemitismo

Amicizia con Rothacker

Amicizia con Fischer

Denuncia di colleghi

Discorsi di Hitler

Seminari inediti

Rogo dei libri

Attendibilità della Gesamtausgabe

Omaggio alla svastica


Metodi applicati

Citazione selettiva

Coincidentia verborum

Reductio ad Hitlerum

Il documento inedito

Liaisons dangereuses


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