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Da Libro bianco.

Heidegger, dongiovanni e reticente

INEDITI Su «Micromega» un’intervista al figlio Hermann con nuovi particolari sulla scelta nazista del filosofo fin dal 1932


Unità, 1 Maggio 2007


Bruno Gravagnuolo


Buon numero l’ultimo fascicolo di Micromega, la rivista diretta da Paolo Flores d’Arcais (3/2007, Almanacco di Filosofia, pp. 239, Euro 12). Dentro ci sono molti materiali tratti dal Festival di Filosofia romana del 2006 («Instabilità»), che escono a ridosso di quello ora in corso all’Auditorium capitolino. Un dialogo del 2005 tra Alberto Melloni e Gilles Keipel su «Fondamentalismo e religioni». Un lungo saggio di Flores sulla cristologia di Ratzinger, e un’intervista inedita di Angel Xolocotzi a Hermann Heidegger, figlio non naturale del filosofo e divenuto per vie impreviste curatore dell’opera omnia del genitore legale. La vera novità del fascicolo è questa, perché aggiunge molti dettagli sul romanzo familiare del filosofo, nonché sul tema della sua adesione al nazismo. Oltre a rivelarci che egli non avrebbe voluto l’opera omnia, almeno per 100 anni, prima che Hermann lo persuadesse, prefigurandogli la catastrofe di una guerra nucleare.

Intanto però, veniamo al saggio di Paolo Flores: «Gesù e Ratzinger tra storia e teologia». Ci sembra salutare. Poiché ribadisce alcune verità acclarate dalla moderna critica neotestamentaria. E cioè: l’inserzione dei Vangeli sinottici, nella dogmatica posteriore dei Concili di Nicea e Calcedonia, è arbitraria. Essa taglia fuori i cosiddetti vangeli «apocrifi»(per la Chiesa!), rimuovendo le radici ebraiche di Gesù. La sua terrenità, il modo in cui fu percepito e lui stesso si percepiva: un riformatore sociale ebraico che si aspettava un Avvento apocalittico nell’immediato. E non in una Chiesa-Istituzione. Ratzinger invece sequestra ancora, nel solco della tradizione romana quel lascito. E lo (re)impone come verità di fede che oltretutto ambisce a diventare verità politica e civile. In una parola: controriforma. Con echi inquietanti a destra, aggiungiamo noi. Nel cattolicesimo politico nostrano e non solo in quello integralista (dai neodem, ai teodem, ai teocon ovviamente).

E adesso veniamo ad Heidegger. Hermann, era figlio di Elfriede Heidegger e di un amico di famiglia di lei, non del filosofo. E presumibilmente lo apprese fin dal 1956. Ricevendone ulteriore conferma nella vicenda dell’epistololario segreto del padre legale. Una storia questa che Hermann ci narra, evocando la controversia con una cugina venuta in possesso delle lettere: alle tante amanti del filosofo e alla moglie. Già, Heidegger, padre affettuoso e paziente, non fu solo l’amante di Hannah Arendt. Ma di molte belle signore e allieve e la cosa suscitò tempeste con la moglie Elfriede, che fu anche quella che nel 1932 lo spinse a votare nazista e nel 1933 a iscriversi al partito nazista. Cosa che poi gli fruttò la nomina al Rettorato di Friburgo, dove tenne il famoso discorso di appoggio al «movimento». Tanto apprendiamo dall’intervista inedita. Che però è reticente, comprensibilmente, in Hermann. Infatti è vero che il filosofo nominò a «decani» due docenti invisi al regime e perciò l’anno appresso si dimise, senza rinnovare la tessera nazi. Nondimeno fino al 1936 Heidegger si illuse ancora di poter cavalcare la tigre. Scorgendo nel nazismo il modo giusto di arginare e governare la tecnica: una sorta di custode politico del senso greco dell’Essere. All’insegna dell’anticapitalismo romantico: «suolo», «comunità», «decisione», «servizio del lavoro e del sapere» Ben per questo, dopo il famoso discorso rettorale, parlò di «grandezza» e «intima verità del nazionalsocialismo», che presumeva di aver capito. Poi cambiò idea, e vide in esso la Volontà nichilistica di potenza (nietzscheana). Ma non fece mai ammenda. E su ciò Hermann Heidegger non si sofferma, e neanche l’intervistatore in verità.



Voci utilizzate nell'articolo

Il nazismo di Elfride

Voto alla NSDAP

Nomina al rettorato

Iscrizione alla NSDAP

Reticenza


Metodi applicati

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