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Da Libro bianco.

Scandaloso Heidegger

Già accusato di cedimenti con Hitler, ora definito suo ammiratore dal seguace preferito

Sarebbe stato affascinato dall’idea di “Stato etico”


Il Giorno, 22 marzo 1994


Armando Plebe


RIECCOCI, dopo sette anni d'interminabili requisitone a discutere sul nazismo di Heidegger. Il libro di Ernst Nolte “Martin Heidegger tra politica e storia”, uscito in questi giorni da Laterza, si annunzia come il pezzo forte di questa stagione filosofica, almeno a giudicare dalle prime anticipazioni sulla stampa. Se si fosse obiettivi, dovrebbe invece essere un pezzo d'antiquariato, perché sulla faccenda delle compromissioni di Heidegger col nazismo è già stato detto non solo tutto il necessario, ma anche tutto il superfluo. Ma un qualsiasi litigio fra innocentisti e colpevolisti piace sempre al pubblico, non importa se il reato sia l'assassinio di una prostituta o una militanza nazista. E in questo caso v'è poi chi ha interesse che il processo non si chiuda mai. I capi d'accusa sono noti, alcuni assodati, altri contestati. Documentato è il fatto che nel dicembre 1933 Heidegger scrisse al capo dell'organizzazione dei professori nazisti di Göttingen indicando ti suo ex allievo Eduard Baumgarten come assiduo frequentatore dell'ebreo Eduard Frankel. Contestato è invece il fatto che Heidegger, quale rettore dell'Università di Heidelberg, abbia controfirmato il decreto ministeriale che vietava al suo maestro Husserl l'accesso alla biblioteca. Ma che Heidegger simpatizzasse per il nazismo è indubitabile. Non che ne condividesse il terrorismo sanguinario, però l'ideologia nazionalsocialista non gli dispiaceva. E questa simpatia teoretica lo trascinò talora a dichiarazioni che non erano puramente teoriche. In una lettera a Marcuse del 1948 dichiarò che la crudeltà dei nazisti verso gli ebrei non era tutto sommato diversa da quella dei comunisti contro i tedeschi orientali, solo che la prima era pubblicizzata, mentre la seconda era occultata. Sono cose risapute da sempre, cosi come s'era sempre saputo che l'antisemitismo di Heidegger fu dovuto a opportunismo (o a vigliaccheria), ma non certo a un'avversione viscerale. Si prese proprio un'ebrea come allieva prediletta, Hannah Arendt, e in varie occasioni si prodigò a favore di colleghi ebrei. Ma sette anni fa il libro scritto in francese dal cileno Faris, «Heidegger et le nazisme», cercò di presentare questi fatti come una vergogna che gettava infamia non solo sulla figura di Heidegger come uomo, ma anche sul suo pensiero filosofico. Riuscì con ciò a suscitare un putiferio, che fruttò al suo libro una tiratura e un numero di traduzioni del tutto sproporzionati alla superficialità delle sue pagine. Di fronte all'esplosione di questo caso, quelli che reagirono nella maniera più ragionevole furono gli americani. Il più noto fra i loro filosofi Richard Rorty, fece notare che «se d'ora in poi si dovesse etichettare l'opera di Heidegger come la filosofia di un nazista, allora dovremmo etichettare le opere di Hemingway come i romanzi di un bullo e la "Ricerca" di Proust come i ricordi di una checca». E’ un'osservazione sacrosanta, ma agli americani è più facile essere assennati su questa materia perché loro il nazismo non l'hanno vissuto sulla propria pelle, come invece è accaduto a noi europei. In Europa invece i primi anni successivi al 1987, cioè all'apparizione del libro di Farias furono un seguito di fuochi d'artificio pro e contro la tesi del coinvolgimento della filosofia di Heidegger negli atteggiamenti politici del suo autore. Dopo tre o quattro anni, finalmente la polemica si era sopita. Anche se innocentisti e colpevolisti continuavano a dichiararsi in dissenso, tuttavia era intervenuta una sorta di tacito compromesso. Anche gli innocentisti non potevano non riconoscere che l'opera di uno scrittore non può mai essere del tutto separata dagli atteggiamenti pubblici del loro autore. Anche se sarebbe assurdo considerare le liriche di Ezra Pound soltanto come la teorizzazione poetica del suo fascismo, tuttavia è innegabile che, ad esempio, il suo «Lavoro ed usura» del 1954 risente della simpatia per la Repubblica di Salò. A loro volta i colpevolisti non potevano negare che, se si condannassero le opere di un autore solo perché colpevole di manifestazioni antisemite, andrebbero condannati non solo gli scritti di Voltaire, ma anche quelli di Marx, che per giunta era egli stesso ebreo. Comunque, in questi ultimi anni la polemica si era esaurita, soprattutto perché aveva stancato, avendo ormai sparato tutte le possibili cartucce. Ed era ecco il libro di Nolte e il profilarsi di un nuovo battage sul caso Heidegger. E c'è il caso che questa volta la polemica esploda ancor più infuocata, perché Nolte non si limita ad assolvere Heidegger ma va oltre e pretende di fornire anche un’interpretazione positiva dell'ideologia nazista che giustificherebbe l'adesione ad essa del filosofo processato. Il nazismo, cioè, avrebbe avuto per Nolte un'idea di base obiettivamente valida, e sarebbe stata questa ad affascinare Heidegger. L'idea sarebbe la lotta per una conciliazione delle classi sociali in un Stato etico, inteso sul modello dell'antica polis greca. Da un punto di vista teorico si può pur dar ragione a Nolte; del resto anche le peggiori dittature hanno spesso contenuto qualche aspetto positivo nei boro programmi teorici. Ma non è da una valutazione delle utopie socio-economiche del nazismo che è nato il caso Heidegger. Questo caso, gonfiato volutamente a dismisura, si riduce in realtà a un fatto molto semplice. Un grande filosofo, così come un umile uomo della strada, può, sia per temperamento che per tornaconto, decidere di accodarsi al governo che comanda anche se non ne è del tutto convinto. Alla fine degli anni Cinquanta tanti politici presero la tessera della Dc senza amare De Gasperi, magari senza neppure praticare la religione cristiana. Una volta iscritti, finirono poi anche per convincersi che De Gasperi aveva ragione, così come si sarebbero convinti che aveva ragione Togliatti se fosse stato lui al governo. La differenza sta tutta nel fatto che la Dc non massacrò nessuno, mentre i nazisti fecero quello che tutti sappiamo. Resta la domanda: chi ha avuto, e ha tuttora, interesse a trasformare in un complicato giallo filosofico una cosa tanto semplice, anche se deplorevole. Mi pare che la risposta sta già nei fatti. A rinfocolare il processo a Heidegger sono anzitutto i suoi zelatori - e non sono pochi - che non si rassegnano a constatare come di lui i filosofi d'oggi s'interessano sempre meno. Quale rimedio può risultare migliore che il tenere in vita un processo politicamente eccitante contro di lui? Dopo il libro di Nolte può però sorgere un ulteriore sospetto: che il processo sia voluto non solo dalla schiera dei patiti di Heidegger, ma anche da coloro che, simpatizzando in cuor loro con certa ideologia nazista, non hanno il coraggio di dirlo. Il processo a Heidegger regala loro un precedente autorevole: se persino quel principe dei filosofi fu nazista...



Voci utilizzate nell'articolo

Documento Baumgarten

Divieto a Husserl

Antisemitismo

Opportunismo


Metodi applicati

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