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Da Libro bianco.

Filosofo e spia

Tutti i segreti di Wittgenstein

Compagno del Führer ma anche agente segreto di Mosca. Al professore piaceva il doppio gioco. E ora si dice che fosse proprio lui il quinto uomo del gruppo di Cambridge


Sette settimanale del Corriere della Sera, 4 giugno 1998


Pierluigi Panza


Il Tractatus Logico-philosophicus di Ludwig Wittgenstein è un testo forse ancora più criptico di quarto già lo si ritenesse e l'aforisma «ciò di cui non si può parlare si deve tacere» è probabilmente un messaggio spionistico in codice piuttosto che il postulato della descrizione logica del mondo. E’questa l'interpretazione che Kimberlev Cornish, un allievo epistemologo di Paul Feyerabend ha espresso in The Jew of Linz (Century Londra), il libro in cui si sostiene che Wittgenstein fu prima compagno di classe e sodale di Hitler poi una spia al servizio dei sovietici. E non una spia qualunque! Proprio lui sarebbe il misteriosissimo quinto uomo dei gruppo delle «cinque spie» (Kim Philby Guy Burgess, Donald Mac Lean e Anthonv Blunt) formatesi a Cambridge negli anni Trenta che «tradirono» l'Inghilterra per convertirsi al marxismo e servire la Russia. il nome dei quinto uomo che Kim Philby si sarebbe portato nella tomba sarebbe dunque quello dell'enigmatico filosofo austriaco? Per Cornish non ci sono dubbi, anche se nel suo libro, le supposizioni prevalgono sui documenti. Se cosi fosse una pagina della più alta filosofia del '900 si annoderebbe con quella della storia dello spionaggio.

Il primo indizio sta proprio nel celebre aforisma «ciò di cui non si può parlare si deve tacere»: chi più di una spia può chiedere a un'altra di tacere? E quale modo più sicuro per trasmettere questo messaggio di un libro di filosofia cifrato a ogni aforisma? Il secondo risiede nella comunanza dei cinque uomini, tutti uniti nella comunità «Apostoli di Cambridge» e tutti con tendenze omosessuali. La posizione di Wittgenstein, tuttavia, è la più sorprendente tra i «five», perché non avrebbe tradito soltanto la monarchia britannica, che gli diede una cattedra universitaria, ma addirittura Hitler; di cui era amico e sodale. E così, il giallo dei magnifici cinque s'infittisce di altro giallo.

Il filosofo austriaco (come mostra la foto pubblicata a pagina 139) era compagno di classe del Führer. L'incontro tra i due avvenne alla Realschule di Linz, dove Wittgenstein fu inviato a studiare a 14 anni. L'enigmatico filosofino divenne sodale di Hitler, ma ne scatenò anche le tendenze antiebraiche, come ricorda nel Mein Kampf accennando alla figura di un giovane ebreo di Linz come causa del suo antisemitismo. Il Führer vedeva infatti in lui un giovane omosessuale, «poco sviluppato», «traditore» e «molto indiscreto». L'aspetto più curioso è che, secondo Cornish, anche Wittgenstein era razzista e proprio da lui Hitler maturò le proprie considerazioni. Anche in un discorso tenuto a Linz del 12 marzo 1938 il dittatore si ricordò del vecchio amico, dispiacendosi dell'assenza «di quel ricercatore di verità di Linz che conosceva così bene».

Se Hitler non perse mai di vista il suo condiscepolo, Wittgenstein dal '29 ritornò invece a Cambridge non tanto, o non solo, per la fama raggiunta come filosofo, ma per conto del Komintern: indottrinare contro il nazismo gli studenti snob dell'alta aristocrazia inglese, reclutare spie e passare informazioni erano i suoi compiti. Qui Wittgenstein si mise a studiare il russo sotto la guida di Faina Pascal, probabile agente e spia del Komintern. Cornish ricorda che nel 1935 l'Università sovietica di Kazan propose a Wittgenstein una cattedra di filosofia.

Se la biografia di Wittgenstein si colora di tinte inquietanti, per Heidegger è scoccata invece l'ora di una parziale riabilitazione. La biografia di Victor Farias, uscita in Italia nel 1988 (Heidegger e il nazismo), aveva distrutto l'immagine del filosofo di Essere e tempo inquadrandolo come sostenitore del nazismo. Poi l'opera di François Fédier, tradotta nel 1993 (Heidegger e la politica), e ora l'uscita dei suoi Scritti politici a cura di Gino Zaccaria (Piemme, pp. 412, L. 40.000) ne riabilitano la posizione. Heidegger fu un debole, accondiscese, ma non sostenne il nazismo. Dai suoi «scritti politici» si scopre addirittura che uno dei suoi primi atti come rettore fu quello di vietare l'affissione del manifesto antisemita voluto dagli studenti nazisti. Ambiguo, ma non amletico come Wittgenstein, che armò involontariamente la mano al Führer prima di schierarsi a fianco degli inglesi ma per servire i russi. Un rebus ancora più criptico del suo Tractatus.

[Senza parole...]



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