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Da Libro bianco.

Il nazismo alle radici di Heidegger

Una lettura del filosofo

Il recente libro di Elzabieta Ettinger dedicato ai rapporti fra Martin Heidegger e Hannah Arendt ha messo in luce il carattere reazionario del celebre filosofo. Un’occasione per riflettere sui rapporti fra la cultura europea e il nazismo.


Unità, 23 agosto 1996


Sossio Giametta


Delle molte cose importanti del libro di Elzbieta Ettinger, Martin Heidegger e Hannah ArendtUna storia d’amore, la più importante è certamente la dimostrazione del carattere reazionario di Heidegger e della sua filosofia. Per quanti motivi di dissenso, infatti, Heidegger possa aver avuto con l’apparato di partito (di cui si disse vittima), il suo cuore batteva, senza ombra di dubbio, per la causa del nazionalsocialismo. Al trionfo di questa causa egli mirava, a suo stesso dire, con la sua filosofia. Con essa intendeva «ringiovanire la Germania salvandola dall’assalto della tecnologia, dalla decadenza e dal comunismo». Dopo la guerra ammise la sconfitta, ma non cambiò idea. Come avrebbe potuto? La sua fede era stata la sua vita e la sua filosofia, ed era ancora la sua filosofia. La sconfitta aveva ucciso la sua speranza di vittoria, ma non la sua fede, né la sua filosofia. «Solo un Dio ci può salvare», disse nella famosa intervista dello Spiegel del 1966. Ma in questo Dio credeva ancora. Rimase, dice la Ettinger, «impenitente, inflessibile, senza alcun rimorso. Non abiurò, non ritrattò, non condannò mai le atrocità naziste: né pubblicamente né privatamente, per esempio di fronte a Hannah Arendt o a Karl Jaspers». Invece la sconfitta aveva ucciso anche la sua filosofia, sebbene solo da allora essa sia diventata popolare tra gli epigoni. Con la sconfitta della Germania (e quella ancor più sostanziale dell’impero britannico dietro la vittoria di facciata), la storia aveva fatto calare definitivamente il sipario su tutto quel sistema di valori aristocratici, legati al declinante primato politico dell’Europa, di cui la sua filosofia era, dopo quella di Nietzsche, una grandiosa trasfigurazione.

Le letture del «Mein Kampf»

Elfride Heidegger, la moglie di Martin, era stata nazionalsocialista fin dall’inizio. Aveva fatto leggere al marito Mein Kampf per il quale, secondo lei, bisognava tralasciare ogni altra lettura. Entrambi credevano che soltanto con un mutamento radicale, una Umwälzung, come diceva Hitler, si sarebbe potuta ringiovanire la Germania e ristabilire la sua guida politica e spirituale nel mondo. Dopo il crollo della Germania, Heidegger «pensava che l’Europa non esistesse più. Le forze del male, il nichilismo e la tecnologia, contro cui aveva combattuto, erano prevalse e la stavano uccidendo. La Germania e il nazionalsocialismo, il solo paese e l’unica ideologia capaci di invertire il processo di decadenza dell’Europa, erano falliti». Heidegger diceva: «Stalin non ha più bisogno di dichiarare guerra. Ogni giorno vince una battaglia. Ma nessuno se ne accorge. Per noi non c’è scampo». Queste dichiarazioni facevano indignare Jaspers. Perché secondo lui Heidegger non capiva che la Germania aveva spianato la strada a Stalin e che la sua filosofia, che conduceva alla «visione mostruosa» di una distruzione ancora peggiore, preparava il terreno a un’altra vittoria del totalitarismo, come la filosofia prima del 1933 aveva preparato il terreno a Hitler. Per questo esaltava su Heidegger la Arendt, che queste connessioni le aveva capite ed esposte nel suo Le origini del totalitarismo. La concezione della Arendt era superiore a quella di Heidegger, ma soprattutto posteriore. Tra loro c’era quasi una generazione di differenza e lei era vissuta in America, mentre lui se n’era rimasto nella sua baita in montagna, dove a lungo era mancata la corrente elettrica e l’acqua veniva attinta da un pozzo. Inoltre, con l’abbigliamento campagnolo bavarese, Heidegger, dice Claudio Magris, sembrava uno dei sette nani. La Arendt vedeva la coappartenenza, nella decadenza dell’Europa, di fascismo e comunismo come movimenti opposti e simmetrici, accomunati dalla violenza totalitaria. Lei era uscita dal tunnel in cui Heidegger era rimasto, cioè dalla dicotomia fascismo-comunismo, senza una terza via. Di fronte ai nuovi valori democratici che l’Europa aveva creato: sistema parlamentare, suffragio universale, uguaglianza al disopra della razza e del sesso, partecipazione del cittadino alla vita politica nel senso illustrato appunto dalla Arendt in Vita activa, in genere la sana ragione e il progresso tecnico, insomma tutto ciò che oggi chiamiamo civiltà, i due opposti totalitarismi si riunivano fuggendo verso il passato (sebbene proprio i valori democratici fossero iscritti nella bandiera del comunismo).

La giustificazione storica

Questa diversa collocazione di Heidegger, che lo condanna insieme con la sua filosofia, ne costituisce però anche la giustificazione storica. La filosofia, in quanto contempla le cose sotto l’aspetto dell’eternità, è indipendente dalla politica. Masi forma ogni volta intorno a un nucleo organico di sentimenti, che è invece sempre una concrezione storica. Heidegger era mosso dallo stesso pathos tardoromantico del «buon europeo» di Nietzsche, dal suo stesso amore dei valori aristocratici e della grande cultura creata dall’Europa. Volle quindi, come Nietzsche, farsene paladino con la forza, unico mezzo rimasto, contro quella che gli appariva come l’invasione verticale dei barbari: la tecnologia robottizzante, l’ideologia egualitaria, distruttrice dei valori individuali, la corrosione dell’antico nerbo morale delle nazioni europee e il comunismo materialistico, calpestatore della tradizione, negatore dei valori della terra e del sangue e di ogni spiritualità elitaria. Erano gli ideali della maggior parte della cultura tedesca, prima di trasformarsi in genocidio e disumana carneficina. Adesso che i giochi son fatti, che i problemi si sono evoluti in sensi nuovi e complessi, non si tratta tanto di accusare Heidegger, salvo per l’influsso che ancora esercita il suo pensiero, quanto di intenderlo e caratterizzarlo, affinché non sussistano più, a suo riguardo, dubbi svianti e inopportuni. Oggi è quasi impossibile capire la direzione in cui filosofavano Nietzsche e Heidegger e in cui si muoveva quella cultura europea , perché la tendenza allora dominante si è rovesciata e quello che allora era bene oggi è male e viceversa. Ma chi si fa scrupolo di oggettività verso uomini e cose non può non sforzarsi di formarsi, della storia recente, un’idea più adeguata. Il diavolo è finito nei porci, ma prima era apparso come un angelo risplendente. Conta aver assodato l’indirizzo del pensiero di Heidegger, perché è una chiave indispensabile per interpretare una filosofia oceanica e caotica, immersa in una tale ambiguità che si può definirla, come una volta Lowith definì Essere e tempo, «teologia mascherata » e insieme «puro ateismo», senza meritare lo scherno con cui Heidegger commentò questa apparente contraddizione.



Voci utilizzate nell'articolo

Assenza di autocritica

Il nazismo di Elfride

Foresta nera

Abbigliamento stravagante

Statura di Heidegger


Metodi applicati

Acritica delle fonti

Associazione coatta

Induzione di orrore


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