Differenze tra le versioni di "Aggettivo squalificativo"

Da Libro bianco.
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[[1900602IRE1]]   La Repubblica 2 giugno 1990 ''"Però quel Führer non era male"'' Antonio Gnoli
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[[1901020IRE]]   La Repubblica 20 ottobre 1990 ''Le opere postume di Heidegger e il rifiuto del nichilismo'' Stefano Petrucciani
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[[1990101IXX]]   Liberal 1999 ''Cosa cercava Celan nella Foresta Nera?'' Sergio Givone  
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Versione delle 21:00, 9 nov 2015

Categoria: Metodi

Il metodo qui descritto basa il suo funzionamento su quella che i linguisti chiamano la lingua di legno, ovvero la sclerotizzazione del linguaggio tipica dei regimi totalitari. Nel nostro caso, esempi di lingua di legno sono gli usi meccanici e ripetitivi di format linguistici che consentono all'utilizzatore di turno di farsi rapidamente intendere eludendo ogni interrogazione. In questo contesto, l'aggettivo assume un ruolo-chiave, dal momento che permette di squalificare preventivamente sgravando colui che lo usa dall'onere di addurre argomenti o prove. In tal modo, un aggettivo squalificativo buttato lì al momento opportuno funziona come un sasso lanciato nascondendo la mano: ottiene il suo effetto senza che nessuno sia chiamato a risponderne.

Caratteristico è, ad esempio, l'uso dell'aggettivo famigerato per il Discorso di rettorato del 1933: «la famigerata Rektoratsrede» (qui), «il famigerato discorso...» (qui, qui e qui), la «famigerata prolusione...» (qui), ecc. - «famigerato», cioè, come si legge nel Devoto-Oli, «di dubbia fama, esecrabile, giustamente condannato alla riprovazione universale». Da chi, in che senso e perché sia eventualmente giudicato esecrabile, non è mai dato sapere. (Si veda il testo del Discorso di rettorato)

Un altro aggettivo che si dispensa a piene mani è inquietante: non c'è "documento", non c'è "rivelazione" - da Farias a Faye - che non sia, appunto, inquietante, così come inquietanti appaiono, di volta in volta, gli scritti di Heidegger, il suo «personaggio» (qui), le sue parole, e persino il suo mutismo «... su delicate questioni (ad esempio l'olocausto)» (qui). Tale aggettivo trasmette al lettore il senso di una comunità accademico-giornalistica affranta e turbata, messa in subbuglio dall'apparizione di cose tremende, e tutta assorbita dall'immane tentativo di farsene una ragione.

Un altro aggettivo a cui la suddetta affranta comunità è particolarmente affezionata è ambiguo: «personalità ambigua» (qui), «posizione ambigua» (qui), comportamenti «ambigui» (qui e qui), «rapporti di collaborazione ambigui» (qui), pensiero «pericolosamente ambiguo» (qui e qui) che esercita «un fascino ambiguo, oserei dire mefistofelico» (qui) - vale a dire: nulla di ciò che Heidegger è o fa, è come appare (si veda la voce Fascinazione). Nello stesso senso si dispensa a piene mani enigmatico: «l'enigmatico nazionalsocialista Martin Heidegger» (qui), sempre prodigo di «enigmatiche risposte» (qui) e mai avaro di «frasi enigmatiche, nel suo stile» (qui) - aggettivo cui si può sostituire di tanto in tanto evasivo («pensiero evasivo», qui, «risposte evasive», qui), scivoloso («reticente e scivoloso" qui) mentre «scivola verso il nazismo», qui) e, perché no, meschino (qui e passim) e finanche tenebroso (qui e qui; si veda a questo proposito la voce Oscurità).

Analoga funzione svolge l'aggettivo controverso, anch'esso molto in voga: dal «grande e controverso filosofo del Novecento» qui, si veda la voce Alzata del Genio), a tutti gli (innumerevoli) «aspetti politicamente controversi» qui del pensiero del «controverso maestro teutonico" (qui) che infatti suscita «controversie" a non finire (passim) - e ciò significa: attenzione! La comunità accademico-giornalistica non ha (ancora) un parere unanime in proposito (dunque potrebbero nascondersi dei pericoli).

Vi sono poi aggettivi, di per sé neutrali, che nella lingua di legno della pubblicisitca sul caso-Heidegger assumono una valenza squalificante; ad esempio tedesco: «era veramente un tedesco» (qui), un «vero professore tedesco» (qui), anzi un «tedesco della Foresta Nera» (qui), che faceva a Hannah Arendt una «corte alla tedesca» (qui), per avere con lei una «storia d'amore molto, troppo tedesca» qui. Per la moglie Elfride, l'aggettivo "tedesca" è addirittura insufficiente: si deve dire teutonica: «l'inflessibile ed efficiente moglie teutonica e nazista», qui che, naturalmente, ebbe con Heidegger un rispettabile «matrimonio teutonico» qui (si veda la voce Il nazismo di Elfride)

Va da sè che l'aggettivo squalificativo numero uno sia, inconstestabilmente, nazista, usato come condimento di tutte le salse: dal «discorso nazista» del «rettore nazista» di un'«università nazista» (sic. qui), al «filosofo nazista» o «pensatore nazista» o forse «nazistoide» che non rinnega la sua «scelta nazista» (qui), fino alla folta schiera di quelli che indagano i «fondamenti nazisti» (qui) della sua opera - (non solo) nazista...

Metodo applicato nei seguenti Articoli:

1900602IRE1 La Repubblica 2 giugno 1990 "Però quel Führer non era male" Antonio Gnoli

1901020IRE La Repubblica 20 ottobre 1990 Le opere postume di Heidegger e il rifiuto del nichilismo Stefano Petrucciani

1980318IST

1990101IXX Liberal 1999 Cosa cercava Celan nella Foresta Nera? Sergio Givone

1990104IUN

2000919IST

2011125IGN

2011127IUN

2021203IRE

2050409IRE

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